CAPITALISMO PREDATORIO, CORRUZIONE E MILITARISMO:

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blank… COSA DOBBIAMO ASPETTARCI IN UN’EPOCA DI DOMINIO NEO-CON?

DI STEPHEN LENDMAN
Global Research

Risposta dei Cosacchi di Zaporozhye al Sultano di Costantinopoli

Tu sei cento volte più criminale di Barabba. Vivi a fianco di Belzebù,
sprofondato nel fango fin dall’infanzia.
Sappi: le tue feste le celebrerai senza di noi.
Putrido cancro, rifiuto di Salonicco, figura disgustosa e senza naso,
tu sei nato quando tua madre si contorceva negli spasimi di una colica.
Guardati, pazzo macellaio di Padolia:
sei coperto di piaghe e di croste. Orribile faccia di maiale,
conserva le tue ricchezze per pagare i tuoi medicinali.

(Guillaume Apollinaire)

Prendiamo in considerazione la frase di apertura de “Le due città” di Dickens – “Era il migliore dei tempi possibili, era il peggiore dei tempi…”. Lo scrittore faceva riferimento alla Rivoluzione Francese, che aveva avuto inizio nel 1789 con le sue promesse di “Libertà, Eguaglianza, Fraternità”, e che si era ispirata alla nostra Rivoluzione Americana (1775 – 1783). In Francia, la Rivoluzione poneva fine a 1000 anni di regime monarchico, anni di vantaggi per privilegiati, e aveva trasformato la nazione in repubblica, sulle orme di quello che avevamo fatto noi pochi anni prima. Queste erano le buone nuove, le cattive consistevano nel fatto che al potere erano arrivate le persone sbagliate. Costoro erano i Giacobini, che all’inizio erano moderatamente rivoluzionari e patrioti, fin quando avevano perso il controllo nei confronti degli estremisti come Massimiliano Robespierre, che inaugurava un “regno del terrore”, (Il “Grande Terrore” che suona un po’ come “la Guerra al Terrorismo” dei nostri tempi), caratterizzato da brutali repressioni contro nemici percepiti anche all’interno della Rivoluzione, a cui non veniva concessa nemmeno la possibilità di provare di non esserlo. In nome della difesa della Rivoluzione, venivano negati i diritti individuali e venivano sospese le libertà civili. Venivano fatte passare leggi che permettevano di accusare quelli che erano designati come contro-rivoluzionari o nemici dello stato, per crimini indefiniti contro la libertà.

Ne risultarono ingiustizie estese a migliaia di persone accusate per quelli che Orwell ha definito come “crimini ideologici”, o per opinioni espresse liberamente e per azioni giudicate ostili allo stato, sotto un sistema giudiziario di “vigilanza sul vicino” da parte del Tribunale Rivoluzionario (illegale) di Parigi, che non prevedeva diritto di appello. Questo produceva lo spettacolo pubblico di un percorso inglorioso e di una rapida fine dovuta al metodo della pena di morte scelta a quel tempo – la ghigliottina -, che era barbara sì, ma rapida, ed anche un modo più semplice, meno doloroso, per eliminare le vittime, rispetto all’uso di un assassinio, di una tortura inflitta dalla nostra nazione con il procedimento di iniezione letale, usato in 37 su 38 stati che prevedono la pena di morte e dal governo federale, che costringe il condannato a sopportare una morte lenta, un’agonia prolungata, incapace di urlare, mentre stanno facendolo soffrire durante gli ultimi istanti della sua vita. Esempi di questa barbarie non sono eccezioni, sono la regola.

Torniamo velocemente all’anno scorso e ai cinque precedenti, sotto George Bush, e chiediamoci: una eco familiare? Le leggi della Rivoluzione Francese durante il “regno del terrore”, come la Legge sui Sospetti, erano l’antica versione dei nostri Patriot Act I e II del Military Comissions Act di oggi! Il Tribunale Rivoluzionario, che non forniva opportunità di giustizia o diritto d’appello, non era differente dalle nostre Corti Militari di adesso, e anche da molte di quelle civili, in cui ogni cittadino Statunitense può venire accusato in qualsiasi parte del mondo, senza alcun diritto di “habeas corpus” di appellarsi o di sperare su un giusto processo, predestinato ad incontrare una sorte ingiusta, sebbene molto del contenuto di queste leggi attuali sia incostituzionale e un giorno verrà cancellato da una Alta Corte, che sosterrà il diritto, invece di dare sostegno al furfante estremista che oggi assegna pieni poteri a chi disprezza il diritto.

Cosa possiamo aspettarci

Alla fine del sesto orrendo anno sotto il regime del neocon-estremista-Giacobino-dei-nostri-giorni Bush, allora possiamo guardare in avanti, ma verso quale futuro? Noi avremo in carica per altri due anni un’Amministrazione, che da tempo un analista ha caratterizzato come “un branco di imbroglioni, incompetenti e pervertiti”, con una percentuale di consenso al Presidente crollata al 28% in alcuni sondaggi indipendenti e con un crescente numero di persone nel paese che invoca la sua messa in stato di accusa e la sua rimozione dalla carica.

Verosimilmente, poco c’è da aspettarsi dal nuovo Congresso a guida Democratica che va ad insediarsi in questo mese, visto che la leadership congressuale democratica ha escluso tutto questo, e sin qui solamente promette in più di questa politica fallimentare qualche rattoppo di scarso spessore marginale, per creare un’illusione di cambiamento, non differente dall’ingannevole tipo di correzione di rotta proposta dal Gruppo di Studio sull’Iraq (ISG), la “Banda dei Dieci” di Baker, che non fornisce alcuna garanzia. Ai componenti dello Stato non viene lasciata molta speranza che il nuovo anno darà luogo probabilmente a qualcosa di più della medesima canagliesca leadership e della politica che ha prodotto il crescente malcontento pubblico e la collera attuali, però ancora non a livelli tali da spaventare i detentori del potere, tanto da desiderare di andarsene.

Il cuore del problema è una guerra illegale, impopolare, di aggressione contro l’Iraq, il pozzo nero della corruzione e il disprezzo per la legge a Washington, e l’attacco violento contro i diritti umani e le libertà civili nel paese, giustificati dalla cosiddetta “guerra contro il terrorismo”, ora marchiata come “guerra di lunga durata” contro l'”Islamofascismo” e contro i “radicali e gli estremisti” (che si dà il caso essere Musulmani). Si tratta sempre della stessa politica fallimentare che usa un tipo di linguaggio deliberatamente provocatorio inteso ad ingannare l’opinione pubblica, in modo che si pensi all’esistenza di una minaccia grande abbastanza da giustificare in nome della sicurezza nazionale qualsiasi azione dello Stato, compresa quella di intraprendere guerre di aggressione e provocare tutti gli orrori conseguenti, in casa e all’estero.

Dopo “la ragnatela e l’inganno” di Baker, l’attualità mostra un…cambiamento di rotta, e allora non vi viene più falsamente proposta una strategia di riduzione e di sganciamento, e il New York Times del 16 dicembre 2006 riporta: “Agli esperti di strategia militare e agli analisti del bilancio della Casa Bianca è stato richiesto di fornire al Presidente Bush opzioni per l’aumento delle forze Americane in Iraq di 20.000 unità o più”.

L’articolo continua nell’indicare che una delle opzioni è l’aumento del livello delle forze fino a 50.000 unità, anche se un incremento superiore di 20.000-30.000 sarebbe “proibitivo” – ma questo non ha scoraggiato il Pentagono, per ordine dell’Amministrazione, ad estendere turni di servizio ancora più lunghi per le forze che sono ora in Iraq, e di richiamare migliaia di riservisti e unità della Guardia Nazionale molto ampliate per entrare in questo pantano, sebbene sia stato riconosciuto che la loro presenza peggiorerà solamente la situazione, come pure caricherà di un fardello ingiusto coloro che sono stati chiamati alle armi, che avevano servito in precedenza, e le loro famiglie.

Dopo il 27 dicembre, risulta abbastanza palese che la politica di rinforzo delle truppe in Iraq non diverrà predominante, dati i commenti successivi di gennaio da parte del prossimo Presidente Democratico della Commissione Senatoriale per le Relazioni con l’Estero, Joseph Biden, che ha dichiarato esattamente: “Sono totalmente contrario a riversare truppe addizionali Americane su Baghdad. Questo è completamente all’opposto di ciò che viene richiesto dalla parte preponderante della pubblica opinione, sia all’interno che all’esterno dell’Amministrazione”. Il Senatore Biden presiederà un’udienza sull’Iraq il 9 gennaio, e allora le cose potranno riscaldarsi un po’, almeno nella retorica, se non nella politica decisiva. In gennaio, può prodursi del calore aggiuntivo, dopo che George Bush ha ammesso per la prima volta, il 19 dicembre, che gli USA non stanno vincendo la guerra, sebbene due settimane prima delle elezioni di medio termine di novembre avesse enfaticamente dichiarato che “assolutamente, in Iraq stiamo vincendo”. Bush non voleva ammettere quello che ogni osservatore onesto, assieme ai Comandanti Congiunti del Pentagono, conosce, cioè che le guerre in Iraq e in Afghanistan sono perse. Non potevano essere vinte, e vinte non lo sono. Non sono possibili soluzioni militari, ne’ora ne’ in qualche tempo futuro.

Il Presidente sta vivendo in uno stato di rifiuto, ossessionato dalla sua missione messianica alimentata dal vicepresidente, e più dura della linea dura dei suo alleati neocons, e questo traspare dalle assurde soluzioni a problemi insolubili da lui proposte – mandare più truppe, cosa che peggiorerà la situazione, e aumentare la dimensione globale di militarizzazione, che garantirà una condizione permanente di conflitti.

Questo chiaramente fa eco al primo suggerimento ufficiale da parte di un capo dell’esecutivo, che era necessaria una leva e che questo sarebbe avvenuto in futuro in un qualche momento non specificato – verosimilmente in seguito ad un’altra catastrofe “made in Washington”, tipo 11/9, tanto grave da indurre l’opinione pubblica a condividere qualcosa che ora considera intollerabile. L’opinione del Presidente richiama le dichiarazioni del 21 dicembre da parte del segretario amministrativo per gli Affari dei Veterani (VA), Jim Nicholson, che (cosa incredibile) affermava che “la società avrebbe avuto vantaggi”, se gli USA ripristinavano la leva militare. Lui non indicava per chi sarebbero stati i benefici. E andava più oltre, quando in una conferenza stampa gli veniva domandato se questo avrebbe riguardato anche le donne: “Io penso che, se noi ripristiniamo la leva, non ci possono essere scappatoie per chiunque capiti di essere chiamato”. Forse, a questo proposito, dovrebbero essere comprese le madri incinte, come pure quelle single con bambini piccoli?

Questa esternazione del segretario VA evidentemente era troppo sopra le righe, intempestiva ed eccessivamente trasparente per la Casa Bianca, tale da indurre immediatamente il Ministro per gli Affari dei Veterani ad emettere una sollecita dichiarazione separata da quella di Nicholson, affermando che: “Permettetemi di fare chiarezza. Io appoggio con forza l’esercito totalmente di volontari, e non il ripristino della leva”. Lasciamo scegliere il lettore a quale messaggio prestare fede, ma, con la nazione in un permanente stato di guerra, questo sembra proprio un ballon d’essai e l’indicazione di una leva, ora fluttuante nell’aria, è la fase di apertura alla sua introduzione in un qualche momento di un prossimo futuro. Questa eventualità si profila ancora con maggior evidenza quando il Sistema Coscrizionale ha annunciato che sta progettando un test esauriente sull’organizzazione di una leva militare, cosa che non è stata attuata dal 1998, mentre, allo stesso tempo, viene ribadito che l’agenzia non si sta potenziando per una leva. Ma dovrebbero dire qualcosa di diverso, visto che stanno pianificando tutto questo per ordine dell’Amministrazione.

Tutto questo corrisponde ad un crescente livello di infermità mentale di un’Amministrazione impazzita per il potere e che induce a richiamare alla mente la saggezza di Beniamino Franklin, quando affermava: “La definizione di infermità mentale è il prodotto del fare la stessa cosa in modo ripetuto, attendendosi risultati differenti”. Nel caso dell’Iraq, inviare più truppe sul terreno è perfino più folle, visto che una più grossa forza di occupazione produce solo una più forte resistenza, presentando più bersagli da prendere di mira, con nessuna possibilità effettiva di una risoluzione pacifica del conflitto, se non attraverso un totale ed incondizionato ritiro delle forze di occupazione, senza limitazioni, cosa che non avverrà. Nel caso di una leva futura, che ora sembra più probabile, verrà assicurato solamente che questa nazione progetta di rimanere in uno stato permanente di guerra contro futuri nemici da scegliersi fra quelli presenti nella lista degli obiettivi denominata “asse del male”, o che vi verranno inclusi prossimamente.

George Bush e gli altri, che stanno proponendo questi stravaganti disegni, non tengono in minima considerazione le vite di coloro che verranno coinvolti. E perché dovrebbero farlo? Per ora, il loro proposito è di prendere tempo, e, fino a quando la faranno franca, loro e i loro amici intimi tutti ben allacciati, e gli amici consociati, stanno insieme per guadagnare dal prezzo che tutti gli altri devono pagare – quello enorme delle migliaia di vite perse ogni settimana e delle moltissime migliaia di sopravvissuti le cui vite non saranno più le stesse.

Pensiamo a cosa può significare l’arrivo del nuovo anno. La nazione è in guerra su due fronti, e da qualcuno dell’Amministrazione probabilmente ne vengono contemplati altri di prossimi; nessuno sforzo sostanziale viene prodotto per un cambio di rotta, e all’interno la condizione è quella di una marcia inesorabile verso uno stato di polizia e di sicurezza nazionale completamente marcio, a cui noi già siamo pericolosamente vicini.

Questo, perché l’Amministrazione Bush, dominata dai neocons, è sprezzante per ambizione, fuori del controllo in politica, ed è l’incarnazione di una spietata e disumana “arma di distruzione di massa” che si scatena contro tutta quell’umanità che le si contrappone. È puntellata da un’ideologia estremista, che si basa sui precetti di un capitalismo selvaggio, che è spaventosamente contigua e confina con la definizione classica di fascismo combinato al corporativismo, con forti elementi di patriottismo e nazionalismo, una pretesa missione benedetta e diretta messianicamente dall’Altissimo, e caratterizzata da norme autoritarie rinforzate dal pugno di ferro del militarismo e dai fanatici della “sicurezza della patria”, che spia illegalmente tutti quanti, che si dimostra intollerante del dissenso e dell’opposizione, in un’epoca in cui la legge è quella che il capo dell’esecutivo pretende che sia, e in cui ogni parvenza di controllo e di equità non può esistere molto a lungo.

In una parola – dispotismo, però mascherato con una retorica menzognera di una democrazia moderna falsamente proclamante di servire ai bisogni di tutto il suo popolo.

Quindi, siamo in un’epoca di estrema avidità e corruzione, che infesta il governo e le sale consiliari delle società, con un divario fra ricchi e poveri a livelli più alti dell’ “Età dell’Oro” dei “signorotti feudali” del diciannovesimo secolo. Sotto George Bush, siamo in presenza di un qualcosa che l’economista Paul Krugman definisce “completamente senza precedenti” , che “per la prima volta nella nostra storia, così tanto della crescita economica della nazione sia andato a una minoranza tanto piccola ed opulenta”, mentre la grande maggioranza non può sopportare ulteriormente paghe erose dall’inflazione, indebolite dall’aumento dei prezzi, e, pur in un periodo di abbondanza, la povertà sta sviluppandosi, interessando decine di milioni di persone, nel paese più ricco nel mondo.

L’indecenza di questa disparità è apparsa sulle pagine economiche on line del New York Times, il giorno di Natale, in un articolo dal titolo “Dividendi straordinari a Wall St. – Così tanto denaro, troppo poche Ferrari ($250.000)”. L’articolo metteva in luce che ” la corsa dorata alla gratifica del 2006 ha ridato energia ad alcuni mercati del lusso”, come quello della proprietà immobiliare a Manhattan, che si era attenuato all’inizio dell’anno, ed echeggiava il lamento di un agente immobiliare su una “mancanza di offerte di listino per due clienti che cercavano di spendere 20 milioni di dollari su proprietà immobiliari a Manhattan”, intanto che si citava che alcune delle ricchezze di Wall Street già nei loro covi di lusso erano a disposizione per l’acquisto per 5 milioni di dollari di appartamenti destinati ai figli dei ricchi e in aggiunta a case private per soggiorni vacanzieri.

Gli stessi dati sgradevoli si presentano su scala mondiale, secondo uno studio prodotto di recente dall’Istituto Mondiale di Ricerche sullo Sviluppo Economico dell’Università delle Nazioni Unite, con sede ad Helsinki, che dimostra come i più ricchi nel mondo, il 2% della popolazione adulta, posseggono più della metà delle ricchezze, rispetto ai beni di circa la metà della popolazione mondiale che può far conto appena sull’1% della ricchezza globale.

Il costo per una società basata su capitalismo predatorio, smisurata avidità, corruzione e militarismo

Lo sfacelo della società negli Stati Uniti è un disonore nazionale e condiziona milioni di persone. Di seguito, un campionario di vergogne:

— 47 milioni di Americani non possono permettersi un’assicurazione sanitaria elementare.

— più di 80 milioni assolutamente non hanno alcuna copertura sanitaria per una qualche parte dell’anno e molti di loro sono disoccupati.

— l’amministrazione Bush ha proposto soltanto tagli indiscriminati nei pagamenti alle farmacie per ridurre le indennità del Servizio Sanitario Nazionale (Medicaid) per 50 milioni di indigenti che contano su questo, che non possono permettersi di rimediare la differenza sul loro reddito, e devono privarsi delle medicine di cui necessitano vitalmente, se le farmacie non possono evadere prescrizioni a prezzi più bassi.

— gli USA si classificano al 41.esimo posto nel mondo per l’impegno contro la mortalità infantile, e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) colloca il paese come 37.esimo nel mondo “per le prestazioni sanitarie complessive” e come 54.esimo nell’equità delle cure mediche, malgrado la spesa a livello corrente si aggiri su 2 miliardi di dollari l’anno o sia circa il doppio dell’ammontare pro capite dei paesi OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che forniscono in generale servizi sanitari di livello superiore ai loro cittadini, e considerano questo una priorità nazionale.

— ben più di 12 milioni di Americani lottano ogni giorno per cercare di alimentarsi, e molte migliaia di persone in tutto il paese non possono permettersi una casa e sono costretti a dormire per le strade, anche al freddo dell’inverno.

— un documento della Conferenza dei Sindaci Statunitensi, reso pubblico proprio il 14 dicembre, riporta che queste condizioni continuano a peggiorare, in base ad una indagine condotta su 23 città, che dimostra come le richieste per aiuti alimentari siano aumentate del 7% nel 2006, dopo un balzo del 12% nel 2005, durante un periodo di crescita economica.

— lo stesso documento comprova come le richieste di ricovero siano aumentate del 9% nel 2006 e che le richieste provenienti da famiglie con bambini sono accresciute del 5%.
— l’educazione pubblica viene deliberatamente distrutta con la conseguenza dell’analfabetismo, le differenze culturali in matematica e nell’uso del computer diventano vergognosamente sempre più grossolane ed in aumento.

— la popolazione carceraria negli USA è la più alta nel mondo, pari a 2,2 milioni di individui, che aumentano al ritmo di 1000 alla settimana, metà di questi sono di colore, e metà della popolazione carceraria nel suo insieme è in prigione per reati non violenti, metà dei quali relativi al mondo delle droghe. Il sistema carcerario USA è dello stesso tipo dei campi di concentramento e quindi un insulto all’umanità.

La condanna spaventosa e la sentenza di primo grado per reati di droga per Weldon Angelos è solo uno degli innumerevoli esempi. Era stato imprigionato per tre spacci di marijuana nel 2004, ed era in possesso di un’arma non messa in relazione allo spaccio. Secondo le folli leggi federali di commisurazione ed erogazione delle pene, Angelos veniva condannato a cinque anni per il primo reato e a 25 anni per ciascuno degli altri due spacci, totalizzando così 55 anni in una prigione federale o, se sarà costretto a scontare tutta la pena, verosimilmente un ergastolo, questo perché era in possesso di qualche “canna” di una sostanza meno pericolosa delle sigarette legali che ammazzano milioni di persone ogni anno, mentre si sa che la marijuana non ha mai ammazzato nessuno. Questo avviene solo in America.

— il vero stato delle cose soprattutto viene nascosto dai media, sotto sorveglianza delle imprese dominanti che funzionano come una polizia nazionale del controllo delle idee e di tutte le comunicazioni di massa, e che deprivano l’opinione pubblica di ogni effettiva informazione indispensabile ad una sana democrazia e al suo stato sociale.

— la segregazione razziale è tanto grande quanto negli anni Sessanta, e lo sport nazionale quasi è diventato la demonizzazione dei Musulmani come “terroristi, radicali, estremisti e Islamofascisti” e l’impoverimento dei Messicani, “gente del colore della terra”, e dei Latino-Americani, come “invasori immigranti illegali che sporcano” la nostra società e la nostra cultura Europea occidentale bianca, con una irragionevolezza che non tiene conto che quelle persone arrivano al “norte” solo nella disperata ricerca di un lavoro, a causa degli effetti devastanti sulle loro esistenze da parte del NAFTA (Accordo nordamericano di libero scambio), che ha distrutto la loro capacità di sostentamento delle loro famiglie.

I dati prodotti dal gruppo di studio dell’Oakland Institute, specializzato in problematiche di natura sociale, economica ed ambientale mostrano che le esportazioni di grano USA verso il Messico, fortemente sussidiate, sono triplicate dal momento dell’introduzione del NAFTA, costringendo così due milioni di coltivatori di grano Messicani fuori del mercato, cosa che era stata prevista in anticipo, ma che in ogni modo, a tutti i costi, bisognava che avvenisse. E questo ha causato suicidi, comunque ad un livello nemmeno lontanamente prossimo a quello raggiunto in India dagli agricoltori a causa del commercio globalizzato sullo stile USA, dove non meno di 100.000 contadini si sono tolti la vita per l’indebitamento causato dal “Nuovo Ordine Mondiale”, che li aveva portati a perdere le loro aziende agricole e quindi tutto il loro avere.

— la povertà infantile negli USA si colloca al 22.esimo posto nel mondo, e dopo l’ultima fra le nazioni sviluppate, quando in effetti non dovrebbe essere tollerata nel paese più ricco del mondo o non dovrebbe essere tollerato alcuno degli abusi elencati.

— un allarmante numero di impieghi altamente remunerativi sono stati esportati all’estero in un processo che è andato avanti per decenni ma che si è ripreso con slancio dagli anni Ottanta e in particolar modo in anni recenti. Il Mckinsey Global Institute valuta che le dimensioni del fenomeno aumenteranno del 30 – 40% all’anno per i prossimi cinque anni. Forrester Research stima che entro il 2015 si perderanno 3,3 milioni di impieghi da colletti bianchi, con le aree maggiormente colpite i servizi finanziari e la tecnologia dell’informazione, e ricerche dell’Università di California prevedono che “più di 14 milioni di posti di lavoro in America sono a rischio di esternalizzazione”.

Questo va ad aggiungersi al declino di una nazione, che sta perdendo la sua industria di base e vede la sua economia orientata principalmente verso un’economia di servizi, offrendo soprattutto posti di lavoro a bassa specializzazione e a bassi salari, con i migliori lavori, con paghe più alte, a malapena in crescita, formando laureati in materie estranee ai mestieri critici, quasi di nessun valore.

L’esportazione di lavori verso paesi a bassi salari diventa un vantaggio per i profitti di impresa in un’epoca di “commercio libero globalizzato”, mai stigmatizzata, come sarebbe giusto, per i danni procurati a milioni di salariati in questo paese o nei paesi in via di sviluppo, fatti oggetto di sfruttamento da parte del capitalismo, che inghiotte il loro reddito e impoverisce le persone, molte delle quali lavorano per salari in un rapporto quasi di schiavitù, in un’era moderna di servitù della gleba, nei paesi di tutto il mondo, in Asia, Africa, Europa dell’Est, nell’America Latina e nell’America Centrale.

— in tutto il mondo l’indignazione dei lavoratori che protestano sta aumentando, in risposta a questi abusi, non segnalata negli USA, visto che la maggior parte dei governi fanno poco o nulla per migliorare le loro condizioni. Questo è venuto alla ribalta il 22 novembre nella Corea del Sud, quando più di 200.000 lavoratori aderenti alla Confederazione Sindacale Coreana (KCTU) hanno messo in atto uno sciopero generale di protesta in 17 città contro l’Accordo bilaterale di Libero Commercio USA – Corea, attualmente in fase di negoziazione, che procurerà ai loro consociati e agli agricoltori quello che il NAFTA ha prodotto alle politiche sul commercio agricolo del Messico e dell’India e ai loro piccoli produttori agricoli. Nei giorni seguenti, lo sciopero è continuato per le strade e si è esteso alla stazione sciistica Big Sky in Big Sky Montana, dove si tenevano i negoziati in una sede appartata, ma non del tutto in grado di isolare dalle proteste quotidiane coloro ai quali erano rivolte.

— questo è avvenuto anche a Cebu City, Filippine, dove la Presidentessa Gloria Macapagal-Arroyo, (strettamente vincolata all’agenda fallimentare di Bush ed eletta in modo fraudolento), ha dovuto cancellare in dicembre due incontri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN) a cui dovevano intervenire 19 paesi, inclusi Stati Uniti e Canada. È stata una inaspettata conclusione del convegno, indetto per ratificare accordi commerciali e di sicurezza, causata dalle proteste di massa di lavoratori, contadini ed altri, contro gli effetti dannosi degli accordi, che avrebbero costretto ogni giorno migliaia di persone ad abbandonare il paese per andare all’estero alla ricerca di un lavoro che possa rendere in modo sufficiente per sostenere le loro famiglie a casa.

— i lavoratori, quasi in ogni parte del mondo, compresi gli Stati Uniti, sono stati danneggiati, così come il potere sindacale e i diritti del lavoro sono stati indeboliti, quando un tempo il governo USA aveva con il suo popolo di lavoratori un contratto sociale, che è stato smantellato, con meno del 13% della forza lavoro (la più bassa percentuale nel mondo industrializzato) sindacalizzata oggigiorno, rispetto all’un terzo del 1958.

In un’epoca di “signorotti feudali” dei tempi moderni, le fondamenta della classe media di uno stato democratico stanno lentamente dissolvendosi, nel momento in cui la nazione si sta approssimando sempre più a diventare una repubblica delle banane, e nel contempo 51 fra le imprese economiche più estese del mondo, corporazioni gigantesche, si insediano centralmente negli Stati Uniti.

In un periodo di militarismo all’estero e di bilanci fuori controllo, con grandi deficit di bilancio dello Stato, tutto questo non si accompagna con qualche miglioramento o segnale di cambiamento, a sostegno di ciò che era stato bloccato irreversibilmente da Ronald Reagan e della situazione divenuta selvaggia sotto George Bush.

La Casa Bianca ha approvato per l’ anno fiscale 2008 un bilancio del Pentagono di 470 miliardi di dollari, più un importo addizionale di 100 miliardi di dollari fuori bilancio, il minimo bastante al bilancio di guerra di quest’anno per l’ Iraq e l’ Afghanistan, con un record annuale sull’intorno dei 170 miliardi di dollari.

Inoltre sono necessarie decine di miliardi ogni anno per la “Sicurezza Nazionale” e ancora decine di miliardi per le “agenzie di spionaggio”, totalizzando dei numeri di bilancio in un intervallo che va ben oltre ai 700 miliardi all’anno, e sempre in aumento, mentre la spesa sociale continua ad essere tagliata profondamente per pagare tutto questo, in una società insensibile, che disprezza le persone e i loro bisogni essenziali, con la stessa intensità di come vengono serviti gli interessi del capitale e dei militaristi, traendo profitto dal loro denaro insanguinato.

Dalla Seconda Guerra Mondiale, Washington, invece di disarmare e di incoraggiare la pace, si è imbarcata su un programma di lunga durata di militarizzazioni, per mantenere il predominio politico, economico e militare della nazione su tutte le altre. Si è dato luogo a grandi spese militari, e questi soldi avrebbero potuto essere usati per fare investimenti ben più produttivi in capitale umano, (come nei campi della salute e dell’educazione), e nel capitale materiale, (come in infrastrutture essenziali), come pure promovendo industrie e commerci senza rapporto con il militare, denaro che a lungo termine sarebbe stato recuperato con dividendi più grandi, rispetto a guadagni a breve termine nel costruire armi e collocare armamenti, navi e forze aeree, che esistono solo per uccidere e distruggere.

Inoltre, la spesa diventa produttiva con successo quando crea una società libera dalla cultura militare dominante, che ora esiste fuori controllo, e la situazione si presenta dura nel frenare il Pentagono, che disdegna le libertà civili e i principi democratici e i valori che sono stati resi quasi evanescenti.

La strada che questa nazione ha imboccato 60 anni fa ha prodotto la società corrotta di oggi, armata fino ai denti per guerre senza fine con armi le più distruttive nella storia dell’umanità dispiegate su oltre 800 basi militari conosciute, presenti in 155 su 192 paesi del mondo. Questo ha una dimensione inimmaginabile di costi per creare questo mostro, come viene documentato dal Centro per la Difesa dell’Informazione. Viene riferito che dal 1945 questo paese ha speso per la difesa una cifra stimata sui 21.000 miliardi di dollari, che tende ad aumentare rapidamente e di continuo, e la mentalità della classe dirigente del paese, in modo particolare di George Bush, è tale che quando si è ottenuto il potere bisogna esercitarlo a trecento sessanta gradi e sgomentare i potenziali sfidanti.

In modo vergognoso gli USA costituiscono una Sparta dei nostri giorni, che glorifica la guerra e porta al potere coloro che per la guerra si impegnano. Una testimonianza, la cerimonia dell’estate scorsa per il collocamento a riposo del Maggior Generale dell’Esercito Geoffrey Miller, quando il Vice Comandante di Stato Maggiore dell’Esercito Generale Richard Cody decorava con la Distinguished Service Medal (DDSM) l’uomo che aveva diretto le prigioni USA, luoghi di tortura infami, di Guantanamo e Abu Ghraib. Questa decorazione era stata istituita da Richard Nixon nel 1970 per permettere al Ministro della Difesa di premiare gli ufficiali delle Forze Armate Statunitensi, “quando la loro eccezionale esecuzione del dovere e i contributi resi alla sicurezza della nazione o alla sua difesa erano stati di altissimo livello”.

Altra testimonianza, il 16 dicembre, la cerimonia al Pentagono per il ritiro del criminale di guerra impunito, e che aveva autorizzato le torture, Donald Rumsfeld, accompagnato da gran pompa e cerimonia, con George Bush e Dick Cheney ad assistere allo spettacolo, e una salva di 19 colpi di cannone, che avrebbero potuto essere meglio indirizzati.

In aperta sfida alla collera montante dell’opinione pubblica contro la guerra, gli oratori, compreso il Presidente, indecentemente lodavano Rumsfeld per la guerra di aggressione da lui diretta e per la sua posizione chiave nella conduzione dei conflitti. La scena irritante mostrava Bush che abbracciava Rumsfeld affermando: “Questo uomo dimostra come si comanda, e lui lo ha fatto. E il paese è sicuramente migliore per suo merito”. Si era dimenticato di dire per chi erano arrivate le migliorie, ma peggio ha fatto Dick Cheney dicendo: “Io penso che il suo operato parli da solo – Don Rumsfeld è il più eccellente Ministro della Difesa che questa nazione abbia mai avuto”.

Il risultato era penosamente differente, in un tempo di demonizzazione e di persecuzione dei Musulmani, nel caso di messa in stato di accusa del Dr. Rafil Dhafir, un Musulmano Americano di nascita Irachena e di professione oncologo, fino a quando gli era stato revocato ingiustamente il permesso di esercitare, come preludio al più pesante oltraggio commesso nei suoi confronti. Il Dr. Dhafir veniva messo in stato di accusa e processato davanti ad un altro “tribunale fuorilegge” USA per quello che Katherine Hughes ha definito e descritto come “crimine di compassione”. Katherine aveva seguito il processo giorno per giorno per 17 settimane e aveva continuato a difenderlo, lavorando instancabilmente per la sua assoluzione e la sua rimessa in libertà.

Dr. Dhafir veniva dichiarato colpevole, ed ora sta scontando una condanna a 22 anni in una prigione federale, per aver violato le Norme che regolano le Sanzioni contro l’Iraq , (le IEEPA), avendo usato propri fondi e quelli che aveva raccolto da altri per portare aiuto umanitario, alimenti e forniture mediche a chi ne aveva disperata necessità, al popolo Iracheno impossibilitato a procurarsi tutto questo a causa delle sanzioni punitive, severe ed ingiuste imposte prima della guerra del 2003. Il Dr. Dhafir aveva fatto ciò attraverso l’organizzazione benefica “Help the Needy –Aiuto ai Bisognosi”, e per questo era stato dichiarato colpevole per aver violato le sanzioni, di frode fiscale, di riciclaggio di denaro sporco, di frode postale e al servizio telegrafico – un totale di 60 imputazioni e ritenuto colpevole per 59 di queste.

Contrastano questi spettacoli le vicende di persone straordinarie, come Lynne Stewart imputata per le sue colpe di coraggio, onore e resistenza alla tirannia. La Steward è stata ingiustamente messa sotto accusa, secondo l’Antiterrorism Act del 1996, con quattro imputazioni, di favoreggiamento e appoggio nei confronti di una organizzazione terroristica e di violazione delle Misure Speciali dell’Amministrazione (SAMS), imposte dal Dipartimento Carcerario USA, che comprendevano l’ordine di imbavagliare Sheik Abdel Rahman, che lei rappresentava come avvocato difensore nel suo processo del 1995, dopo che l’ex Ministro della Giustizia USA e Procuratore Generale Ramsey Clark l’aveva pregata di assumere il caso. Lynne aveva assunto l’incarico con lo stesso spirito che l’aveva mossa nella sua intera vita trentennale come professionista, campionessa coraggiosa dei diritti dei poveri, dei non privilegiati e di coloro i quali nella società mai hanno potuto affrontare i loro processi condotti nel modo giusto, a meno di non essere stati fortunati abbastanza da incontrare un avvocato come lei.

Lei non ha violato alcuna legge, e il suo processo è stato un grosso aborto giudiziario. Ancora, il Dipartimento di Giustizia ha chiesto per lei una sentenza di 30 anni di carcere duro, e lei non ha commesso alcun crimine. Questo significava inviare un messaggio chiaro a tutta la comunità legale di non rappresentare “clienti sgraditi” e di non sostenere i diritti legali di costoro in un giusto processo con una difesa competente, quando il governo esige la loro eliminazione.

Al presente, il 17 ottobre Lynne ha avuto l’ultima parola durante la sua difesa davanti al tribunale, dato che il giudice John G. Koeltl ha respinto gli argomenti per la messa in stato di accusa, e con la sua sentenza emessa il 28 del mese ha permesso a Lynne di tornare in libertà, tenendo in sospeso il suo appello presso una corte più alta, convenendo che si doveva capovolgere il verdetto di colpevolezza ed effettivamente si stigmatizzava il Dipartimento di Giustizia per aver messo sotto processo una donna coraggiosa che aveva speso la sua vita lottando per la giustizia.

Il verdetto ha procurato un altro brivido freddo alla comunità Musulmana, e Katherine spiegava sul suo sito web – dhafirtrial.net – “Se potremo difendere Rafil Dhafir, potremo difendere chiunque”. Non del tutto, come dimostra la rivendicazione da parte di Lynne Stewart. Ma purtroppo, questo prova anche qualcosa d’altro. Nell’epoca di George Bush, la possibilità di prevalere contro l’ingiustizia per un Americano bianco è migliore che per un Arabo musulmano “non bianco”, anche se Americano, specialmente per uno coraggioso abbastanza da imbarcarsi in una missione misericordiosa, sfidando una politica di stato che ingiustamente proibisce di farlo.

Dr. Dhafir è stato incarcerato nella prigione federale di Fairton, New Jersey, fino a dicembre, quando veniva trasferito ancora più lontano dalla sua famiglia, senza darne comunicazione. Ora si trova in quello che viene definito come buco dell’inferno, a Terre Haute, Indiana, in una zona di estremismo di destra e sotto l’influenza del Ku-Klux-Klan, in un atto deliberato di ulteriore vendetta barbarica per demolire il suo spirito, per ridurre il suo diritto di accesso al sostegno legale e della sua famiglia, e che gli causa immeritate sofferenze, nell’epoca della tortura ratificata dagli USA e autorizzata come metodo di controllo sociale inumano, in modo che chi dissente dall’autorità non abbia il coraggio di sfidare il volere di Washington, che va contro i fondamentali principi di equità e giustizia.

Uno sguardo sul passato per ritrovare la direzione verso il futuro

Un tratto retrospettivo su un anniversario importante, arrivato al momento giusto, dovrebbe essere stato puntualmente sottolineato e causa di riflessione sui mezzi di comunicazione più importanti, ma che invece è passato praticamente sotto silenzio. Si trattava dell’anniversario del 15 dicembre della Carta Costituzionale dei Diritti del Cittadino del 1791 inquadrata nella Costituzione del 1787. Questa ci ha assicurato libertà inimmaginabili al tempo in cui è stata inserita per iscritto nel diritto del paese, che soprattutto realizzava un grande esperimento di democrazia mai tentato prima, eccezion fatta per l’Atene antica per pochi decenni prima del suo tramonto. Ha assicurato alle persone i diritti di libera espressione, di religione e di pacifica riunione; protezione dalle perquisizioni e dai sequestri illegali; il diritto ad un giusto processo, il diritto a non essere processati per un reato per il quale si è già stati assolti una prima volta, e di rimanere in silenzio se accusati; il diritto ad un rapido processo da parte di una giuria se imputati, con il diritto ad una difesa e alla possibilità di chiamare testimoni; la protezione da ogni trattamento punitivo, crudele ed inusitato, e ancor di più.

Molto del merito per questa storica conquista va a James Madison, che ha delineato i primi 10 emendamenti e con la sua perseveranza ha indotto gli altri Artefici ad andare avanti. Inoltre era riuscito ad ottenere nel 1791 i necessari due terzi dei voti da entrambe le Camere del Congresso e la ratifica dai richiesti tre quarti degli stati, che la Carta sarebbe diventata legge del paese – il più importante conseguimento, pietra miliare, che oggi viene insozzata da quelli al potere che hanno disprezzo per le libertà che i Fondatori ci avevano assicurato.

Madison è ritenuto da molti come il “Padre della Costituzione”, ma sarebbe più preciso chiamarlo come suo Padrino, visto che era stato molto aiutato dagli altri 54 Fondatori, che si erano incontrati nella sede del Parlamento dello Stato di Filadelfia, dove la Dichiarazione di Indipendenza era stata sottoscritta 11 anni prima, per formulare questo storico documento per la nuova repubblica, che loro speravano sarebbe durata fino ad un “remoto avvenire”. Dovremmo conservare quello che Ben Franklin al tempo desiderava fortemente, ed ora avrebbe i brividi per quante cose sono cambiate e condannerebbe i responsabili al potere.

Due futuri Presidenti, Thomas Jefferson e John Adams, erano incaricati all’estero come inviati diplomatici in Francia e in Gran Bretagna e non si trovavano a Filadelfia per questo storico raduno. Quando più tardi tornarono, Jefferson e Madison richiesero dodici emendamenti alla Costituzione al posto dei precedenti 10 che erano stati adottati in origine. I federalisti John Adams e Alexander Hamilton, comunque, si opposero a questa aggiunta alla Carta dei Diritti e lavorarono per escludere da questa i due ultimi emendamenti che prevedevano la “libertà per i monopoli nel commercio”, cioè per quelli che ora sono i grandi predatori capitalisti, e la “libertà per un militarismo permanente”, cioè per quelli che oggi sono gli eserciti che scatenano guerre illegali di aggressione. Immaginate quello che avrebbe potuto essere, quello che sarebbe costato, e come il paese avrebbe potuto essere governato oggi se fossero prevalsi Jefferson e Madison. Tuttavia, questi meritano la nostra gratitudine per quello che hanno realizzato, e risulta tanto imbarazzante quando ci chiediamo quanto peggiori saremmo ora, se loro non avessero ottenuto alcune libertà della Carta dei Diritti nella nostra norma fondante, che sebbene sia stata deprivata di valore sotto il regime neocon può un giorno essere ristabilita, se noi riusciremo nel frattempo a sopravvivere.

Uno sguardo al futuro in un’epoca di terrorismo, garante lo stato, sotto il regime neocon

È tempo di soffermarsi alla fine dell’anno per farci gli auguri di buona fortuna, ma anche per riflettere sullo spirito dei tempi che richiede che la demenza del regime neocon di Bush deve essere bloccata e il regime portato a termine prima che sia troppo tardi. Sei anni sono più che sufficienti per rendersi conto che l’agenda dell’Amministrazione in casa e all’estero è furfantesca, corrotta dall’avidità e sprezzante della legge, spietata nel conseguire il dominio del mondo attraverso un barile di armi, e che coloro che sono al potere sono arroganti abbastanza da pensare che potranno farla franca quando verranno mosse loro queste accuse.

Internamente, non vi sono più controlli e bilanciamenti, pur essendo i tre rami del governo della cosa pubblica, sia sotto i Repubblicani che sotto i Democratici, uniti per uno scopo comune, e l’agenda neocon effettua tutto questo in modo ostile al pubblico interesse. È l’espressione ultima dell’affermazione di Lord Acton che “il potere corrompe, e il potere assoluto corrompe in modo assoluto”. Certamente questo avviene nell’epoca di George Bush, in cui predomina una cultura ossessionata dal potere, dalla possibile perdita di questo, e dal culto della ricchezza e del privilegio che dal potere derivano. Viene dato libero sfogo alla filosofia di Vince Lombardi che “vincere non è una cosa della massima importanza, è la sola cosa che conta!” e le uniche regole sono quelle che i potenti di adesso impongono, quando loro procedono giustificando qualsiasi cosa abbiano scelto di fare, senza tener conto delle conseguenze, sempre dannose per la grandissima maggioranza dei cittadini.

Tutto questo si fonda anche sul presupposto che la ragione sia sempre del più forte, ma non era questo il cammino che Abe Lincoln aveva in mente, quando nel febbraio 1860 pronunciò un suo discorso presso la Cooper Union, prima della sua nomination alla presidenza nel luglio di quell’anno: “Lasciateci avere fiducia che sia il diritto a fare la forza, e per quella fiducia, alla fine, fateci osare di fare il nostro dovere, come noi lo intendiamo”. In seguito, Lincoln esprimeva uno spirito di riconciliazione con il Sud e una disposizione umanitaria, disprezzata da George Bush, nel suo secondo discorso inaugurale inviato nel marzo 1865, quando egli parlava di “livore verso nessuno (e) carità per tutti”, solo poche settimane prima che la sua vita venisse spenta dalla pallottola di un assassino.

Immaginiamo questo linguaggio da parte di George Bush, e pensare a questo sarebbe come immaginare l’inimmaginabile da parte di un uomo che verosimilmente questo ancora non capisce. Quello che è possibile immaginare per il prossimo anno, e da allora in poi, è un mondo senza George Bush e la sua Amministrazione estremista neocon che sta portando la nazione su un sentiero d’inferno. Chi pretende giustizia invoca il Congresso per l’atto politico di messa in stato di accusa contro George Bush e il suo vice-presidente, e quindi farli dimettere, perché rendano conto delle accuse che verranno rivolte a loro e agli altri dell’Amministrazione davanti alla Corte Penale Internazionale (ICC) dell’Aja o davanti ad un’altra sede giudiziale, dove i governanti possano essere perseguiti per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Loro hanno commesso tutto questo, e di più, contro il popolo Iracheno, almeno due delle tre imputazioni in Afghanistan, e una legione di reati contro il popolo degli Stati Uniti e contro la sua Costituzione.

Questo accadrà solo attraverso la spinta dal basso, per la necessaria indignazione dell’opinione pubblica in ebollizione nel far emergere a chiare lettere la volontà che sia soddisfatta la domanda di giustizia e che sia ripristinata e rispettata ancora la legalità. Nessuno, qualsiasi sia il suo livello nella vita pubblica o privata, dovrebbe consentire ancora a costoro di farla franca, data la loro natura criminale, sprezzante e volgare che ha imperversato e che si è scatenata a Washington negli ultimi sei anni sotto il regime Repubblicano neocon.

È già da lungo tempo che bisogna porre un termine a questa classe al potere di furfanti criminali, che gestiscono il paese come un loro feudo privato secondo una cultura di corruzione tirannica e di scherno per la legge, cultura che passa sopra qualsiasi cosa si metta davanti al loro diritto di possesso. A poco a poco, già si è formata un’ondata di sdegno crescente per dimensioni ed intensità. All’avvicinarsi del nuovo anno, resta da vedere se una associazione di queste persone di coscienza possa avvenire con altre di questo Stato in modo opportuno da ottenere tutto quello che ognuno desidera ed esige – un termine alle guerre, un rinnovato rispetto per la legge, la responsabilità per coloro che ci governano quando violano la legge, ed un impegno a mettersi al servizio dell’interesse pubblico con equità ed ugual giustizia per tutti nello spirito vero di una effettiva democrazia ripristinata dopo essere stata affossata e quindi ancora rispettata e coltivata con amore.

Stephen Lendman vive a Chicago e può essere contattato a [email protected]. È possibile visitare il suo blog a www.sjlendman.blogspot.com

Stephen Lendman
Fonte: http://www.globalresearch.ca
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02.01.2007

[Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova]

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