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La Redazione

 

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DEMONIZZAZIONE DEI MUSULMANI E BATTAGLIA PER IL PETROLIO

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A cura di God
Il 10 Gennaio 2007
86 Views

blankDI MICHEL CHOSSUDOVSKY
Global Research

Nel corso della storia, le “guerre di religione” hanno sempre usato le conquiste e le invasioni di paesi stranieri per favorire oscuri interessi economici e strategici: sono state invariabilmente combattute per assicurarsi il controllo delle rotte commerciali e delle risorse naturali.

Spesso gli storici presentano le crociate condotte dall’XI al XIV secolo come “una serie ininterrotta di spedizioni organizzate dai cristiani d’Europa nella speranza di strappare la Terra Santa dalle mani dei Turchi infedeli”. L’obiettivo delle Crociate, però, aveva poco a che vedere con la religione e mirava piuttosto a sfidare con azioni militari il predominio delle società mercantili musulmane, che controllavano le rotte commerciali in Oriente.

La “Guerra giusta” ha giustificato le crociate: la guerra era organizzata con il sostegno della chiesa cattolica, che serviva da strumento di propaganda religiosa e indottrinamento per arruolare in tutta Europa migliaia di contadini, servi e vagabondi.La crociata americana in Asia centrale e Medio Oriente

Agli occhi dell’opinione pubblica è imprescindibile che una “giusta causa” crei un alibi per la guerra, considerata accettabile solo se viene scatenata per motivi morali, religiosi o etici.

Le crociate americane in Asia e in Medio Oriente non fanno eccezione alla regola. La motivazione alla base della “guerra al terrorismo”, difendere il suolo statunitense e proteggere il “mondo civilizzato”, viene venduta come “guerra di religione” e “scontro di civiltà”, mentre l’obiettivo principale è in effetti assicurarsi il controllo e la proprietà collettiva dell’immensa ricchezza petrolifera della regione, imponendo al tempo stesso la privatizzazione delle imprese di stato e il trasferimento dei ricavi economici del paese al capitale straniero, sotto la guida del FMI e della Banca mondiale (alla cui testa si trova adesso Paul Wolfowitz).

La teoria della Guerra giusta definisce la guerra una “operazione umanitaria” e permette di mascherare gli obiettivi reali dell’operazione bellica, fornendo al tempo stesso agli invasori una patina d’integrità e moralità. Nella sua versione contemporanea, essa sollecita l’intervento militare per motivi etici e morali contro gli “stati canaglia” e i “terroristi islamici”, che minacciano il suolo patrio. Poter additare una “giusta causa” per far scattare la battaglia è fondamentale nella decisione dell’amministrazione Bush d’invadere e occupare Afghanistan e Iraq.

Insegnata nelle accademie militari statunitensi, una versione aggiornata della “Guerra giusta” è stata ora incorporata nella dottrina militare yankee. Il “diritto all’autodifesa” prevede adesso la “guerra al terrorismo” e la nozione di “supremazia”, che definiscono “quando è ammissibile scatenare una guerra”: jus ad bellum.

Il Jus ad bellum serve a costruire il consenso nelle strutture di comando delle Forze armate e a convincere le truppe che stanno lottando per una “giusta causa”. Più in generale, la teoria della Guerra giusta, nella sua versione moderna, è parte integrante della propaganda e della disinformazione dei media, usate per avere l’appoggio della massa ai piani d’invasione.

La battaglia per il petrolio e la demonizzazione del nemico

La guerra crea un programma umanitario. Nel corso delle vicende umane, sminuire il nemico è stata una pratica frequente: per giustificare l’azione militare, le crociate hanno demonizzato i Turchi come eretici e infedeli.

La demonizzazione risponde a obiettivi geopolitici ed economici. La campagna contro il “terrorismo islamico” (segretamente sostenuto dai servizi segreti statunitensi) serve a conquistare le ricchezze petrolifere. La definizione “fascismo islamico” serve a svilire politiche, istituzioni, valori e strutture sociali dei paesi islamici, dando al tempo stesso lustro ai responsabili della “democrazia occidentale” e del “libero mercato”, sole alternative per questi paesi.

La guerra scatenata dagli Stati Uniti nell’area mediorientale e dell’Asia centrale mira a ottenere il controllo di oltre il 60% delle risorse mondiali di petrolio e gas naturale, e al di fuori di quest’area i giganti petroliferi angloamericani vogliono comunque anche avere il controllo delle reti di distribuzione (cfr. la tabella e le mappe più oltre).

I paesi musulmani (Arabia saudita, Iraq, Kuwait, Emirati arabi, Qatar, Yemen, Libia, Nigeria, Algeria, Kazakistan, Azerbaigian, Malesia, Indonesia e Brunei) posseggono tra il 66,2 e il 75,9% (a seconda della fonte e della metodologia usata per le stime) delle riserve mondiali di petrolio (cfr. tabella più oltre).

Gli Stati Uniti, al contrario, controllano solo uno scarso 2% delle riserve, e i paesi occidentali, inclusi i suoi maggiori produttori (Canada, Usa, Norvegia, Regno Unito, Danimarca e Australia), il 4% circa (secondo una stima alternativa dell’Oil and Gas Journal, che tiene conto anche del petrolio bituminoso canadese, la percentuale si approssimerebbe al 16,5%) (cfr. tabella più oltre).

La percentuale più importante delle riserve mondiali di petrolio si trova in una regione che va (a nord) dall’estremità dello Yemen al bacino del mar Caspio e (a est) dalla linea costiera orientale del Mediterraneo al Golfo Persico. Questa ampia regione, che include Medio Oriente e Asia centrale ed è il teatro della “guerra al terrorismo” pilotata dagli Stati Uniti, racchiude, secondo le stime di World Oil, oltre il 60% delle riserve mondiali di petrolio (cfr. tabella più oltre).

L’Iraq possiede cinque volte più petrolio degli Stati Uniti, e i paesi musulmani almeno sedici volte più dei paesi occidentali.

I paesi non musulmani con le riserve più importanti sono Venezuela, Russia, Messico, Cina e Brasile. (cfr. tabella più oltre).

Viene dunque demonizzato un nemico che possiede i tre quarti delle riserve mondiali di petrolio. “Asse del diavolo”, “stati canaglia”, “nazioni abortite”, “terroristi islamici”: demonizzare e denigrare sono i punti forti ideologici della “guerra al terrore” degli Stati Uniti e costituiscono il casus belli che permette di scatenare la battaglia del petrolio.

La battaglia del petrolio impone la demonizzazione di quelli che lo possiedono. Il nemico viene dipinto come il diavolo, in modo da giustificare un’azione militare che arriva al massacro in massa dei civili. Medio Oriente e Asia centrale sono pesantemente militarizzate (cfr. mappa) e i campi di petrolio sono circondati: navi da guerra della NATO stazionano nel Mediterraneo orientale (nel quadro di un’operazione di “peace keeping” dell’ONU), i gruppi di combattimento aeronavali statunitensi e i Destroyer Squadron nel Golfo persico e nel mare Arabico (nel quadro della “guerra al terrorismo”).

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Gruppo d’intervento aeronavale statunitense Enterprise

L’obiettivo finale – che combina azione militare, operazioni segrete e propaganda bellica – è distruggere la struttura nazionale e trasformare stati sovrani in territori economici aperti, in cui le risorse naturali possono essere depredate e confiscate sotto l’occhio benevolo del “libero mercato”. Il controllo si estende anche ai corridoi strategici per il passaggio del petrolio e del gas naturale (ad esempio l’Afghanistan).

La demonizzazione è un’operazione psicologica usata per influenzare l’opinione pubblica e ottenere il consenso alla guerra. La guerra psicologica è fomentata direttamente dal Pentagono e dall’apparato di spionaggio statunitense; non si limita ad assassinare o giustiziare i leader dei paesi islamici, ma si estende all’intera popolazione, e prende di mira anche i musulmani che risiedono in Europa occidentale e in nord America. L’obiettivo è annientare la coscienza nazionale e la capacità di far fronte all’invasore: denigrare l’Islam, creare fratture sociali, mirare a dividere le società nazionali, e in ultima analisi fomentare la “guerra civile”. Creare un contesto che facilita un’aperta appropriazione delle risorse del paese, ma allo stesso tempo può generare una forte reazione negativa, dare vita a una nuova coscienza nazionale, sviluppare la solidarietà interetnica, spingere la gente a unirsi per fronteggiare l’invasione.

È interessante notare che l’innesco delle divisioni settarie e delle “guerre civili” è previsto dal processo di ridisegno della mappa mediorientale, dove i paesi sono destinati a essere disgregati e trasformati in territori. La mappa del Nuovo Medio Oriente, anche se non ufficiale, è stata usata dalla US National War Academy, ed è stata recentemente pubblicata dall’Armed Forces Journal (giugno 2006). Nella mappa gli stati nazionali sono disgregati, i confini internazionali sono ridefiniti lungo linee settarie/etniche, grosso modo conformemente agli interessi dei giganti petroliferi angloamericani (cfr. mappa più oltre). Anche se non riflette ufficialmente la dottrina del Pentagono, la mappa è stata usata in un programma di addestramento al Defense College della NATO per ufficiali superiori.

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Nota: La mappa, preparata dal luogotenente colonnello Ralph Peters, è stata pubblicata nel numero di giugno 2006 dell’Armed Forces Journal. Peters è un colonnello in pensione dell’US National War Academy. (Copyright della mappa: luogotenente colonnello Ralph Peters, 2006).

Il petrolio giace nei paesi islamici

Il petrolio giace nei paesi islamici. Denigrare il nemico fa parte della politica energetica euroasiatica, ed è una conseguenza diretta della distribuzione geografica delle riserve di petrolio e gas naturale nel mondo. Se il petrolio si trovasse in paesi dominati da Buddisti o Indu, ci si potrebbe attendere una politica estera statunitense diretta contro buddismo e induismo, che sarebbero a loro volta oggetto di denigrazione…

Nel teatro di guerra mediorientale, Iran e Siria, che fanno parte del cosiddetto “asse del male”, sono i prossimi obiettivi, secondo le dichiarazioni ufficiali statunitensi.

Le “guerre civili” fomentate dagli Usa sono state condotte anche in numerose altre regioni strategiche dal punto di vista del petrolio e del gas naturale: Sudan, Colombia, Somalia, Yemen e Angola, per non parlare della Cecenia e di varie altre repubbliche dell’ex Unione sovietica. Attualmente “guerre civili” fomentate dagli Usa, spesso fornendo in segreto sostegno ai gruppi paramilitari, sono state scatenate nella regione sudanese del Darfur e in Somalia: il Darfur dispone di grandi riserve di petrolio, e in Somalia sono già state assegnate lucrative concessioni a quattro giganti petroliferi angloamericani.

“In base ai documenti ottenuti da The Times, negli anni immediatamente precedenti la destituzione del presidente somalo filoamericano Mohamed Siad Barre e lo sprofondare del paese nel caos (gennaio 1991), quasi due terzi della Somalia erano stati assegnati ai giganti petroliferi americani Conoco, Amoco (ora parte della BP), Chevron e Phillips. Fonti industriali hanno affermato che le aziende che possiedono i diritti sulle concessioni più interessanti si augurano che la decisione dell’amministrazione Bush di mandare truppe statunitensi per proteggere gli aiuti inviati alla Somalia possano servire anche a proteggere i loro investimenti multimilionari nel paese” (America’s Interests in Somalia, Global Research, 2002)

Globalizzazione e conquista delle risorse energetiche mondiali

La demonizzazione collettiva dei musulmani e la denigrazione dell’Islam portate avanti in tutto il mondo costituiscono uno strumento di conquista delle risorse energetiche mondiali, a livello ideologico, che s’inserisce nel più ampio meccanismo economico e politico alla base del Nuovo Ordine Mondiale.

RISERVE PETROLIFERE PER PAESE (Riserve accertate in miliardi di barili

Rank

Country

Percentuale di Riserve Mondiali

World Oil, Dicembre 2004

Percentuale di Riserve Mondiali

Oil & Gas Journal, Jennaio 2006

1.

Arabia Saudita

24.2

262.1

20.6

266.8

2.

Canada*

0.4

4.7

13.8

178.8

3.

Iran

12.1

130.8

10.3

132.5

4.

Iraq

10.6

115.0

8.9

115.0

5.

Kuwait

9.2

99.7

7.9

101.5

6.

Emirati Arabi Uniti

6.5

69.9

7.6

97.8

7.

Venezuela*

4.8

52.4

6.1

79.7

8.

Russia

6.2

67.1

4.6

60.0

9.

Libia

3.2

33.6

3.0

39.1

10.

Nigeria

3.4

36.6

2.7

35.9

11.

Stati Uniti

2.0

21.4

1.7

21.4

12.

Cina

1.4

15.4

1.4

18.3

13.

Qatar

1.8

20

1.2

15.2

14.

Messico

1.4

14.8

1.0

12.9

15.

Algeria

1.4

15.3

0.9

11.4

16.

Brasile

1.0

11.2

0.9

11.2

17.

Kazakhstan

0.8

9.0

0.7

9.0

18.

Norvegia

0.9

9.9

0.6

7.7

19.

Azerbaijan

0.6

7.0

0.5

7.0

20.

India

0.5

4.9

0.4

5.8

21

Oman

0.4.

4.8

0.4

5.5

22

Angola

0.8.

9.0

0.4

5.4

23

Ecuador

0.5

5.5

0.4

4.6

24

Indonesia

0.5

5.3

0.3

4.3

25

Regno Unito

0.4

3.9

0.3

4.0

26

Yemen

0.3

3.0

0.3

4.0

27

Egitto

0.3

3.6

0.3

3.7

28

Malaysia

0.3

3.0

0.2

3.0

29

Gabon

0.2

2.2

0.2

2.5

30

Siria

0.2

2.3

0.2

2.5

31

Argentina

0.2

2.3

0.2

2.3

32

Guinea Equatoriale

0.2

1,8

0.0

0.0

32

Colombia

0.1

1.5

0.1

1.5

33

Vietnam

0.1

1,3

0.6

34

Ciad

0.0

0.0

0.1

1.5

35

Australia

0.3

3.6

0.1

1.4

36

Brunei

0.1

1.1

0.1

1.4

37

Danimarca

0.1

1.3

0.1

1.3

38

Perù

0.1

0.9

0.1

1.0

Totale Pesi Musulmani**

75.9

822.1

66.2

855.6

Totale Mondo Occidentale (Unione Europea, Nord America, Australia)

4.1

44.8

16.5

213.3
Altri paesi 20.6 214.9 17.3 223.6
Totale Mondiale 100.0 1,081.8 100.0 1,292.5

Fonte: EIO: Energy Information Administration (scendete per le note di spiegazione sulla tabella)

ANNESSO

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© Map by Eric Waddell, Global Research, 2003.

blank

Per ulteriori dettagli sulla Campagna contro le pipeline http://www.bakuceyhan.org.uk/more_info/bp_pipeline.htm

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NOTE SULLA TABELLA DELLE RISERVE PETROLIFERE PER PAESE

La tabella indica i paesi con le più importanti riserve mondiali. Non sono indicati i paesi con riserve inferiori allo 0,1% del totale.

Le cifre dell’Oil and Gas Journal sopra riportate si basano sulle riserve di petrolio accertate, inclusi i campi di petrolio bituminoso, che non vengono invece presi in considerazione nelle cifre del World Oil. La differenza tra le due cifre riguarda in massima parte Canada e Venezuela. Alcuni esperti ritengono che la sabbia bituminosa non possa essere sfruttata con la tecnologia e i prezzi attuali, ma il punto è al centro di accese discussioni.

I paesi musulmani sono indicati in grassetto. Le percentuali sono arrotondate per eccesso al primo decimale.

*In queste stime, il Canada risulta il secondo paese in termini di dimensione delle riserve accertate, grazie all’importanza dei suoi giacimenti di petrolio bituminoso. Le stime dell’Oil & Gas Journal per il Canada includono 4,7 miliardi di barili di petrolio crudo convenzionale e 174,1 miliardi di barili di riserve di petrolio bituminoso.

In altre stime affidabili, che non tengono conto del petrolio bituminoso, le riserve del Canada risultano di molto inferiori (in miliardi di barili):

BP Statistical Review 16.802

Oil & Gas Journal 178.792

World Oil 4.700

BP sottolinea che “le cifre sulle riserve di petrolio canadesi includono una stima ufficiale del petrolio bituminoso ‘oggi attivamente sviluppato'”, e, a proposito delle sue fonti di dati, dichiara che “le stime in questa tabella sono state compilate usando una combinazione di fonti ufficiali primarie, di dati terzi del segretariato dell’OPEC, World Oil e Oil & Gas Journal e di una stima indipendente delle riserve russe basata su informazioni di dominio pubblico”.

La stima di World Oil sulle riserve canadesi “non include i 174 miliardi di barili di petrolio bituminoso”.

Michel Chossudovsky
Fonte: http://www.globalresearch.ca
Link
04.01.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

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