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La Redazione

 

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Chiudere i boccaporti prima che le piogge facciano naufragare il Vascello Occidentale

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A cura di Markus
Il 17 Settembre 2024
15393 Views

Alastair Crooke
strategic-culture.su

Israele sta entrando nella fase successiva della sua guerra contro la Palestina, completando l’acquisizione della Striscia di Gaza – dal confine settentrionale al corridoio di Netzarim. È probabile che l’intenzione sia quella di rendere quest’area gradualmente disponibile per gli insediamenti ebraici e l’annessione a Israele.

In un articolo intitolato “Annessione, espulsione e insediamenti israeliani: Netanyahu si prepara alla prossima fase della guerra di Gaza“, il direttore di Haaretz, Aluf Benn, scrive che, se l’acquisizione dovesse procedere, “i residenti palestinesi che rimangono nel nord di Gaza saranno espulsi, come suggerito dal Magg. Gen. (ris.) Giora Eiland, minacciati di morire di fame e con la scusa di ‘proteggere le loro vite‘”. Netanyahu e i suoi sostenitori vedranno questa mossa, suggerisce Benn, come una conquista di una vita: espandere il territorio di Israele per la prima volta, dopo 50 anni di ritiri israeliani. Questa sarà la “risposta sionista” al 7 ottobre della destra israeliana.

Questo straordinario cambiamento è stato attuato – non solo attraverso operazioni militari – ma con un tratto di penna: la nomina del col. Elad Goren a capo dello sforzo umanitario-civile a Gaza, che, di fatto, lo rende “governatore di Gaza” per gli anni a venire.

La dura realtà che i media mainstream occidentali hanno fatto passare quasi sotto silenzio è il fatto che, nel corso dei venti mesi in cui l’attuale governo israeliano è stato al potere, Ben Gvir ha armato un movimento di vigilantes forte di 10.000 coloni che terrorizza i palestinesi in Cisgiordania. La polizia dei Territori occupati risponde già all’autorità di Ben Gvir.

Ciò che manca in questa valutazione è che, mentre Ben Gvir metteva insieme il “nuovo esercito dello Stato di Giudea”, il ministro delle Finanze Smotrich, che dirige l’Amministrazione dei Territori, ha rivoluzionato la situazione dei coloni ebrei e dei palestinesi in Cisgiordania. L’autorità in Cisgiordania è stata affidata a un movimento messianico chiuso e di destra che risponde solo a un singolo uomo: Smotrich (il governatore della Cisgiordania in tutto tranne che di nome).

In quella che Nahum Barnea descrive come una furtiva manovra a tenaglia messa in atto da Smotrich, un braccio del potere è rappresentato dalla sua autorità di ministro delle Finanze, il secondo braccio consiste nel potere che gli è stato delegato in qualità di secondo ministro del ministero della Difesa. L’obiettivo di Smotrich, e del governo israeliano, esposto nel “Piano decisivo” di Smotrich nel 2017, non è cambiato: indurre il collasso dell’Autorità palestinese, impedire la creazione di uno Stato palestinese e dare ai sette milioni di palestinesi che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo una scelta: morire combattendo, emigrare in un altro Paese o vivere per sempre come vassalli in un grande Stato israeliano.

Non c’è dubbio che il “Piano decisivo” per i palestinesi sia ben avviato: terrorizzare i cisgiordani affinché abbandonino la loro terra, distruggere le infrastrutture sociali in Cisgiordania (come a Gaza) e, come a Gaza, esercitare una dura pressione finanziaria sulla società palestinese.

Il fatto che Netanyahu sia volutamente poco chiaro sul possibile futuro di Gaza non ha bisogno di ulteriori spiegazioni. I palestinesi nel nord di Gaza dovranno affrontare il destino degli armeni del Nagorno-Karabakh: un anno fa, con una rapida mossa da parte dell’Azerbaigian, erano stati espulsi da un giorno all’altro dalla regione. Il mondo se n’era accorto e aveva semplicemente “voltato pagina”, secondo la concezione israeliana della storia. Netanyahu ha preferito una “piccola bugia” sul futuro di Gaza, piuttosto che dire la grande verità ad alta voce.

Con la dichiarazione di Netanyahu della scorsa settimana a Fox News, negli Stati Uniti, “che nessun accordo per il rilascio degli ostaggi da Gaza è in corso, né è prossimo ad essere siglato“, con l’aggiunta che le vibrazioni positive (per lo più provenienti da Washington) erano “false narrazioni“, Netanyahu ha effettivamente lanciato la prossima fase della guerra di Israele: l’azione militare nel nord di Israele, volta a creare le condizioni per il ritorno dei residenti sfollati. Queste tre componenti israeliane (nord di Gaza, Cisgiordania e Libano) sono collegate tra loro. Di fatto, sono interconnesse:

In assenza di un “accordo diplomatico” che preveda l’allontanamento di Hizbullah dalla regione di confine (e il suo non ritorno), Israele, per forza di logica, ha solo due opzioni: un cessate il fuoco a Gaza che potrebbe pacificare il confine settentrionale, o un’escalation deliberata nel nord, con tutte le sue ramificazioni.

L’idea che Hizballah possa essere “convinto” ad allontanarsi dal confine libanese è sempre stata una “chimera”. Le prospettive di un accordo su Gaza, dicono ora i mediatori, sono “prossime allo zero“, quindi l’attenzione di Israele si è spostata a nord.

Il generale Gantz, presidente del partito di opposizione National Unity – a Washington per il vertice Middle East America Dialogue (MEAD) – e critico del governo di Netanyahu, è sembrato comunque riconciliato con l’inevitabile: “Hamas è ormai storia vecchia“, ha detto. “La storia dell’Iran e dei suoi proxy in tutta l’area e di ciò che stanno cercando di fare è il vero problema… L’attenzione militare dovrebbe spostarsi da Gaza al Libano“, aggiungendo che “Su questo siamo in ritardo. È arrivato il momento di [agire nel] nord“.

Il generale americano Kurilla, che comanda le forze statunitensi nella regione, è arrivato nel fine settimana in Israele – la sua seconda visita in una settimana – per completare “il coordinamento con l’IDF in previsione di un possibile attacco di rappresaglia iraniano e di Hezbollah“.

Washington, pur impegnandosi a sostenere Israele in tutti i conflitti con l’Iran o Hezbollah, è comunque preoccupata. Nei giorni scorsi, alti funzionari americani hanno espresso il timore che una guerra su larga scala contro Hezbollah possa causare ingenti danni al fronte interno israeliano, soprattutto se l’Iran e altri membri dell’Alleanza della Resistenza dovessero partecipare.

L’acquisizione da parte dell’Iran di materiale di difesa russo avanzato ha complicato notevolmente il quadro per gli Stati Uniti: potrebbe rivelarsi una svolta se abbinata alla scorta dei moderni missili d’attacco dell’Iran. La guerra moderna è passata attraverso una rivoluzione. Il dominio aereo occidentale è stato messo sotto scacco.

Gli Stati Uniti (incautamente) si sono impegnati in tutti i conflitti che vanno dal Libano all’Iran – e questo, di per sé, potrebbe minacciare le prospettive elettorali di Kamala Harris, dato che negli Stati americani chiave cresce la rabbia tra gli elettori musulmani .

A Washington molti sospettano che Netanyahu non veda l’ora di danneggiare l’accoppiata Biden-Harris e favorire l’elezione di Trump.

Il piano di Netanyahu di “grandi vittorie” per liberare il Grande Israele dai palestinesi si sta realizzando, ma la repressione di Hizbullah rimane in sospeso. Tutte queste “vittorie” sono lontanamente realizzabili? No. Rischiano piuttosto il collasso di Israele (come hanno chiarito autorevoli commentatori, p.e. il maggiore generale Brick). È tuttavia possibile che Netanyahu cerchi di portarlo a termine. In Israele lo spirito kahanista continua a vivere e oggi è mainstream.

Questa prospettiva è come l’ombra scura di un enorme cigno nero che volteggia sopra il Medio Oriente, per i mesi che mancano alle elezioni americane.

Anche la guerra in Ucraina contiene i semi di una sgradevole e inaspettata sorpresa.

Questa settimana, al Forum Economico Orientale di Vladivostok, il Presidente Putin, ha suggerito che anche la guerra in Ucraina si trova a un punto di inflessione, al pari di quella in Medio Oriente: la Russia ha ribaltato la situazione con gli Stati Uniti grazie alla sua risposta all’incursione di Kursk, all’interno del territorio russo.

Le forze russe hanno assecondato la folle mossa dell’Ucraina (il dispiegamento delle sue brigate migliori e dei suoi preziosi mezzi corazzati occidentali in una gabbia boscosa e poco popolata), si sono messe comode e hanno iniziato il tiro al piccione.

Mosca ha rifiutato l’esca e non ha ritirato le sue riserve dal fronte del Donbass per schierarle a Kursk. E, a Vladivostok, Putin ha chiarito, con tranquilla sicurezza, che Zelensky “non ha ottenuto nulla dall’offensiva di Kursk. Le forze russe hanno stabilizzato la situazione a Kursk e hanno iniziato a respingere il nemico dai territori di confine, mentre l’offensiva nel Donbass ha registrato impressionanti guadagni territoriali”.

Per chiarezza, Putin ha detto che il nemico sta subendo perdite molto pesanti, sia in termini di uomini che di attrezzature. Questa situazione, ha sottolineato, potrebbe portare al collasso del fronte nelle aree più critiche e alla perdita completa della capacità di combattimento delle forze armate ucraine.

Putin può insistere che, come sempre, è aperto al dialogo; ma le sue parole, alla fine della frase, sono state nette, una mazzata, “che è ciò a cui miravamo” (riferendosi alla perdita completa della capacità di combattimento dell’Ucraina). Si tratta di sei parole chiave.

Tanto per estrapolare, con il completo collasso della capacità di combattimento dell’Ucraina quasi certamente si disfa l’architettura politica che fa leva esclusivamente su quelle capacità militari – e non su qualche legittimità politica.

Ciò che Mosca non può prevedere è come, o in quale forma, tale disfacimento potrebbe avvenire.

Le strutture politiche di Kiev continueranno probabilmente ad esistere come zombie, anche se private della loro ragion d’essere finché l’amministrazione Biden riuscirà a gestirle, per salvare la faccia fino alle elezioni.

Il Presidente Putin può “parlare” di mediazione, ma Mosca sa bene che la struttura di potere a Kiev è stata attinta da un pool di razzisti anti-slavi proprio per bloccare qualsiasi accordo con Mosca. La mediazione è destinata a essere respinta – questo era stato fin dall’inizio lo scopo di Washington quando aveva dato il potere al blocco banderista.

Il disfacimento delle strutture politiche di Kiev, tuttavia, renderebbe probabilmente superflui tutti gli “aspiranti mediatori”.

In tutta franchezza, a Kiev un nuovo ordine di potere (ripulito) probabilmente concluderebbe che, per offrire una neutralità formale e limiti alla futura militarizzazione, avrebbe poche opzioni se non la capitolazione sul campo di battaglia. E Mosca è più che in grado di discuterne con gli ucraini, senza “aiuti” dall’esterno.

Naturalmente, si leverà il coro che gli Stati Uniti non saranno in grado di accettare il completo collasso delle capacità militari dell’Ucraina. In vista delle elezioni di novembre, questo è abbastanza vero (retoricamente). Ecco perché Putin mantiene viva la “narrativa della mediazione”.

Ci sarà da gestire il vertice dei BRICS (in Russia, a fine ottobre). L’Occidente spingerà la mediazione fino all’ultimo, per tenere l’attuale regime russofobico di Kiev in vita il più a lungo possibile – e per mantenere la nozione di un conflitto congelato in primo piano nella mente di alcuni partecipanti ai BRICS. Tuttavia, la proposta di un conflitto congelato è una trappola per gettare le basi di una futura piattaforma di pressioni sulla Russia.

I capi dei servizi segreti statunitensi e britannici possono giocare con l’idea di colpire in profondità la Russia con gli ATACMS, ma il ricorso a misure (francamente) mirate a terrorizzare la popolazione civile russa e a minare la popolarità di Putin serve più che altro a sottolineare il fallimento strategico occidentale. Ancora una volta, l’Occidente non è riuscito a mettere in piedi una forza militare credibile per rovesciare un obiettivo, anche se dipinto a tinte demoniache.

La guerra è persa, la lotta per mantenere la “finzione forzata” è persa e tutti la vedono come una falsa realtà.

Alastair Crooke

Fonte: strategic-culture.su
Link: https://strategic-culture.su/news/2024/09/16/closing-hatches-before-rains-founder-the-western-vessel/
16.09.2024
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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Alastair Crooke CMG, ex diplomatico britannico, è fondatore e direttore del Conflicts Forum di Beirut, un’organizzazione che sostiene l’impegno tra l’Islam politico e l’Occidente. In precedenza è stato una figura di spicco dell’intelligence britannica (MI6) e della diplomazia dell’Unione Europea.

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