Così il governo cinese diffonde la sorveglianza autoritaria globale

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DI ROSANNA SPADINI

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Shi Zhengl, la “Bat Woman” di Wuhan, già nel 2015  aveva scritto un articolo controverso, che descriveva la creazione di un nuovo virus tramite la combinazione di un coronavirus trovato nei pipistrelli a ferro di cavallo, con un altro che provocava nei topi una sindrome respiratoria acuta grave, simile a quella dell’uomo (SARS).  La ricerca scatenò all’epoca un ampio dibattito  sulla validità dei rischi per le varianti di virus di laboratorio con potenziale di pandemia.

Tali risultati avevano rafforzato i sospetti che i coronavirus di pipistrello, in grado di infettare direttamente l’uomo,  avrebbero potuto essere più comuni di quanto si pensasse, come riportato da Nature.com nel 2015. Perché il governo cinese parlò di questa possibile trasmissione da uomo a uomo solo il 21 gennaio?

A metà aprile di quest’anno, il Washington Post riferì che il Dipartimento di Stato USA nel 2018 aveva ricevuto due denunce da parte di funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti,  che avvertivano della mancanza di sicurezza nel Wuhan Institute of Virology (finanziato anche da 3,7 milioni di dollari americani), che stava conducendo “studi rischiosi” sui coronavirus dei pipistrelli.

Sta di fatto che la pandemia di coronavirus sembra essere la versione cinese di Chernobyl, anche se più distruttiva, ed anche se la Cina non è certo la Russia. La Cina è parte integrante dell’economia globale, responsabile di quasi un terzo della crescita del PIL globale, e funzionale alla sopravvivenza del capitalismo universale. La Cina è una fabbrica mondiale e sempre più un soggetto dominante nelle industrie all’avanguardia, compresa l’intelligenza artificiale.

Così impressionanti sono alcuni dei progressi della Cina nelle tecnologie di nuova generazione che lo storico israeliano Yuval Noah Harrari ha predetto il predominio dell’autoritarismo digitale nel XXI sec.

La Cina è ricca, prospera e tecnologicamente avanzata. Come hanno sottolineato i pensatori progressisti come Perry Anderson, il dinamismo sistemico è stato fondamentale per la rivoluzione comunista cinese come mai la sua controparte russa.

Nel periodo post-guerra fredda, la Cina navigò opportunisticamente sulla cresta della globalizzazione economica guidata dagli americani. Il risultato di questa dinamica apparentemente simbiotica sino-occidentale fu quello che Joshua Cooper-Ramo definì notoriamente il “Consenso di Pechino“: un impegno post-ideologico nei rapporti mercantilistici “win-win” con il mondo, in particolare con il regno post-coloniale. Invece di una “fine della storia”, quello che il presidente Xi Jinping ottenne, fu il  “Sogno cinese” per uno dei più antichi imperi del mondo.

Allo scoppio della pandemia del Covid-19, il presidente Donald Trump ha da subito usato il termine “virus cinese“, anziché il termine politicamente corretto, al che tutti a strapparsi le chiome contro l’orrore della xenofobia anti-asiatica, trascurando però il fatto che la pandemia è in gran parte una responsabilità dell’autoritarismo del regime di Xi Jinping.

Infatti i ricercatori di Wuhan sono stati costretti a distruggere le prove del nuovo virus a partire da dicembre, a danno naturalmente di tutto il mondo.

Da qui tutto il mondo si è trovato a dover affrontare una tempesta perfetta: la combinazione di un virus mortale e altamente contagioso, congiunto ad una depressione economica emergente. Magari l’apparente crollo della governance globale subirà una pausa momentanea, ma il virus potrebbe anche mutare i rapporti di forza oggi esistenti.

Benché al momento le aspettative di Bill Gates, che continua a spingere sui “passaporti di immunità” per poter tornare alla “normalità”, sembrino coincidere perfettamente con quelli di Xi Jinping. 

Lo stesso Gates che nell’aprile 2018 disse: “Se un patogeno disperso nell’aria altamente contagioso e letale come l’influenza del 1918 dovesse prendere piede oggi, quasi 33 milioni di persone in tutto il mondo morirebbero in soli sei mesi“.

Infatti oggi Bill difende con veemenza la risposta iniziale della Cina allo scoppio del coronavirus, dicendo a Fareed Zakaria della CNN che il Paese comunista ha fatto molte cose – quello stesso che ha messo a tacere gli informatori e ha mentito sulla contagiosità del virus -.

Chissà perché Bill Gates, uno dei maggiori finanziatori dell’OMS, difende così appassionatamente la Cina?

Forse perché ora per “far ripartire l’economia” bisognerà usare la tecnologia più avanzata, perfettamente funzionale all’attivazione di uno stato di sorveglianza planetaria. E come garantire l’assoluto monitoraggio planetario? Strumenti digitali per il Grande Fratello, what else!! Di cui la Cina è il massimo produttore mondiale.

L’utilizzo di una app infatti potrà scovare tutti gli immuno depressi, i covid positivi, la mappatura dei luoghi frequentati, la cronologia dei contatti… invierà messaggi di allerta per i possibili contagiati, e magari ultrasuoni non percepibili agli umani, ma solo ai replicanti, etc… e via delirando sulle ali della distopia digitale perfetta.

Nelle “democrazie” occidentali il tutto dovrebbe essere volontario, a differenza della Corea del Sud – che costringe i pazienti positivi di Covid ad autoisolarsi e avvisare le autorità quando una persona infetta avesse lasciato la propria casa. Certo, la Corea del Sud – che ha anche impiegato test diffusi e l’uso di mascherine, ha avuto poco meno di 11.000 casi confermati e soli 240 morti.

Quindi quale partner migliore per Bill Gates se non la Cina, che è diventata punta di diamante per lo sviluppo della tecnologia di sorveglianza e/o dell’intelligenza artificiale?

La Cina che ha fatto tesoro con la raccolta di enormi quantità di biodati delle minoranze etniche nello Xinjiang, conquistando in questo modo un ruolo significativo nella conquista del primato.

Il governo cinese ha raccolto tutti i biodati realmente percettibili per attivare un nuovo sistema di carte d’identità: dati biometrici dalla popolazione uigura, raccolta del Dna, impronte digitali, gruppi sanguigni, modelli di voce, immagini facciali, correlati a etnia, occupazione, genere, età, storia dei viaggi all’estero, registrazione della famiglia, storia criminale individuale e familiare, e pratica religiosa.

Ciò ha consentito alle aziende cinesi di accedere a enormi quantità di dati, aspetto fondamentale nello sviluppo della tecnologia di sorveglianza dell’IA, per poi conquistare il mercato mondiale. Naturalmente tutti i regimi sono interessati alla proposta, quelli autoritari del terzo mondo lo hanno già fatto.

La Cina è diventata così motore globale di “tecnologia autoritaria“, le principali società cinesi – Huawei, Hikvision, Dahua e ZTE in particolare – esportano tecnologia di sorveglianza in molti Paesi.  Si tratta di città intelligenti (città con sensori che trasmettono dati in tempo reale per fornire servizi più adeguati), tecnologia di riconoscimento facciale e “polizia intelligente” (la polizia utilizza set di dati di grandi dimensioni per facilitare le indagini).

E perché la Cina avrebbe ottenuto questa posizione dominante? Innanzitutto, la natura autoritaria del regime cinese ha alimentato lo sviluppo delle tecnologie per  controllare in primis i propri cittadini, il che richiede un vasto ed efficiente apparato tecnologico, visto che sono oltre 1.401.586.000.

In secondo luogo almeno 75 Paesi su 176 di tutto il mondo stanno attivamente utilizzando le tecnologie AI per scopi di sorveglianza. In particolare piattaforme per città intelligenti / città sicure (56 paesi), sistemi di riconoscimento facciale (64 paesi) e polizia intelligente (52 paesi).

In particolare Huawei, Hikvision, Dahua e ZTE, forniscono tecnologia di sorveglianza  in 63 paesi, 32 dei quali hanno aderito alla Belt and Road Initiative (BRI). Solo Huawei è responsabile della fornitura della tecnologia di sorveglianza in almeno 50 paesi in tutto il mondo. Nessun’altra compagnia la può eguagliare. Il più grande fornitore non cinese di tecnologia di sorveglianza è invece la giapponese NEC Corporation (14  Paesi).

Le presentazioni di prodotti cinesi sono spesso accompagnate da prestiti agevolati per incoraggiare i governi ad acquistare le loro attrezzature. Tattiche particolarmente rilevanti in Paesi come Kenya, Laos, Mongolia, Uganda e Uzbekistan, che altrimenti non potrebbero accedere a tali tecnologie. Ciò solleva interrogativi preoccupanti sulla misura con cui il governo cinese sta sovvenzionando l’acquisto di tecnologia repressiva avanzata.

Anche le società statunitensi sono attive in questo spazio, presenti in 32 Paesi. Le società statunitensi più significative sono IBM (11 paesi), Palantir (9 paesi) e Cisco (6 paesi). Poi pure altre società con sede in democrazie liberali – Francia, Germania, Israele, Giappone – svolgono un ruolo importante, dimostrandosi molto meno liberali di quanto si possa credere, o meglio esattamente confacenti al liberismo globalizzato.

L’indice mostra che il 51% delle democrazie avanzate implementa sistemi di sorveglianza, mentre gli stati autocratici chiusi sarebbero al 37%, il 41% degli stati autocratici / autocratici competitivi elettorali, e il 41% delle democrazie elettorali / democrazie illiberali.

I governi dei paesi autocratici e semi-autocratici però sono più inclini ad abusare della sorveglianza rispetto ai governi delle democrazie liberali. Altri governi con tristi record sui diritti umani stanno sfruttando la sorveglianza magari per rafforzare la repressione. Tuttavia, tutti i contesti politici corrono il rischio di sfruttare illegalmente la tecnologia per ottenere determinati obiettivi affaristico/politici.

Il rapporto “Freedom on the Net 2018” ha denunciato ancora una volta la Cina, come il peggior violatore della libertà di espressione di internet.

Gli scandali della violazione della privacy e dei Big Data di Facebook e Cambridge Analytica (per Facebook 87 milioni di utenti), si sono aggiunti allo stuolo di Paesi sedotti dall’autoritarismo digitale, e decisi a replicare il modello cinese di ampia censura e sistemi di sorveglianza automatizzata. Come risultato di queste tendenze, la libertà globale di Internet è diminuita per l’ottavo anno consecutivo nel 2018.

Mentre le società democratiche lottano con le sfide di una sfera online più pericolosa e contestata, i leader di Pechino hanno intensificato gli sforzi per utilizzare i media digitali per aumentare il proprio potere, sia in patria che all’estero. La Cina è stata ancora una volta il peggior violatore della libertà di Internet nel 2018 e, nell’ultimo anno, il suo governo ha ospitato funzionari dei media di decine di Paesi per seminari sul suo tentacolare sistema di censura e sorveglianza. Inoltre, le sue società hanno fornito hardware di telecomunicazione, tecnologia avanzata e strumenti di analisi dei dati a una varietà di governi con scarsi riscontri sui diritti umani, che potrebbero essere utilizzati dalle intelligence e dalle autorità repressive locali.

La posizione dominante della Cina sul mercato globale ha suscitato critiche in tutto il mondo, in modo particolare sul ruolo del PCC nella repressione dell’opposizione. Sebbene Huawei e altre aziende abbiano negato con veemenza queste accuse, ci sono alcuni casi in cui la loro tecnologia ha facilitato la repressione delle forze di opposizione. Ci sono due esempi significativi.

In Uganda, dove il presidente Yoweri Museveni è al potere dal 1986 e sta cercando di essere rieletto nel 2021, a Huawei è stato assegnato un contratto da 126 milioni di dollari per installare un sistema TVCC (videosorveglianza) in tutto il paese. I politici dell’opposizione temettero fin da subito che il sistema sarebbe stato usato per reprimere proprio loro.

Infatti probabilmente proprio i tecnici che lavorano per Huawei hanno aiutato il governo ugandese ad entrare nell’account WhatsApp del più importante politico dell’opposizione Bobi Wine, poi successivamente arrestato insieme ad altri, nel 2019, semplicemente perché era un avversario politico.

L’Etiopia è un altro esempio emblematico. Prima che il vincitore del premio Nobel Abiy Ahmed Ali fosse eletto primo ministro nel 2018, il regime etiope era incredibilmente autoritario. A partire dal 2000, ZTE aveva iniziato a fornire tecnologia di sorveglianza al governo etiope, ampiamente usata per sopprimere il dissenso e portare alla soppressione delle libertà democratiche fondamentali come la libertà di espressione.

L’esportazione delle tecnologie di sorveglianza cinesi verso regimi autoritari ha implicazioni di vasta portata. Innanzitutto, l’intelligenza artificiale migliora la possibilità di un regime di monitorare la sua popolazione in modo più efficace. In un contesto autoritario, ciò significa che le libertà fondamentali subiranno ulteriori pressioni. I gruppi vulnerabili, come le minoranze etniche, sono messe particolarmente a rischio. La creazione di uno stato di sorveglianza autoritaria nello Xinjiang ne è l’esempio perfetto.

Inoltre, in molti casi non è chiaro chi controllerà i dati generati da questi sistemi. I governi locali avranno l’ultima parola su cosa accadrà a questi dati o le aziende cinesi ne avranno il controllo? Considerando il fatto che i dati sono una risorsa cruciale nell’economia mondiale, questa è una domanda fondamentale che spesso non viene affrontata correttamente. La Cina sarebbe in grado di aumentare la propria posizione nel mondo se potesse ottenere l’accesso a enormi database all’estero.

Al Congresso del 2017, Xi Jinping aveva annunciato che lo sviluppo della Cina avrebbe offerto una “nuova opzione per altri paesi e nazioni che vogliono accelerare il loro sviluppo preservando la loro indipendenza” e che “è tempo per noi di essere al centro della scena nel mondo, e dare un contributo maggiore all’umanità ”.

In effetti, il resto del mondo stava per scoprire quale sarebbe stato quel maggior contributo, dato che gli anni successivi sarebbero stati una svolta nella storia cinese, perché la Cina di Xi è passata dall’essere uno stato autoritario principalmente interessato alla costruzione della stabilità interna, ad uno che ora sta attivamente esportando l’autoritarismo sulla scena mondiale. Ciò include una strategia coordinata su quasi tutti i fronti, compresi quelli economici, tecnologici, militari e politici.

La Cina di Xi quindi sta usando aiuti economici e tecnologici per sostenere e rafforzare le autocrazie in tutto il mondo, in tal modo è diventata uno dei maggiori ostacoli alla diffusione di valori democratici. E il virus sembra proprio arrivato al momento giusto per inaugurare il nuovo secolo cinese, dominato da lockdown planetaria, produzione globale di tecnocrazia, bioscientologia ingegnerizzata e propaganda mediatica mondialista, espressione di potentissimi gruppi d’interesse e organismi sovranazionali, che stanno alla base del deepstate antitrumpiano… vedi il discredito continuo, che rimbalza su tutti i networks alla prima occasione possibile.

 

Rosanna Spadini

28.04.2020

 

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