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La Redazione

 

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Caro Draghi le risorse non sono scarse

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A cura di CSEPI
Il 29 Marzo 2021
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Draghi

Draghi

Nel suo discorso attraverso cui ha chiesto la fiducia al Senato, l’ormai premier Mario Draghi ha dichiarato quanto segue: <<Spesso mi sono chiesto se noi abbiamo fatto tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura. Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni>>.

Il tema delle risorse scarse è ricorrente in economia ed è argomento centrale e dirimente rispetto al quale le varie scuole si posizionano.

All’interno di questo contesto è possibile sostenere che nell’evoluzione storica delle idee economiche, tutte le teorie economiche possono essere ricondotte all’uno o all’altro di due paradigmi alternativi molto ampi: uno focalizzato sullo scambio e l’altro sulla produzione, che saranno di seguito analizzati.

PARADIGMA DELLO SCAMBIO

In questo paradigma il ruolo fondamentale è svolto da un modello di puro scambio (o di pura utilità individuale) in cui, data una configurazione iniziale di risorse, i singoli individui massimizzano la propria utilità scambiando, sulla base dei prezzi che trovano sul mercato, le risorse di cui sono stati dotati.

Ne deriva che, se lasciati liberi di scambiare le loro risorse senza impedimenti, i prezzi di mercato risulteranno essere tali (in equilibrio) da condurre il sistema economico ad una migliore allocazione di quelle risorse.

L’insieme dei prezzi di mercato, generato dalle interazioni di tutti gli individui, assume un ruolo assolutamente centrale nell’intero modello.

Tutti i teoremi e tutte le elaborazioni sono di solito sviluppati innanzitutto per questo modello minimale, altri aspetti sono introdotti successivamente.

PARADIGMA DELLA PRODUZIONE

Un altro paradigma alternativo che si può individuare, che ha generato un’intera serie di indagini economiche, è quello della produzione.

Il modello di produzione che sottende questo paradigma, deriva dal fenomeno economico del processo tecnologico di produzione, caratterizzato dalla divisione e specializzazione del lavoro.

Produzione e scambio sono interamente collegati dalla specializzazione del lavoro.

I prezzi rappresentano indici dei costi ma non portano con sé tutte le informazioni necessarie per raggiungere l’equilibrio nel sistema economico; ciò significa che non esiste alcun meccanismo automatico concepito per assicurare una completa utilizzazione delle risorse disponibili, in particolare del lavoro.

DIFFERENZE FONDAMENTALI TRA I DUE PARADIGMI

Le caratteristiche di fondo dei due paradigmi sono sorprendentemente differenti.

Riguardo al “tempo”.

Il modello di puro scambio è privo di dimensione temporale. Il problema che viene affrontato è un problema posto una volta per tutte: come allocare risorse scarse in maniera ottimale.

Nel modello di pura produzione il problema è posto in maniera sequenziale nel tempo.

La produzione e i servizi di lavoro sono flussi, hanno una dimensione temporale.

Il modello conduce ad investigare i movimenti nel tempo.

Riguardo alle “divergenze filosofiche”.

La scelta teorica implicita nella formulazione del modello di puro scambio deriva da una filosofia sociale particolare, che si fonda sull’interesse personale di ciascun individuo come base del comportamento razionale. Sull’idea, cioè, della sovranità del consumatore, sulla fiducia nel mercato come meccanismo che produce l’utilizzazione di tutte le risorse – non lasciandone nessuna disoccupata – e sulla proprietà privata di tutti i beni come postulato fondamentale della teoria stessa.

Per contrasto il modello di pura produzione deriva da un altro modo particolare di guardare la società che, attraverso la divisione del lavoro, sottolinea gli aspetti necessariamente cooperativi di qualunque società organizzata, ricerca una responsabilità della società – nel suo complesso – nel condurre a situazioni considerate come socialmente desiderabili.

Diventa necessaria, dunque, la realizzazione macro-economica che riguarda la domanda effettiva nel suo complesso: quest’ultima deve essere sufficiente ad assicurare la piena occupazione.

DAL PARADIGMA DELLA PRODUZIONE AI KEYNESIANI, TRATTI DISTINTIVI DI UNA TEORIA ALTERNATIVA A QUELLA DOMINANTE

1.    Realtà (e non soltanto astratta razionalità) come punto di partenza della teoria economica.
“Quando i fatti cambiano, cambio opinione” diceva Keynes. La scuola keynesiana ha sempre mostrato una forte avversione nei confronti di un mondo puramente immaginario di individui che si comportano razionalmente, un mondo che non riflette quello della realtà. Ogni teoria deve basarsi sull’evidenza fattuale e questo aspetto diventa cruciale quando si sta indagando su società industriali.

2.    Logica economia e coerenza interna (e non solo rigore formale).
La teoria economica non deve solo rispettare i fatti fin dall’inizio. Deve anche mantenere uno stretto contatto con la realtà economica. Questo perché ogni economia è un sistema tipicamente complesso e in evoluzione, in cui è importante individuare le caratteristiche sottostanti.

3.    Malthus e i classici (non Walras e i marginalisti) come la principale fonte di ispirazione nella storia del pensiero economico.

La riconsiderazione delle idee e della metodologia degli economisti classici è fondamentale per una comprensione dei contributi essenziali della scuola di Cambridge e per inquadrarli in un paradigma economico della produzione piuttosto che dello scambio.

4.    Sistemi economici non-ergodici (e non sistemi stazionari, senza tempo).
Gli economisti della scuola di Cambridge erano convinti che ogni sistema economico dovesse essere analizzato in un contesto di tempo storico e che questa dimensione temporale non potesse essere rimossa dall’analisi. Ciò è vero non solo per l’analisi di lungo periodo ma anche per quella di breve periodo. Il riconoscimento dell’importanza del tempo storico è legato alla convinzione che i sistemi economici non abbiano una posizione di riposo, né consentano di riportare indietro l’orologio, una nozione che è condensata qui con il termine di non ergodico. Keynes sottolineò il ruolo dell’incertezza e della non prevedibilità degli eventi futuri.

5.    Causalità e interdipendenza.
La nozione di tempo storico apre la questione della causalità. Keynes e l’intero gruppo dei keynesiani di Cambridge considerarono sempre necessario far emergere prima di tutto quelle variabili e quelle relazioni che, dal punto di vista dei fatti, sono le più importanti, lasciando le altre ad un secondo livello. Ciò implica il riconoscimento dell’esistenza di catene di relazioni di tipo causale.

6.    Macroeconomia prima della microeconomia.
Gli economisti keynesiani hanno colto molto chiaramente il principio secondo cui il comportamento del sistema economico nel suo complesso non è sempre riconducibile alla somma di ogni sua singola parte, nel senso che non è esclusivamente dalla somma delle singole parti che si ottiene il risultato complessivo. Ci sono molti esempi di “fallacia di composizione” che la scuola di Cambridge ha messo in luce, in contrapposizione a tentativi di estendere ciò che è vero per il singolo individuo al comportamento del sistema economico nel suo complesso.

7.    Disequilibro e instabilità (e non equilibrio).
Questa caratteristica esprime la convinzione che una moderna economia non può mai essere in una posizione di perfetto equilibrio. Questo naturalmente è un tema molto ampio e assolutamente fondamentale. Esso implica il rifiuto di quella che per un secolo è stata conosciuta come “la legge di Say”, vale a dire la proposizione secondo cui per ogni iniziale configurazione della capacità produttiva, qualunque essa possa essere, il meccanismo concorrenziale di mercato è capace di generare un insieme di prezzi di equilibrio tale da indurre una corrispondente domanda, pari alla produzione potenziale, generando così un livello di piena occupazione. Keynes cominciò con il capovolgere questa proposizione, argomentando che è l’ammontare della domanda effettiva che genera una corrispondente produzione e che questa produzione nella realtà può ben rivelarsi al di sotto del livello che corrisponde alla piena occupazione. Dove è che possiamo individuare la fonte di questa instabilità intrinseca? Instabilità dei mercati finanziari, cambiamenti inevitabili che avvengono nella struttura fisica e nelle strutture dei prezzi e dell’occupazione via via che avanzano il tempo e la conoscenza tecnologica.

8.    Una forte, profonda preoccupazione per gli aspetti sociali.
La scuola keynesiana di Cambridge ha sempre messo la preoccupazione sociale al primo posto, con la convinzione che se, o quando, l’ordine sociale può essere salvaguardato mediante la libera interazione di famiglie, imprese e istituzioni governative, ciò debba essere incoraggiato. Ma con la convinzione ugualmente forte che in ogni economia monetaria di produzione, l’equilibrio non è il caso normale, a causa della cumulativa interazione delle due fonti di instabilità di cui sopra. “I difetti più evidenti della società economica nella quale viviamo sono l’incapacità a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi”, così scriveva Keynes nella Teoria Generale.

Come abbiamo potuto vedere da quanto sopra scritto, l’idea che si debba ottimizzare le risorse poiché “sempre scarse” e dunque sarebbe prudente “evitare ogni spreco” anche per non gravare le “prossime generazioni” di un onore o fardello da portarsi sulle spalle è frutto di una o più visioni, soprattutto in ambito economico, che con la realtà fattuale c’entrano poco.

La moderna macroeconomia, soprattutto quella di matrice eterodossa post-keynesiana, ha ampiamento confutato tali visioni tipiche di un retaggio di una cultura economica neoclassica-marginalista, che da questo punto di vista hanno quasi bloccato la società fissandola in un tempo “passato” che sembra durare all’infinito, impedendo di fatto una piena attuazione di politiche economiche volte, ad esempio, al welfare state (ossia quel complesso di politiche pubbliche messe in atto da uno Stato che interviene, in un’economia di mercato, per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini) o ad eliminare le diseguaglianze sociali o a garantire e sostenere l’occupazione, le politiche industriali e così via.

In quest’ottica, dunque, il tempo sembra davvero maturo per rinunciare una buona volta a chiedere una teoria essenzialmente nata per spiegare una economia di scambio. Sarebbe giunta l’ora, pertanto, per dare risposte concrete a domande e affrontare problemi che riguardano la dinamica strutturale di un mondo industriale in continua evoluzione… caro Draghi!

 

 

di Fabio Di Lenola (CSEPI)

Fonti

Luigi Pasinetti, “Keynes e i keynesiani di Cambridge”;
Keynes “ Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta”;
Joan Robinson “Occupazione, distribuzione e crescita”.

 

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