DELLA MEA – IO SO

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DI FULVIO GRIMALDI

In allegato una “poesia” di Ivan della Mea, pubblicata dal “manifesto” il 20 marzo 2008, a coronamento del suo stracciarsi le vesti bipartisan ed ecumeniche sulla “tragedia del Tibet”.

L’autore, che qualche vegliardo ricorda per alcune melense e familistiche canzoncine del ’68, esaurita la vena del cinguettio musicale, si esercita di tanto in tanto in allucinazioni linguistiche, ortografiche, sintattiche su un “manifesto” che con maggiore rigore dovrebbe concedere la sua ospitalità. Ma visto che ci scrivono Giuliana Sgrena (Che schifo questi islamici, Al Qaida è Al Qaida), Rossana Rossanda (Le BR erano le BR, erano interne alla sinistra storica e hanno ammazzato Moro da sole. Il Mose a Venezia è ottima Cosa, Sofri è un martire e un grande intellettuale, votiamo Bertinotti…) e Valentino Parlato (Il boicottaggio della Fiera del libro sionizzata è crimine antisemita), anche della Mea ci può sguazzare.

Anche se standoci, l’uomo dall’ego-mongolfiera (questa volta è riuscito a ripetere “io” trenta volte in trenta “versi”) senza dubbio contribuisce al progressivo e inesorabile affondamento del “quotidiano comunista”. Con nostro sommo dispiacere, perchè dopo cosa leggiamo? Con chi ce la prendiamo se coloro che al momento resistono sull’orlo della poubelle della storia, poi ci finiscono dentro a raggiungere rifiuti di portata campana quali quelli che, oggi come oggi, sbavano alle porte del parlamento?Parafrasando, in virtù di una boria giulianferrariana, nientemeno che Pasolini, questa fattucchiera della lingua italiana, per la quale Dante avrebbe inventato un girone più profondo di quello dei traditori, ripete per trenta volte, autentico cilindro da preghiera tibetano, “io so”. E con questo proclama mosaico scende la montagna e ci confonde tutti nella lacrimosa valle dei nostri irrimediabili “non so”. Sa tutto, l’anziano verisificatore, del Tibet, dei potenti del mercato e degli infami di Cina che lo vogliono uccidere, sa che i soldati cinesi stanno massacrando civili tibetani, sa che l’autodeterminazione è sacra (anche se è di una casta di monaci schiavisti, superstiziosi e pedofili) e che le olimpiadi non s’hanno da fare.

Questo bombardamento di “io so”, che ricorda Bush quando farnetica di consapevolezze di vittoria, scaturisce da una centrale nucleare alimentata dall’uranio dell’ignoranza fuso con il plutonio della supponenza. Non sa, l’ex-giullare e oggi New Entry New Age, che, a proposito di autodeterminazione, il popolo tibetano come tale non esiste in quanto è un insieme composito di genti che venute dal’Asia Centrale, dalla Valle dell’Indo, dalle foreste birmane, dalla Valle dello Yangzé e dalla Valle del Fiume Giallo. Che questi popoli hanno fatto parte per mille anni delle varie unioni statali cinesi e solo durante 70 anni se la sono fatta da soli. Non sa, il menestrello stazzonato, che il buddismo dei monaci tibetani è solo un sessantesimo – il più astruso e fomentatore di passività – di tutti i buddismi che, a loro volta, rappresentano il 6% delle religioni nel mondo e che fu questo buddismo particolarmente violento e protervo a introdurre nel Tibet una società feudale. Società in cui, fino all’arrivo della rivoluzione cinese (peraltro assai degenerata da Mao in giù), il potere era suddiviso tra l’aristocrazia tibetana (cara a Hitler) e la comunità monacale e che il 90% della popolazione era ridotta in schiavitù, con nobili e monaci padroni della vita e della morte di questi servi della gleba. Un sistema vagheggiato dai poteri imperialisti di oggi e opportunamente travestito in termini New Age, da vascello di spiritualità, nonviolenza, bontà, pacifismo, melasse paracule varie, tali da neutralizzare eventuali obiezioni di sinistri e democratici un po’ più occhiuti del canarino “io so”. Una spietata dittatura feudale che la Cia avrebbe voluto perpetuare versando al suo portavoce, un equivalente con gli occhi di sguincio di Padre Pio, alcuni milioni di dollari, armandone i paramilitari e infiltrati, quegli stessi che hanno messo a ferro e fuoco i cinesi dei piccoli negozi (sono il 10% della popolazione tibetana, a proposito delle fantasticate alterazioni etniche cinesi attraverso flussi alluvionali di immigrati).

Prima il Dalai Lama flirtava con i nazisti, nel segno della comune purezza ariana. Poi, vista la mala parata dei cuginetti hitleriani, si aprì alla colonizzazione-protezione britannica, sostituita dopo la seconda guerra mondiale, come ovunque, dagli Usa in funzione anti-rivoluzione cinese. Il rientro della regione nella madrepatria Cina e la restaurazione di una dignità nazionale coerente con la propria storia, promosse il Dalai Lama, fuggiasco dopo il fallito progrom anticinese del 1959, sconfitto dagli stessi tibetani non partecipi dei fasti monacali (e bisognosi del primo ospedale, della prima scuola, della prima strada, della prima ferrovia…), a una specie di papa alternativo. Papa sempre a cinque stelle, quanto ad alloggi, ma ammantato di quei misticismi New Age che sono serviti ai fichi della borghesia per masturbarsi con eleganza e per infinocchiare chi continuava più che mai a capire i termini della lotta di classe. Una specie di McDonald’s dell’alimentazione tossica spirituale. E, oggi come oggi, uno strumento impagabile e insostituibile per azzannare agli orli una Cina così grande e così vincente economicamente (e non socialmente, ahinoi) da far passare notti da incubi a tutto il gangsterismo terrorista e militarindustriale occidentale. E quando meglio che alla vigilia delle Olimpiadi?

Per i postsessantottini del ripensamento, o salto della quaglia, divenuti sofrianamente intellettuali à la page della borghesia e in bilico tra papa e Pannella sul che fare della propria morte, ecco che il buddismo dell’assoluto e della metafisica accettazione dell’ordine delle cose, senza la minima traccia di impegno, rappresenta la risposta ideale alla propria bulimia di egotismo. Capisco Ivan Della Mea.

Il quale non sa, o fa finta di non sapere, che quando un coro canta la stessa canzone, dall’estrema destra all’estrema sinistra, come sulle mistificazioni tibetane accade tra sinistre e destre intellettuali e tra “Libero” e “il manifesto”, quella canzone l’ha scritta la destra.

Quello che sta facendo la Cina in Cina non ci piace. Quello che i monaci stanno facendo per riprendersi i privilegi e le soperchierie che ne hanno nutrito mense e palazzi per secoli, ci piace assai meno. Abbiamo vissuto per un po’ relativamente tranquilli nella salute fisica grazie all’esistenza di un equilibrio tra potenze. Finito quello, è scattata l’era del terrorismo di Stato, delle classi dirigenti fuorilegge, dei gangster di un nuovo protocapitalismo. Agevolare ciò che alcuni eufemizzano in “unilateralismo”, attraverso la fragilizzazione del paese che si presenta come antagonista dell’orco nazisionista che manovra la manovella del nostro giro della morte, è da tontoni tafazzisti.

Ivan della Mea, non sai un cazzo.

Fulvio Grimaldi
21.03.2007

Io so che non si deve andare in Cina.
Io so che non si deve partecipare alle Olimpiadi.
Io so che il principio di autodeterminazione
di un popolo è sacro.
Io so che il Tibet deve essere libero.
Io so che il popolo tibetano ha diritto ad avere
un proprio governo espresso dal libero voto dei tibetani.
Io so che i potenti del mercato non vogliono questo.
Io so che i potenti del potere non vogliono questo.
Io so che i signori della guerra non vogliono questo.
Io so che i soldati cinesi stanno massacrando
civili tibetani.
Io so che i soldati cinesi stanno massacrando
monaci tibetani.
Io so che la Cina è un grande mercato.
Io so che la Cina è una grande potenza.
Io so che il Tibet è soltanto il Tibet.
Io so che il Tibet deve morire.
Io so che il Tibet morirà.
Io so che le Olimpiadi si faranno.
Io so che i campioni verranno premiati.
Io so che gli inni verranno suonati.
Io so che i vessilli nazionali verranno issati.
Io so che gli sguardi fieri dei campioni vedranno
la gloria del mondo.
Io so che gli sguardi fieri dei campioni non vedranno
l’infamia delle stragi nel mondo.
Io so che gli sguardi fieri dei campioni non vedranno
i morti per la libertà del Tibet.
Io so che non vedranno il Tibet del Tibet.
Io so che vedranno il Tibet della Cina.
Io so che vedranno soltanto la Cina.
Io so che queste saranno le Olimpiadi del potere.
Io che queste saranno le Olimpiadi del mercato.
Io so che il potere ha già vinto i giochi olimpici.
Io so che il mercato ha già vinto i giochi olimpici…
Se questo è un gioco…
— Ivan della Mea

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