D ALESSANDRO GUARDAMAGNA
comedonchisciotte.org
Cosa resta oggi del mito di Ernesto Guevara?
Riceviamo e volentieri pubblichiamo, ricordando Che Guevara (1928-1967), 50 anni dopo la morte. Fu ucciso in Bolivia nel 1967.
Alle 13.10 del pomeriggio di Lunedì 9 Ottobre 1967, moriva all’età di 39 anni Ernesto Che Guevara, marxista rivoluzionario che insieme a Fidel Castro era stato l’anima della rivoluzione cubana del ’59 che portò alla caduta della dittatura di Batista. Nell’autunno del 1966 Guevara andò in Bolivia in incognito, a capo di un gruppo di guerriglieri nella regione di Santa Cruz. L’idea era quella di infiltrarsi fra la popolazione locale per sollevarla contro il regime di Barrientos.
L’8 Ottobre 1967 il gruppo fu quasi annientato da un distaccamento speciale dell’esercito boliviano. Guevara, ferito, fu catturato e condotto nel villaggio di La Higuera dove sarà ucciso il giorno seguente. Il suo corpo sarà successivamente trasferito a Vallegrande dove sarà sepolto in una tomba senza nome, dopo che le mani saranno amputate. Solo nel 1997 i resti verranno riesumanti e portati a Cuba per essere posti nel mausoleo di Santa Clara.
Nato a Rosario in Argentina da una famiglia di origine basco-irlandese, Che Guevara attrae l’immaginario collettivo non solo per la sua singolare esistenza, vissuta all’insegna della lotta contro l’ingiustizia sociale, ma soprattutto per la morte che rispecchia uno stilema profondamente radicato nella cultura occidentale: quella del sacrificio estremo dell’uomo per i suoi simili.
Questo da solo, senza contare le imprese che lo videro protagonista in vita, sarebbe sufficiente a fare del Che un eroe. Guevara e i suoi compagni cadono sacrificandosi per la liberazione degli oppressi del Sud America, crociata che doveva partire dal cuore del continente, la Bolivia, per “accendere due, tre, molti Vietnam” così da costringere gli Stati Uniti a disperdere le forze e ad indebolirsi.
L’incendio che doveva portare alla progressiva sollevazione dei popoli dell’America Latina non avvamperà mai e il sogno politico di Guevara fallirà. Nonostante l’insuccesso la sua morte, dopo aver cercato di far uscire i feriti e i malati dalla gola dove era asserragliato con diciotto compagni, ne rafforzerà la fama di figura storica e ideale. Solo sei guerriglieri riusciranno a rompere l’accerchiamento di diverse migliaia di soldati delle forze governative e a riparare in Cile, dove saranno accolti personalmente da Salvador Allende.
Il Che, che sorregge un compagno ferito – El Chino – viene colpito a sua volta, catturato, e dopo un giorno di prigionia ucciso a sangue freddo per ordine del governo boliviano di Barrientos su indicazioni inviate da Washington. Il suo sacrifico finisce così per rievocarne molti altri, reali e letterari, che da millenni riecheggiano nella tradizione culturale occidentale, da quello di Leonida e degli Spartani che cadono alle Termopili per difendere la libertà della Grecia contro le preponderanti forze persiane, a quello di Rolando a Roncisvalle nell’Agosto del 778 DC. Gli ultimi gesti del Che, che dopo essersi prodigato per i suoi compagni invita il suo scosso carnefice a finirlo – “Spara, non avere paura! Spara!” – conferiscono all’uomo qualcosa di sovrumano, e rievocano il principio cristiano che da duemila anni insegna che una delle forme d’amore più grande è quella di colui che consapevolmente sacrifica sé stesso per gli altri.
Forse il Che non è un eroe medievale, ma come i cavalieri idealizzati discendenti dalle immagini delle Chanson de geste rispetta un codice d’onore che lo vede combattere a difesa dei deboli. Può non essere un eroe romantico, ma come Byron dedica la vita alla lotta per la libertà degli oppressi. Sarebbe corretto dire che il Che non è solo un eroe medievale o romantico perché finisce per comprendere queste due figure e superarle, assurgendo al ruolo superiore di eroe mitico, e quindi universale – ed è per questo che lo percepiamo vicino a noi. Il suo esempio sopravvive alla sua scomparsa e lascia un significato imperituro a memoria della lotta per la libertà e del prezzo che essa può esigere.
Come scrisse il giornalista inglese Richard Gott, che ne vide la salma, “il corpo era veramente quello del Che, che avevo incontrato a Cuba nel 1963. Egli fu forse l’unica persona che tentò di dirigere le forze radicali di tutto il mondo in una campagna contro gli Stati Uniti. Ora è morto, ma e difficile immaginare che le sue idee possano morire con lui”.
Se politicamente il suo progetto fallisce, storicamente ed idealmente la sua figura trionfa e la sua fine garantisce la continuità di quel trionfo oltre la barriera del tempo fissata dalla sua vita terrena.
Il paradosso è che in gran parte ad assicurare l’immortalità eroica dell’uomo Ernesto Guevara de la Serna sarà proprio la cultura di quel mondo occidentale che egli con ogni fibra del suo essere avrebbe voluto abbattere.
Alessandro Guardamagna
Fonte: www.comedochisciotte.org
01.12.2017