“Il Movimento globale per la Liberazione degli Animali è un movimento abolizionista che chiede la fine di tutte le forme di sfruttamento degli animali, non solamente la riduzione della sofferenza; come il suo predecessore nel XIX secolo, chiede l’estirpazione della schiavitù, non un migliore trattamento degli schiavi. Rubati alla vita libera e selvaggia, nutriti e cresciuti in cattività, tenuti in gabbie e catene contro la loro volontà nonché il loro consenso, gli animali sono letteralmente schiavi, e in quanto tali elementi integranti dell’economia capitalistica e schiavista contemporanea“.
DI STEVE BEST, PhD
Best Cyrano
“I posti più caldi nell’inferno sono riservati a coloro che in tempo di grandi crisi morali mantengono la propria neutralità“. Dante Alighieri (1265-1321)
“Rimanere in silenzio e indifferenti è il peccato più grande di tutti“. Elie Wiesel
Martin Luther King ha detto che se una persona non ha trovato qualcosa per cui morire, non è adatta a vivere. Sta suggerendo due cose: primo, che diamo un significato e un fine alla nostra vita quando troviamo una causa e ci battiamo per essa; in secondo luogo, che abbiamo forti obblighi di aiutare gli altri e che quindi dovremmo intraprendere una causa. L’etica ci chiama non solo ad evitare che facciamo del male agli altri, ma ad impegnarci attivamente per fare il bene, e quindi per cambiare gli ordinamenti sociali. La vita etica è inseparabile dalla vita politica.
Una “causa” è un obiettivo o un principio a cui ci si dedica con passione e devozione. Come valore generale, una causa trascende il volere e gli interessi dell’individuo che ad essa dà voce. Infatti, le persone che sposano una causa spesso mettono in secondo piano o sacrificano la propria vita per una causa. Ci vengono subito alla mente Marx, Gandhi, Malcolm X, Martin Luther King, Cesar Chavez e Dian Fossey.
Nonostante la nobiltà della causa, la gente è sovente sospettosa se difendi un altro valore che non sia te stesso, la tua patria, o la tua squadra sportiva preferita. In una società patologicamente individualistica, narcisistica e ingorda come la nostra, coloro che si battono per cause di diritti e giustizia sono spesso derisi. Chiunque sia stato in mezzo alla strada con un cartello di protesta sarà stato dilettato con il grido “Ma vai a vivere!” – come se la vita reale fosse realizzata nell’essere un lavoratore e un consumatore piuttosto che un cittadino interessato e impegnato. L’impegno politico si scontra con il protocollo educato, le norme apolitiche, e i confini rigidi tra il personale e il politico. Essa minaccia chi si aggrappa ai pregiudizi di qualsiasi sorta, il razzismo, il sessismo, l’elitarismo, l’omofobia, o lo specismo.
Il disprezzo per le cause è evidente nella denigrazione dei valori progressisti come “politicamente corretti”, come se la lotta contro il razzismo, il sessismo e il classismo fossero propaganda nazista piuttosto che legittime questioni di giustizia. Tale ridicolizzazione ha ispirato la classica canzone di Elvis Costello, dove il cantante si chiede con indignazione “Che c’è di tanto buffo sulla pace, l’amore e la comprensione?”
La de-politicizzazione della vita di tutti i giorni è drammaticamente evidente negli ambienti accademici, dove le menti dei giovani vengono addestrate a fare ricerca fine a se stessa, astratta, apolitica, e ampiamente estranea ai problemi sociali e al progresso morale. I lavoratori nei laboratori di ricerca, specialisti della conoscenza frammentaria, ignari delle crisi sociali ed ecologiche che esigono la nostra attenzione, i professori prendono il loro posto riservato in una società monodimensionale che presenta quello che “è” come quello che “dovrebbe essere”.
Per contribuire ad irrobustire gli attacchi contro i movimenti per i diritti e le libertà, i mass media inquadrano gli attivisti come gente strana, estremisti, allarmisti, e persino terroristi – non considerando il loro punto di vista. I giornalisti si riferiscono agli attivisti per la difesa dell’ambiente e dei diritti degli animali come a degli eco-terroristi, come se tale termine fabbricato dalle industrie fosse obiettivo; d’altro canto i media descrivono i terroristi veri che sfruttano gli animali e il pianeta, come rispettabili interessi economici minacciati da delinquenti e criminali.
La vita etica è una vita politica
Non tutte le cause sono buone cause naturalmente, come il fascismo, il totalitarismo, l’imperialismo, il genocidio, il razzismo, lo specismo e la distruzione dell’ambiente sono cause che le corporazioni, i governi e molte persone hanno affermato con i pensieri e con le azioni.
Infatti, è la prevalenza di cause cattive che rende urgente la necessità che quante più persone possibili lottino per la giustizia e l’ecologia. Come disse Edmund Burke “Per far trionfare il male basta che gli uomini buoni non facciano niente“.
Se definiamo “cattivo” l’esercizio volontario della violenza, distruzione e dominazione credo che sia abbastanza palese che le forze malvagie prevalgono su quelle che cercano di istituire la pace, la cooperazione, la democrazia e il rispetto per la vita e la terra. L’egemonia di Tanatos su Eros si manifesta nella distruzione delle foreste pluviali, nell’estinzione delle specie, nel riscaldamento globale, nell’allevamento industriale degli animali, nel genocidio, nei conglomerati militari, nella proliferazione nucleare, nei G8, nella NAFTA, nella WTO, nella ExxonMobil, in Pat Robertson, in Ann Coulter e, naturalmente: Bush, Rove, Rumsfeld, Cheney, la Rice e i loro neo-con, l’ordine del giorno di Manifest Destiny [*] di “cambiamento di regime” e di diffusione della “democrazia” nel mondo.
Ha ragione Burke. Non basta non fare del male, bisogna impegnarsi attivamente per fare il bene, il che vuol dire lottare contro le forze che opprimono e distruggono la vita e il pianeta. Le buone intenzioni e la buona volontà non contano niente se non vengono messe in azione.
Alcuni credono che sia sufficiente essere solamente contrario a qualcosa: “Sono contrario alla discriminazione! Odio il razzismo! Quale genere di società tollera la povertà e l’essere senza tetto!” Già, ma che fai tu a questo proposito? Le opinioni progressiste sono pigre chiacchiere da bar se non vengono messe in atto.
Alcuni credono di adempiere ai loro doveri civili firmando un assegno per Amnesty International o Greenpeace. Altri credono di aver fatto abbastanza adottando un particolare stile di vita. In un’occasione ho sentito una vittima egoista della cattiva fede contestare: “Perché dovrei iscrivermi ad un gruppo per i diritti degli animali? Sono vegan! Ho già fatto la mia parte!”.
Diventare vegan è in effetti, una delle cose più importanti da fare per migliorare la vita sul pianeta. Ma è solo una condizione necessaria della vita etico-politica, e non una condizione sufficiente. È ancora un’esistenza fondamentalmente egoistica e apolitica che non contribuisce abbastanza al pianeta. La vita etica richiede che mettiamo in ordine la nostra stessa casa, e che diventiamo attivi in una causa e in un movimento sociale.
La causa dei diritti degli animali
Voglio parlare un po’ della mia causa, che sono i diritti degli animali. È una causa peculiare in quanto molti non ne vedono la legittimità o non la considerano la migliore causa. Non riescono a rendersi conto che l’enormità della sofferenza e della morte degli animali merita la nostra massima attenzione, e che l’attivismo non è un gioco senza guadagno in cui aiutando gli animali non stiamo anche aiutando gli esseri umani. Il destino di tutte le specie si regge o crolla tutto insieme, e il soccorrere gli animali porta beneficio agli esseri umani in maniere profonde.
Nella mia stessa evoluzione personale, sono passato dall’essere carnivoro a vegan, e da attivista per i diritti umani ad attivista per i diritti degli animali. Agli albori della mia conversione al vegetarianismo all’inizio degli anni ’80, ero profondamente coinvolto con le questioni della libertà nel Centro America e nel Sud Africa. Sebbene fossi ben consapevole dell’impatto sullo stato di salute del consumo di carne e dei prodotti caseari, non avevo idea degli innumerevoli modi barbari in cui gli esseri umani sfruttano gli animali. Anche mentre studiavo le malvagità delle juntas, degli squadroni della morte, del genocidio, del fascismo e dell’imperialismo, la mia visione dell’umanità era ancora troppo rosea.
Questo è cambiato nel mezzo di una seconda folgorante epifania, quando nel 1987 lessi il libro di Peter Singer “Animal Liberation“. Come è successo a molte altre persone, quel libro ha cambiato la mia vita in un istante. Mi sono ammalato per lo stress emotivo nell’apprendere dello sfruttamento degli animali nelle fattorie industriali, nei mattatoi, nei laboratori per la vivisezione, e in altri posti infernali fabbricati dagli esseri umani.
Rendendomi conto che gli animali soffrivano di gran lunga più degli esseri umani nella quantità e qualità della loro sofferenza e morte, senza alcun mezzo per difendersi, sono passato dall’attivismo per i diritti umani all’attivismo per i diritti degli animali. Mentre la maggioranza degli esseri umani ha per lo meno alcuni diritti, nessun animale ha il diritto più basilare alla vita e all’integrità corporea. Quando ho studiato l’impatto della produzione di carne sulla fame nel mondo e sull’ambiente, o come la vivisezione sia d’intralcio al progresso medico, mi sono reso conto che aiutando gli animali avrei aiutato anche gli esseri umani nel modo più produttivo possibile. Ho visto i diritti degli animali come la forma di attivismo più radicale, completa e olistica.
Tuttavia ho riscontrato la ridicolizzazione del mio impegno politico molto più che mai, poiché i diritti degli animali suscitano ostilità da parte dei sostenitori della supremazia dell’uomo, che si gratificano denigrando gli animali. Ho fatto mie le parole di Emile Zola: “Il destino degli animali ha maggiore importanza per me che il timore di apparire ridicolo; è indissolubilmente legato al destino degli uomini“.
Lo scherno derivante dal fatto che difendessi i diritti animali è stato particolarmente aspro da parte della comunità radicale e di sinistra, che hanno assimilato in modo acritico le ideologie antropocentriche e speciste della scienza moderna, l’Illuminismo e le tradizioni marxiste e umaniste. Mi sono stancato delle loro grossolane incongruenze ed ipocrisie. Troppo spesso, mi sono trovato ad un tavolo di “radicali” che denunciavano lo sfruttamento capitalistico mentre divoravano carcasse di mucche, maiali, polli, agnelli e di altri animali che hanno sofferto per le loro insensibili scelte. Pur vantandosi di critiche sistematiche al capitalismo globale, la sinistra non riesce a cogliere i profondi legami tra esseri umani, animali e lotte per la liberazione della terra.
Mi sono reso conto che le tradizioni “radicali” non sono in alcun modo filosofie o politiche emancipanti dal punto di vista degli animali e dell’ambiente. Vedevo che l’ideologia di sinistra era semplicemente un’altra forma di Stalinismo verso gli animali. La sinistra non afferra le radici profonde delle patologie del potere umano limitandosi a rimpiazzare l’antropocentrismo capitalista con l’antropocentrismo socialista. Ho raggiunto la conclusione che una teoria e un movimento sociale davvero rivoluzionari non emancipano i membri di una sola specie, ma piuttosto tutte le specie e la stessa terra. Ho rifiutato il cliché umanista – “Siamo tutti la stessa razza, la razza umana”- in favore di una visuale più ampia: “Siamo tutti una comunità, la biocomunità“.
Dopo aver ricevuto un incarico alla UTEP (Univerisity of Texas, El Paso) nel 1993, ho iniziato subito ad insegnare idee radicali e controverse. Al contrario della vasta maggioranza dei miei colleghi professionisti in filosofia, credo che l’insegnamento e la ricerca debbano essere collegati all’attivismo e alle questioni urgenti di attualità. Credo che in un mondo di rovina ambientale, estinzione delle specie e capitalismo globale e predatore, gli accademici non dovrebbero permettersi il lusso di seguire concetti astratti che non siano connessi alla trasformazione sociale e al cambiamento rivoluzionario. Al contrario, gli accademici dovrebbero usare le proprie abilità per comprendere, comunicare, e cambiare quello che sta succedendo con il genocidio globale e l’ecocidio.
Ho insegnato tutti gli “ismi”- il Marxismo, l’anarchismo, il femminismo, il post-modernismo, il post-colonialismo – ma ho presto appreso che la cosa più radicale che insegnavo erano i diritti degli animali. Sono arrivato a due conclusioni sul perché di ciò.
In primo luogo, richiede una trasformazione radicale della vita di tutti i giorni. Dopo un seminario sul marxismo o l’anarchismo, gli studenti possono parlare a tavola di rivoluzione mentre mangiano i corpi di animali torturati e uccisi. Dopo un seminario sui diritti degli animali, si trovano spesso a fissare il piatto, mettendo in discussione i loro comportamenti più basilari.
In secondo luogo, un’ideologia dei diritti degli animali indaga fino al problema di fondo della crisi del nostro mondo sociale e naturale, poiché è connessa alla nostra alienazione dalla natura e ai valori di dominazione. I diritti animali chiamano in causa antiche visioni del mondo antropocentriche e speciste secondo cui gli uomini si definiscono a parte dagli altri animali, si definiscono a parte da e al di sopra di essi, e si dichiarano signori e padroni della terra selvaggia. Un’ideologia dei diritti animali sfida la gente a rendersi conto che il potere esige responsabilità, che la potenza non è il diritto, e che avere una neo-corteccia cerebrale più grande non è un buon pretesto per sfruttare gli altri animali e stuprare la terra. Descrive la fondamentale uguaglianza tra tutti gli animali, umani e non umani, per il fatto che sono dotati di sensi, hanno preferenze e vite che sono per loro importanti, e dovrebbero poter vivere tali vite senza interferenze.
Il Movimento globale per la Liberazione degli Animali è un movimento abolizionista che chiede la fine di tutte le forme di sfruttamento degli animali, non solamente la riduzione della sofferenza; come il suo predecessore nel XIX secolo, chiede l’estirpazione della schiavitù, non un migliore trattamento degli schiavi. Rubati alla vita libera e selvaggia, nutriti e cresciuti in cattività, tenuti in gabbie e catene contro la loro volontà nonché il loro consenso, gli animali sono letteralmente schiavi, e in quanto tali elementi integranti dell’economia capitalistica e schiavista contemporanea.
Poiché il movimento per la liberazione animale pone non solo una minaccia filosofica alla società moderna, ma anche una minaccia economica, è stato ferocemente attaccato dalle industrie e dallo stato. Negli Stati Uniti, l’ALF (Animal Liberation Front) accanto all’ELF (Earth Liberation Front) è considerato la minaccia “terroristica nazionale” numero uno – non perché siano violenti o una minaccia per la sicurezza pubblica, ma perché sono minacce per i cardini aziendali. Negli USA e anche nel Regno Unito, il movimento per la liberazione animale è bersaglio di repressione draconiana.
Ho dovuto sopportare io stesso dei problemi per aver parlato in difesa dei diritti degli animali nel corso degli anni. Solo la scorsa estate, ad esempio, mi è stato tolto l’incarico di capo dipartimento, mi è stata negata la promozione a professore ordinario, ho subito pressioni per testimoniare di fronte al Senato in udienze di eco-terrorismo, e sono stato bandito dall’intero Regno Unito. Ma le mie tribolazioni non sono che una piccola parte dell’assalto protratto alle libertà, ai diritti, al dissenso e a tutti i tipi di resistenza nel mondo post 11/9 alle guerre al terrorismo e al Patriot Act.
L’urgente necessità della resistenza di massa
Stiamo attualmente vivendo nel mezzo del fiasco dell’invasione dell’Irak, dello smantellamento della Costituzione, della lotta di classe contro le classi medie e basse, della corruzione politica senza precedenti, e di un catastrofico crollo ecologico. Alla luce delle crisi crescenti in tutti i settori, devo chiedermi:
Perché non c’è una rivoluzione in questo paese proprio adesso? Perché la gente va a passeggio nei centri commerciali anziché fare risse in strada? La tirannia che ci sta di fronte oggi è di gran lunga maggiore di quella sofferta dai paesi colonizzati ad opera degli inglesi, ma i colonizzati si sono ribellati con il sabotaggio, la lotta armata, e la guerra rivoluzionaria. Come ha fatto il più ignorante ed incompetente presidente della storia degli Stati Uniti a farla franca con tanta falsità, menzogne, infrazioni della legge, e corruzione in patria e all’estero? Perché Bush, Cheney, Rumsfeld, Rove, la Rice e l’intero governo statunitense non sono dietro le sbarre? Tra altre cose, l’amministrazione di Bush ha:
* dichiarato una guerra illegale e devastante contro l’Irak sulla base di menzogne e prove false, una guerra che è costata la vita a 2,300 soldati americani e a centinaia di migliaia di civili Iracheni
* aggravato il problema del terrorismo globale che prefiggeva di ridurre
* difeso ed utilizzato tecniche di tortura ad Abu Ghraib, Guantanamo Bay, e in campi di tortura clandestini in tutto il mondo
* smantellato la Bill of Rights, sguinzagliato la FBI e la NSA contro tutto il dissenso politico, e creato una società di sorveglianza e uno stato di polizia senza termini di paragone nella nostra storia
* dichiarato guerra ai ceti medi e bassi e il settore sociale deve pagare per questa guerra e per gli sgravi fiscali ai ricchi
* mostrato un’indifferenza scioccante per le vittime degli uragani nella costa del Golfo
* attaccato la scienza e il secolarismo in nome del fondamentalismo cristiano e dell’estrema destra
* è stata effettivamente unica al mondo a negare il riscaldamento globale mentre ha tentato di far tacere le voci scientifiche contrarie
* ha dato carta bianca alle industrie per inquinare e sfruttare l’ambiente
Quanta più corruzione, violenza, repressione e sfruttamento sono necessari prima che la gente si svegli ed incominci ad agire? Quante altre specie devono estinguersi? Quante altre foreste pluviali devono essere abbattute? Quanto si deve ancora surriscaldare il pianeta?
I sistemi ecologici stanno crollando rapidamente e proprio davanti ai nostri occhi. Viviamo in un’era di riscaldamento globale senza precedenti, e nella sesta grande crisi di estinzioni su questo pianeta, l’ultima è stata 65 milioni di anni fa nell’era dei dinosauri.
Perché non rispondiamo a queste crisi con la dovuta preoccupazione e i livelli di lotta appropriati? Gli Americani sono forse come i “buoni tedeschi” che continuavano con i propri affari nel bel mezzo del genocidio nazista?
La crisi ambientale è inseparabile dalla crisi politica, che consiste in una crisi della democrazia. Sembra che abbiamo raggiunto il capolinea della politica dove i cittadini sono diventati consumatori, il pensiero critico è sopraffatto dalla propaganda e dal miasma dei mass media, la preoccupazione pubblica è negata dalla preoccupazione privata, e l’azione politica è annichilita dal consumo senza discernimento dei mass media e degli spettacoli di intrattenimento. Anziché un ambito di dibattito razionale cui si partecipa, la sfera politica è diventata sede di propaganda, manipolazione, disinformazione, e spettacolo. Diversamente dall’antica polis greca, oggi essere un cittadino non significa nulla di più che pagare le tasse, essere un consumatore, e un votante libero di scegliere tra due insipide marche di candidati aziendali.
Stiamo in effetti raccogliendo i frutti della democrazia liberale, che è fondata sulla ricerca del bene personale separato da concetti di bene sociale e virtù civica. Gli affari pubblici devono essere organizzati a vantaggio del privato, e (come nella formulazione autorevole di Locke) i cittadini acconsentono al governo solo per la mutua preservazione della vita, della proprietà e della libertà. I diritti sono diritti negativi di essere liberi da interferenze nel perseguimento del bene privato, anziché diritti positivi a beni sociali di base quali il lavoro, l’istruzione, e un ambiente sano. Mentre Aristotele vedeva gli esseri umani come politici per loro natura, Locke e la tradizione liberale vedevano la politica come una convenzione artificiale necessaria a salvaguardare gli interessi privati affinché non si scontrino tra loro. Il modello liberale di democrazia – accanto alla costante crescita del potere dello stato, dei media e delle aziende che promuoveva, e l’affermazione della cultura di massa e di una società di spettacoli e intrattenimento – ha visto la fine della cittadinanza.
Di sicuro: c’è resistenza e protesta organizzata contro Bush, il capitalismo, e lo sfruttamento degli animali e della terra. Per esempio, 4 stati e oltre 300 comunità hanno approvato dei provvedimenti dichiarando incostituzionale il Patriot Act. Città e cittadine in tutto il paese stanno approvando risoluzioni esigendo che il Congresso incrimini Bush e Cheney. Da Los Angeles a New York, sono scoppiate le dimostrazioni di massa contro le politiche di destra sull’immigrazione per chiedere diritti e giustizia per gli immigranti e coloro che sono stati privati dei diritti civili.
Ma tutte queste lotte sono troppo deboli, e nessuna sfida apertamente il capitalismo e la sua logica ecocida. Le condizioni di lavoro per gli studenti e gli operai è molto peggiore negli USA che in Francia, tuttavia le masse sfruttate di americani portano passivamente il fardello. Il mondo reagisce se una balena rimane intrappolata nel ghiaccio, ma non allo scioglimento del ghiaccio e dei ghiacciai. La stragrande maggioranza della gente ora è contraria alla guerra di Bush, ma più per opinione che per le azioni. E non c’è stata ancora un’azione decisiva per la questione più importante all’ordine del giorno, ossia il riscaldamento globale.
Chi accetterà la sfida? I politici sono troppo corrotti, codardi e riconoscenti al denaro delle corporazioni per agire; sono una parte del problema, non la soluzione. I media hanno da tempo abbandonato le loro responsabilità di informare. Essendo loro stessi giganteschi poteri corporativi, difendono gli interessi delle élite e rispondono a indici di ascolto e a imperativi di profitto, non nell’interesse del pubblico. La loro funzione è intrattenere, non illuminare. Le organizzazioni principali come Greenpeace fanno tanta pubblicità e concludono poco, assorbite dal compito di raccogliere il denaro che alimenta le loro macchine burocratiche. Le organizzazioni come la Conferenza delle Nazioni Unite sull’Ambiente commissionano ricerche, tengono conferenze, pubblicano relazioni, e preannunciano la catastrofe. Ma i media non ne parlano, la gente non ne sente niente, e i titani corporativi fanno finta di non sentire.
Affrontiamo i fatti: dopo decenni di lotte ambientaliste, stiamo tuttavia perdendo terreno nella battaglia per proteggere le specie, gli ecosistemi e la natura selvaggia. Le incitazioni alla moderazione e al compromesso, e la lenta marcia attraverso le istituzioni possono essere viste sempre più come false e grottescamente inadeguate. Nel mezzo del capitalismo globale predatore e del crollo biologico, la “ragionevolezza” e la “moderazione”sembrano del tutto irragionevoli e immoderate, mentre le azioni “estreme” e “radicali”appaiono semplicemente necessarie e appropriate. Prendendo in prestito una frase da Martin Luther King, abbiamo bisogno di eserciti di “estremisti creativi”, che sono i più aggressivi nella lotta contro l’ingiustizia, lo sfruttamento e la distruzione della terra.
La politica come al solito non se ne occuperà. Perderemo sempre se giochiamo secondo le loro regole anziché mandarli al diavolo e inventare nuove forme di lotta, nuovi movimenti sociali, e nuove sensibilità. Le cause richiedono azione decisiva e diretta: le vie di collegamento devono essere bloccate, le reti alla deriva devono essere tagliate, e le gabbie devono essere svuotate. Ma queste sono azioni difensive; devono essere fondati nuovi movimenti, che incorporino questioni sociali ed ecologiche in alleanze multirazziali e globali. Degli approcci simili sono stati tentati da Judy Bari e Earth First!, il movimento per la giustizia dell’ambiente, il movimento internazionale Green, gli Zapatisti, e le lotte altermondiste contro il capitalismo transnazionale.
Una nuova politica rivoluzionaria sarà costruita sui risultati delle tradizioni democratica, socialista liberale e anarchica. Incorporerà le lotte dei verdi, del femminismo e degli indigeni. Fonderà le prospettive umane, degli animali e del pianeta in una lotta di liberazione totale contro il capitalismo globale e tutti i tipi di dominazione. La politica radicale deve invertire il potere crescente dello stato, dei mass media e delle corporazioni per promuovere l’uguaglianza e la democrazia diretta a tutti i livelli della società – economica, politica e culturale. Essa smantella tutte le relazioni di potere asimmetrico e le strutture gerarchiche, compresa quella dell’uomo sugli animali e la terra. È impossibile senza la rivitalizzazione del senso di cittadinanza e la ripoliticizzazione della vita, che inizia con forme di istruzione, comunicazione, cultura e arte che inquietano, svegliano, ispirano e responsabilizzano le persone verso l’azione e il cambiamento.
Ya basta!
Viviamo in un’epoca oscura – l’era post 11/9 e della cosiddetta “guerra al terrorismo”. Da quando Bush è entrato in carica abbiamo visto il ritorno del McCarthismo, il revival di programmi di sorveglianza del tipo COINTELPRO, la sostituzione della Bill of Rights con il Patriot Act, la costruzione di una società di sorveglianza, e l’ascesa di un minaccioso stato di polizia.
Questo è indubbiamente un periodo chiave della storia, un crocevia per il futuro della vita. Le finestre di opportunità si stanno chiudendo. Le azioni che gli esseri umani ora fanno o omettono di fare collegialmente determineranno se il futuro sarà pieno di speranza o tetro. Anche se è orribile contemplare questa eventualità, la nostra specie potrebbe non essere all’altezza di questa sfida e avvicinarsi perciò verso la stessa estinzione cui ha portato moltissime altre specie.
Non c’è soluzione economica o tecnologica alle crisi che ci stanno di fronte, l’unica soluzione consiste nel cambiamento radicale a tutti i livelli. Sia la nostra causa quella umana, animale, o quella della liberazione della terra, dovremmo riconoscere che stiamo lottando per gli stessi diritti e principi basilari e che ci scontriamo contro nemici comuni che comprendono il capitalismo globale, la dominazione dello stato, e le gerarchie di tutti i tipi.
Nel clima politico attuale, dove si può essere accusati di tradimento per aver messo in questione la guerra in Irak, o si può essere tormentati dall’FBI come eco-terroristi perché contrari alla vivisezione, è facile sentirsi intimiditi e ritirarsi dall’azione. Perché come ha fatto notare la sopravvissuta all’Olocausto Elie Wiesel, “la neutralità aiuta l’oppressore, e mai la vittima. Il silenzio incoraggia chi tormenta, mai chi viene tormentato”.
Possiamo trovare l’ispirazione negli attivisti coraggiosi del passato, come Frederick Douglass, Alice Paul, Mohandas Gandhi, Martin Luther King, Malcom X, Chico Mendez, Dian Fossey, o Cesar Chavez. In tempi di dubbio o paura è sempre utile richiamare alla mente le parole di Martin Luther King:
“Codardia pone la domanda, ‘è sicuro?’, Convenienza pone la domanda ‘è politico?’. Ma Coscienza pone la domanda ‘è giusto?’. E arriva il momento in cui si deve prendere una posizione che non è né sicura, né politica, né popolare, ma che la coscienza ci indica come giusta”.
Quel momento è ora arrivato. È arrivato il momento di prendere posizione in difesa della vita e della terra. È ora di tracciare la linea di demarcazione sulla sabbia. E di dire – adesso basta! Non vi è niente di più patriottico che la rivolta contro la tirannia. Come disse Thomas Jefferson, “Ogni generazione ha bisogno di una nuova rivoluzione”.
Steven Best è professore associato di Filosofia e materie umanistiche presso l’università del Texas, El Paso. Visita il suo sito web http://www.drstevebest.com/index.html
Fonte: www.bestcyrano.org
Link : http://www.bestcyrano.org/THOMASPAINE/?p=657#more-657
31.03.08
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MICAELA MARRI
NdT:
[*] Destino manifesto (in inglese: Manifest destiny) è una frase che esprime la convinzione che gli Stati Uniti abbiano la missione di espandersi, diffondendo la loro forma di libertà e democrazia. I sostenitori del destino manifesto credevano che l’espansione non fosse solo buona, ma che fosse anche ovvia (“manifesta”) e inevitabile (“destino”). In origine frase ad effetto della politica del XIX secolo, destino manifesto divenne un termine storico standard, spesso usato come sinonimo dell’espansione degli Stati Uniti attraverso il Nord America e verso l’Oceano Pacifico. (http://it.wikipedia.org/wiki/Destino_manifesto)