DI LUNDI MATIN
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Due dei nostri collaboratori incaricati delle questioni ecologiche e delle relative lotte ci hanno sottoposto questa finzione, o piuttosto questa fusione. A cosa assomiglierebbero le manifestazioni mondiali per il clima se Greta Thunberg avesse letto Theodore Kaczynski ?
Prendo in mano la penna per farvi qualche confessione. Comincio ad averne abbastanza. Greta, Greta, Greta. Sono diventata, mio malgrado, l’icona del movimento della manifestazione mondiale per il clima. Perché i miei genitori hanno delle conoscenze; perché una startup ambiziosa ha fatto di me una star su Instagram; perché mi hanno dato la parola alla COP24, a TedX, su tutti i media. Mi hanno spianato la strada perché suoni l’allarme, in nome dei giovani. Per denunciare, senza fare troppo rumore, la catastrofe ecologica che ci minaccia. Perché promuova una manifestazione mondiale che sia durata un giorno solo, soprattutto per non disturbare il corso criminale del business as usual. Uno spettacolo che ha messo sulla scena l’ecologia a sportello chiuso per qualche settimana, senza alcun effetto reale sul riscaldamento climatico. E, dopo tutto ciò, si finge di chiedermi perché faccio continuamente il muso. Non è perché sono autistica, perché avrei difficoltà nei miei rapporti con gli altri. È perché non metto nessuna gioia in quello che faccio, in quello che mi fanno fare.
Bisogna dire che avevo tutto per piacere. Sono giovane, ecologista, autistica.
Tra le sfere dei dirigenti, si adorano i giovani: si vogliono tenere per «valorizzare le loro competenze », li si vuole rassicurare perché non si rivoltino davanti all’orribile situazione che riceveranno in eredità, e ci si vuole assicurare che cammineranno mano nella mano con noi, che andrà tutto bene. Si adorano anche gli ecologisti: finché rimangono inoffensivi, i discorsi ecologici serviranno giustamente da nuova morale per i governi e le grandi insegne, che si coloreranno di verde per presentarsi come i soli salvatori di un mondo che sono i soli a sabotare.
E paradossalmente si adorano ancora di più gli autistici. In particolare, si adorano certi autistici. Bisogna dire che la categoria di autismo è molto vaga. C’è innanzitutto l’autismo generalizzato, diffuso, redditizio, di una civiltà intera che segue il corso del disastro dal proprio smartphone, e che si assenta sempre di più da questo mondo per ripiegarsi su se stesso, sulle proprie attività compensatrici, la sua piccola vita, i suoi piccoli scrupoli, le sue piccole miserie. C’è poi l’autismo irrecuperabile, refrattario, resistente di migliaia di bambini e di adulti che rifiutano di integrare i codici sociali e di cui si preferisce qualificare come malattia il rapporto molto diverso che intrattengono col mondo e con le cose. Infine, c’è l’autismo Asperger, al quale delle serie televisive o dei documentari abbastanza idioti hanno posto l’etichetta di “genio”. È il mio caso. E sembrerebbe che questo autismo, relativamente leggero, relativamente “integrabile”, ha il vantaggio di essere valorizzabile economicamente: è il motivo per cui lo si adora tanto.
Ma, sebbene ci siano delle persone chiuse, che non ascoltano gli altri, che non vogliono vedere arrivare la tempesta, che vivono isolati dal resto del mondo, evidentemente non siamo noi. Sono i nostri dirigenti. Da sempre, parlano una lingua diversa dalla nostra e fanno le orecchie da mercante a tutte le nostre grida di allarme. Poco importa. Che continuino pure, perché non vogliamo più avere niente a che fare con loro. Ogni dialogo con loro rappresenta ormai una considerevole perdita di tempo; sviluppo sostenibile, transizione ecologica, ecologia industriale, queste espressioni vuote che si succedono per stemperare il momento di vero cambiamento hanno senso solo per gli sbruffoncelli.
Oggi è un altro « genio », un altro « autistico Asperger » presunto che voglio onorare. Anche lui era ossessionato dalla questione ecologica. Theodore Kaczynski. Questo matematico talentuoso ha preso una strada che si potrebbe definire l’opposto della mia: dopo studi brillanti, non è diventato un grande scienziato o un militante telegenico della causa ecologica. Ha deciso di ritirarsi nella natura, per vivere in accordo con le sue convinzioni. Dalla sua capanna nella foresta, nel suo quotidiano fatto di letture, di caccia, di brevi relazioni con i paesani dei dintorni, fabbricava delle bombe, che inviava per posta a coloro che stimava essere ingranaggi della “società tecnico-industriale”. Theodore Kaczynski ha optato per una lotta armata, isolata, individuale. Anni passati a confezionare questi pacchi-bomba, per così piccoli risultati.
Non ritornerò a criticare i suoi atti o le insufficienze dei suoi discorsi, ma vorrei trarre qualche insegnamento dalla sua vita e dalla sua lotta. Che cosa Kaczynski, il terrorista che marcisce in prigione, potrebbe dire all’ecologia di oggi? Che non salveremo il pianeta col pensiero o con atti inoffensivi. Che, per essere efficace, l’ecologia non può essere solo «positiva » e « costruttiva », che deve anche essere distruttrice. Non ci sarà coabitazione ecologica con Total, con Bayer, con HSBC, con le monoculture, le autostrade, le centrali nucleari, l’espansione urbana. Gli atti di Ted Kaczynski significano una cosa sola: per riuscire ad arginare la catastrofe ecologica avremo bisogno di distruggere ciò che causa e mantiene materialmente la catastrofe ecologica stessa. Per ritrovare l’autonomia dovremo spezzare le nostre catene. Se la responsabilità dell’asserzione risolve certo l’irresponsabilità degli atti che ne hanno seguito, è alla lucidità e all’onestà di quest’uomo che mi richiamo. Chi pretenderebbe di operare per edificare un mondo più libero, senza prendersela con le infrastrutture che ne distruggono la possibilità stessa?
Per il resto, puniamo pure i ladri. Coloro che rubano il cibo si fanno prendere, coloro che taccheggiano finiscono in commissariato, coloro che frodano, imbrogliano e ingannano sono condannati. E coloro che rubano il nostro futuro, come dobbiamo punirli? Nessuno contesterà che il furto del futuro debba essere represso “con la più grande fermezza”. Il ladro di futuro non ci colpisce solo nella nostra capacità a progettarci, ma nella possibilità stessa di progettarci. Dove andare, dove ricadere? Quando sono le condizioni stesse di abitabilità ad essere distrutte. Utilizzando il verbo “rubare” non voglio dire che ci rubano tutto questo, visto che tutto questo non appartiene a nessuno. Il furto è semplicemente il risultato della distruzione in corso: privandoci del potere di controllare la nostra vita, il nostro avvenire, ci rubano la nostra vita. Quindi, come punirli, questi ladri? Privandoli del loro mezzo per rubare.
Si tratta innanzitutto di identificare il ladro di futuro. Penso che sia una specie ben particolare di ladro, poco simile a quelli citati prima. I ladri di futuro sono innanzitutto delle istituzioni, delle “persone morali”, e delle infrastrutture. È il cemento che si stende a perdita d’occhio, l’impresa che getta i propri rifiuti nei corsi d’acqua, i trattori che abbattono le foreste, l’economia che ci ricatta con la “mobilità”. Sicuramente sono anche persone reali, i ricchissimi, i politici, i “decisori”, le “élite”, Donald Trump, Jeff Bezos, Elon Musk, e i loro simili; ma i loro poteri nocivi riposano solo sul loro dominio sui modi di produrre e quindi di distruggere il mondo. Chi ci ruba il futuro è innanzitutto il fatto di non aver scelto niente dell’organizzazione di questo mondo, e di non aver nessuna possibilità di cambiarlo. Questa capacità la ritroveremo solo insieme, e non attraverso degli atti individuali, anche se fossero eco-gesti o pacchi-bomba.
Da quando i miei genitori, a sei anni, mi hanno insegnato cos’è il cambiamento climatico, ho paura. A tutti coloro che se ne approfittano del corso attuale delle cose, vorrei dire: la paura che ci infondete, l’utilizzate per legittimare una spirale liberticida. La nostra paura è il vostro solo mezzo per mantenere il sistema a galla. Questa leva che utilizzate senza vergogna come rinforzo di grandi discorsi catastrofici e conteggi scientifici, voglio rivoltarvela contro. La catastrofe non sta arrivando, si sta già svolgendo sotto i nostri occhi. Il tempo della paura invalidante è passato, in ogni caso per noi. Il tempo della rabbia è arrivato. Voglio che voi vi spaventiate, che voi risentiate cos’è la paura. Riguardo all’ottimismo che talvolta può prendervi in vista dei «progressi » realizzati dall’ « uomo moderno », si tratta del lusso dei ricchi beati che nascondono male il fatto che, volendo salvare la loro anima, cercano invece di salvare il loro culo. Avrei dovuto dirvelo, a Davos.
Come vedete, ho riflettuto molto, e ho deciso di adottare, a partire da oggi, una linea completamente diversa di azione e di discorso. Voglio uscire dai dibattiti inutili, per ritrovare una visione un po’ più elevata. Non voglio più parlare di dialoghi con il governo o di anti-statismo, ma voglio parlare di zone liberate. Non voglio più parlare di violenza o di non violenza, di marcia e di disubbidienza, voglio parlare di vittoria. Non voglio più parlare di manifestazione, voglio parlare di interruzione definitiva del corso della catastrofe. Non voglio più parlare del clima, voglio parlare di abitare la terra in modo più gioioso.
Mi separo da quello che ero, la mia famiglia, i miei genitori, da quelli che mi sono stati vicino e hanno fatto di me una star.
Non sono più Greta Thunberg, sono Greta Kaczynski.
Lundi Matin
Fonte: https://lundi.am
Link: https://lundi.am/Ainsi-parlait-Greta-Kaczynski
27.04.2019
Traduzione a cura di SILVANA FIORESI per http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=26754
8.08.2019