DI ROBERTO ARDITTI
huffingtonpost.it
Era difficile congegnare un regalo meno efficace alla vulgata sovranista e populista di quello venuto fuori nell’ultima serata del Festival.
Vince Mahmood (nato 26 anni fa a Milano da madre italiana e padre egiziano), ma questa potrebbe essere di per sé anche una buona notizia.
In fondo in questa vittoria c’è tutta la vitalità di una nuova generazione di italiani che mescolano abitudini, suoni e colori di ogni parte del mondo: italiani di nuovo conio che sfondano le barriere della tradizione proiettando anche la nostra Italietta nel futuro globale (per quanto possibile ad un Paese che ormai conta meno dell’1 % della popolazione mondiale).
Certo, a molti connazionali quel nome dell’artista può dare fastidio (Alessandro Mahmoud all’anagrafe), però i cambiamenti vanno anche un po’ imposti “a strappo”, perché se stiamo lì sempre a misurare tutto col centimetro non andiamo da nessuna parte.
Il punto quindi è un altro ed è tutto legato al meccanismo che ha condotto Mahmood a vincere.
Infatti nel voto “da casa” stravince Ultimo, che raccoglie il 46,5 % dei consensi, mentre il giovane italo-egiziano si ferma ad un risicato 14 %.
Sono due giurie di pure “élite” a stravolgere il risultato, cioè quella formata dagli “esperti” (scelti dall’organizzazione) e quella dei giornalisti. Il voto di questi due gruppi ribalta il risultato popolare, consegnando il Festival al meno votato dei tre finalisti (i ragazzi de Il Volo raccolgono il 39,5 % al TeleVoto, finendo poi secondi anche nella classifica generale).
Eccolo allora il capolavoro di questa edizione del vero momento catartico della nazione (cioè il Festival): le élite “fregano” il popolo, infischiandosene del suo volere.
Un po’ come le banche, le multinazionali, i poteri forti, gli intellettuali (direbbero sovranisti e populisti), tutti pronti a curare i propri interessi contro la volontà popolare.
D’altronde chi è più élite degli esperti, cioè i custodi della opposizione feroce al principio “uno vale uno”? È chi è più lontano dalla pancia del Paese (che parla via social) dei giornalisti, ancora lì a cullarsi nell’idea (anacronistica) di poter essere mediatori culturali tra i potenti e la gente, tra i fatti e le opinioni, tra il giusto e lo sbagliato? Dunque esperti e giornalisti hanno preso a calci nel sedere il popolo, riaffermando la loro supremazia (Mahmood vince, Ultimo perde) e finendo quindi per mettere in atto la prima vera grande rivincita dopo il 4 marzo 2018 (data delle ultime elezioni).
Una giuria “fighissima” e tendenzialmente di sinistra (Dandini, Pagani, Ozpetek, Raznovich, Bastianich, Severgnini) straccia il risultato popolare (“Da casa eravamo il quadruplo” twitta imbufalito Ultimo, che non a caso manda anche a quel paese l’intera sala stampa) e sceglie il meticcio Mahmood, sintesi perfetta di un’idea moderna e progressista della società ma, soprattutto, emblema vivente di tutto ciò che non piace all’altra Italia, quella che vota (almeno per ora) per Salvini e per il M5S.
Insomma è a Sanremo che l’élite ha deciso di ribellarsi, altro che sulla nomina di Signorini alla Banca d’Italia o nel ricucire lo strappo con Macron.
La prova?
Facile da trovare.
C’è tutta nella reazione in tempo reale di Salvini su Instagram (74.000 like e 21.000 commenti) che scrive così: “Mahmood… Mah… La canzone più bella?!? Io avrei scelto Ultimo, voi che dite?!?”.
Roberto Arditti
Fonte: www.huffingtonpost.it
Link: https://www.huffingtonpost.it/roberto-arditti/con-la-vittoria-di-mahmood-le-elite-si-prendono-la-prima-grande-rivincita-dopo-il-4-marzo-2018_a_23665939/
11.02.2019