Chi vuole trasformarla in un’icona non ha capito la sua scelta

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DI PIETRO BOCCHIA

ilsussidiario.net

Greta Thunberg mette in discussione il paradigma su cui si fonda lo sviluppo dell’Occidente. Quello del tornaconto qui e ora. Due strade sono possibili.

Lo scorso mese una circolare ministeriale invitava le scuole “a considerare giustificate le assenze degli studenti occorse per la mobilitazione mondiale contro il cambiamento climatico” tenutasi venerdì 27 settembre. Ammesso pure che sia adeguato presentare così la mobilitazione – “contro il cambiamento climatico”? o piuttosto atta a sensibilizzare la realtà di tale cambiamento? e a interrogarne cause e conseguenze? – la circolare del ministro Lorenzo Fioramonti, così candidamente presentata “in accordo con quanto richiesto da molte parti sociali e realtà associative impegnate nelle tematiche ambientali”, è l’emblema di una società, la nostra, che, sotto le apparenze di una sensibilità ambientalista, dimostra tutto il suo odio nei confronti del “tipo umano” Greta Thunberg.

Ne sia riprova che, a differenza di Greta Thunberg, ma in perfetta sintonia culturale con il ministro Fioramonti, lo studente italiano che oggigiorno va in manifestazione chiede il permesso di andare in piazza ai genitori e/o ai professori, magari esortando questi ultimi a evitare spiegazioni nel giorno della manifestazione così che non debbano “recuperare” il tempo, dico io, a questo punto sicuramente perduto, della protesta. Ebbene, si sono accorti i nostri ragazzi che richiedere un permesso per andare in manifestazione ne squalifica ipso facto la partecipazione alla medesima? E il ministro Fioramonti ha capito che, con la sua presa di posizione, ha reso semplicemente insensata la partecipazione degli studenti alla manifestazione?

Ovviamente no. La buona educazione dei nostri studenti e la liberale circolare del ministro, insomma, dimostrano un fatto puro e semplice: che nel nostro Paese un atto di disobbedienza civile, ovvero Greta Thunberg, è divenuto inconcepibile.

Per il fatto di vivere in questo contesto culturale non dobbiamo stupirci dunque dell’inevitabile senso di estraneità che proviamo di fronte alla ragazzina svedese: una ragazzina che ha la faccia tosta di convincere la madre, di professione cantante lirica, a rinunciare alla carriera per non avallare un sistema di trasporto, quello aereo, che contribuisce in modo rilevante alle emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera; o che ha l’impertinenza di manifestare da sola per alcune settimane davanti al Parlamento svedese con un cartello in mano, “Skolstrejk för klimatet” (sciopero scolastico per il clima) e, in seguito, impertinenza doppia, con lo stesso cartello di scioperare da scuola ogni venerdì, senza chiedere il permesso a nessuno.

Perché Greta non chiede il permesso ai genitori? Perché considererebbe, nel migliore dei casi, offensiva una circolare ministeriale che ne giustificasse l’assenza da scuola? Perché Greta ha individuato una priorità di vita, climate justice viene definita, che considera al di sopra di ogni altra: per essa è disposta a sacrificare lo shopping, il consumo di carne, l’aereo e, sì, anche la scuola; insomma, quello che il mondo adulto in Occidente considera irrinunciabile.

Ebbene, c’è qualcosa di inquietante per la cultura oggi dominante il nostro Paese e, più in generale, l’Occidente liberal-democratico nel fatto che una ragazzina di quindici anni abbia l’ardire di stabilire una priorità di vita non allineata a quelle degli adulti; perché mette in discussione proprio noi adulti e, con noi, quel paradigma culturale ed economico, diciamo la società dei consumi neoliberista, da cui discende quel certo stile di vita che riteniamo tanto innocentemente quanto ingenuamente ovvio, naturale, assegnato in dote all’umanità (occidentale) da non si sa bene quale decreto divino.

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