Nessuna libertà esiste quando non esiste una libertà interiore dell’individuo.
(Corrado Alvaro, Quasi una vita)
Fra i tanti primati negativi che le vengono attribuiti, la Calabria se n’è di recente conquistato un altro, quello di regione meno siringata d’Italia. Si potrà obiettare sulla “negatività” di tale primato, ma, a differenza del passato fatto di lassismo e strafottenza, in quest’occasione le istituzioni si sono date da fare tempestivamente e, grazie all’attivismo del “governatore” Roberto Occhiuto, hanno saputo rimettere in carreggiata questa penisola nella penisola, questa terra ruvida e selvatica benedetta da Dio e maledetta dagli uomini. Dal primo dicembre scorso, infatti, recependo le direttive del Generalissimo Figliuolo, Occhiuto ha impresso una svolta decisa alla campagna vaccinale, riuscendo a portare negli hub ben 120000 suoi concittadini che avevano avuto l’ardire di non punturarsi. Oltre al suo personale carisma, il governatore ha messo sul piatto un bel gruzzolo di incentivi per i medici di base, stanziando tre milioni di euro (in aggiunta ai fantastiliardi già predisposti) per raggiungere gli obiettivi previsti; in base a questo piano ingegnoso, ogni medico di base ha ricevuto un “bonus” di 25 euro (anche qui in aggiunta a quelli già percepiti) per ogni paziente spinto verso la prima dose (che, com’è risaputo, non si scorda mai). Del resto, lo slogan della campagna elettorale che aveva condotto Occhiuto sulla poltrona governatoriale, nell’ottobre scorso, era stato “La Calabria che l’Italia non si aspetta” .
Maggioranze silenziose
Nella Calabria centro-meridionale, a metà strada fra la costa tirrenica e quella ionica, sorge il massiccio dell’Aspromonte. Quest’area, che ricade amministrativamente sotto la Provincia di Reggio Calabria, è fra le più selvagge e inospitali dell’intero Appennino ed è associata, nell’immaginario collettivo nazionale, alla ‘Ndrangheta ed ai sequestri di persona, che costituirono, per un buon mezzo secolo, lo strumento attaverso il quale le ‘ndrine accumularono i capitali da reinvestire nel traffico di droga e da “ripulire” nel Nord Italia. Fra i paesi maggiormente associati a questi fenomeni, si ricordano quelli di Platì e San Luca, che oggi risultano essere i “comuni meno vaccinati d’Italia”.
Il meno vaccinato in assoluto è Platì, borgo di 3700 anime, delle quali solo un migliaio si sono inoculate il siero, pari al 29% della popolazione totale; a farsi la terza benedizione, invece, è stato appena il 3,6% della cittadinanza. Prima dell’avvento di Occhiuto, la regione se n’era bellamente fottuta di questi numeri sballati, ma successivamente la musica è cambiata. Il neoeletto presidente ha infatti invocato, avanguardista fra i suoi omologhi (ce ne vuole di impegno per superare i vari De Luca, Toti e Bonaccini), “lockdown selettivi per i non vaccinati”, sostenendo che “chi sceglie la scienza non può pagare per i comportamenti altrui”. Riguardo a Platì, Occhiuto è stato, se possibile, ancora più drastico, giungendo a dichiarare, ai microfoni di Radio 24, “In Calabria ho fatto la zona rossa solo a Platì, un Comune che ha meno del 30% dei vaccinati. Qualche settimana fa sono andato in questa cittadina reggina, ho fatto aprire un centro vaccinale ed ho detto agli abitanti: vaccinatevi o vi metto in zona rossa. Il primo giorno si sono vaccinati in 40, il secondo in 20, poi sempre meno. E adesso sono in zona rossa e resteranno a casa”.
Mentre Platì si tingeva di rosso, 10 comuni della stessa area geografica (fra i quali Gioa Tauro e Roccella Ionica) entravano nella più tenue “zona arancione” a partire dal 10 gennaio scorso, provvedimento prorogato anche per la settimana successiva. Come ha avuto occasione di spiegare in seguito il governatore Occhiuto, tali scelte non sono state determinate dal numero dei contagi, ma da quello dei vaccinati. Tuttavia, egli ci ha tenuto a precisare che la delibera non aveva carattere “punitivo”, ma rappresentava piuttosto la volontà di “dare un segnale” di attenzione delle istituzioni verso una comunità a lungo dimenticata.
Nella notte fra il 12 e il 13 gennaio ignoti hanno incendiato il portone del municipo di Platì. Mentre fervevano le indagini degli inquirenti per assicurare i colpevoli alla giustizia, si è recata nel paese meno vaccinato d’Italia la prode Laura Placenti di RAI 2, che ha battuto tutte le contrade inseguendo i passanti e ponendo loro domande molto intelligenti, quali “Lei si è vaccinato?”, oppure “Perché non indossa la mascherina?”. L’acume giornalistico dell’inviata della televisione pubblica ha raggiunto l’acme nell’intervista al sindaco, al quale è stato posto un interrogativo da un miliardo di dollari rispetto all’incendio doloso: “Sono stati i no vax?”.
A nove giorni di distanza dal misfatto, si è riunito in seduta straordinaria il consiglio comunale di Platì, con la partecipazione dello stesso Occhiuto, che si è fatto fotografare mentre passava la ramazza davanti al portone del municipio profanato dal fuoco “no vax”. Il presidente ha ribadito la sua fermezza, sottolineando che, oltre a reclamare diritti, ci sono anche doveri da rispettare. Fatto sta che, dopo appena due giorni, la zona rossa è stata revocata, ed il paese meno vaccinato d’Italia, ove non ci sono né morti né ricoverati a causa del terribile virus, è entrato in una più confortevole zona arancione.
Oltre al buon senso ed allo stato di diritto, è stato vittima di queste travagliate vicende anche il “massmediologo” Klaus Davi, da tempo di stanza in Calabria (si era candidato pure a sindaco di Reggio), il quale si è dimesso, in polemica con le decisioni di Occhiuto, dal ruolo di “Ambasciatore di Platì”. Il vicesindaco, Roberto Romeo, gli ha prontamente offerto il suo posto, a patto però che prenda la residenza a Cirella, una frazione del capoluogo.
Una storia un po’ complicata
A Platì lo Stato, per molti aspetti, non s’è mai fatto vedere, se non attraverso i suoi bracci repressivi. Non c’è un presidio della guardia medica e molti cittadini sono rimasti senza il medico di famiglia. Fino all’autunno scorso, non c’era neanche un campo sportivo degno di questo nome. Il Comune ha subito 16 commissariamenti prefettizi, l’ultimo dei quali nel 2018. Alle successive elezioni, svoltesi nel settembre 2020, è stato riconfermato Rosario Sergi, già sindaco al momento del precedente scioglimento. Questi provvedimenti sono stati determinati dal fatto che la quasi totalità degli amministratori risulta imparentata con esponenti di spicco della ‘Ndrangheta locale: un problema difficilemente risolvibile in un paese così piccolo, perlopiù soggetto ad una forte e costante emigrazione. Insomma, diventa difficile per un consigliere comunale non essere il cugino di secondo grado di un pregiudicato, come hanno modo di ricordare tutti i candidati prima delle tornate elettorali. Una veemente polemica infuriò contro Rosy Bindi, allora presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, che si era spesa per commissariare il Comune dopo essere stata eletta, alle politiche del 2013, proprio in Calabria, dove aveva trovato un insediamento politico grazie al legame con l’ex presidente della regione Agazio Lojero. Ad ogni modo, l’attività amministrativa è stata pesantemente inquinata dagli interessi criminali nel corso degli anni. Nel 1985 venne assassinato il sindaco Domenico De Maio, mentre 5 anni dopo, in altro contesto, nella vicina Bovalino, ci fu l’omicidio del carabiniere Antonino Marino, già comandante della stazione di Platì noto per il suo rigore. Nei primi anni 2000 venne scoperto un sistema di bunker, tunnel e porte nascoste che permetteva ai latitanti di muoversi liberamente nel sottosuolo fra il paese e la montagna. I lavori furono realizzati a cielo aperto e a spese dell’amministrazione comunale. Smantellata questa rete, le ndrine ne costruirono immediatamente un’altra, più sofisticata, venuta alla luce nel 2010. Poco prima che scoppiasse il bubbone no vax, nei primi giorni di quest’anno, il Comune aveva presentato un progetto di recupero di questi capolavori ingegneristici per sfruttarne il potenziale turistico: costo stimato dell’operazione due milioni di euro.
Gia feudo della Democrazia Cristiana nella Prima Repubblica (ma ebbe anche un controverso sindaco comunista, Francesco Catanzariti), nella Seconda Platì ha tributato in larga prevalenza i suoi suffragi a Forza Italia; persino alle ultime politiche, tutt’altro che trionfali per il partito berlusconiano, il 54% dei platiesi ha messo la croce sul simbolo rosso e verde (con un’affluenza del 43%). Lo scenario cambia, invece, se si guarda alle regionali, dove i voti significano appalti, possibilità di piazzare uomini fidati sulle poltrone giuste,controllo di rubinetti di spesa pubblica. Pur essendosi espressa per il centrodestra in tutte le altre occasioni, quando alle regionali calabresi è stato il centrosinistra a prevalere, la cittadinanza di Platì ha premiato quest’ultima coalizione. Nel 2005, ad esempio, il già citato Lojero strappò la regione ai berluscones con una vittoria plebiscitaria; a Platì ebbe il 65% (e Forza Italia si ridusse ad un misero 2,5%), ma alle consultazioni di 5 anni dopo, che lo videro perdente, a prendere quella percentuale nel paese dell’Aspromonte fu il candidato del centrodestra Scopelliti. Nel 2014, poi, il piddino Oliverio sbaragliò tutti riportando la Calabria “a sinistra”, ottenendo a Platì la bellezza del 77% dei consensi. Alla resa dei conti, i cittadini di Platì dimostrano di avere un certo fiuto: hanno votato sempre in massa per il candidato vincente. Tutti i personaggi menzionati (e molti altri) hanno avuto chiaramente guai con la giustizia: una ricerca in merito potrebbe impegnare molte giornate.
Quel pezzo di Calabria appena a Nord dello Stretto, già terra di briganti messa a ferro e fuoco dalla repressione savoiarda, comprendente la Locride sul versante ionico, la Piana di Gioia Tauro su quello tirrenico e l’Aspromonte nel mezzo, come inespugnabile roccaforte, è il cuore del sistema di potere costruito negli ultimi 50 anni dalla ‘Ndrangheta, l’organizzazione che è stata sempre considerata la più opaca e impenetrabile delle mafie nazionali e che ha saputo negli anni ritagliarsi un ruolo primario nel traffico di stupefacenti dal Sudamerica all’Europa (con il controllo del porto di Gioia Tauro) e diversificare le sue attività attraverso il riciclaggio, radicandosi e ramificandosi in decine di nuovi avamposti in Italia e nel mondo, fino alla remota Australia, dove le cosche originarie di queste parti hanno preso a far parlare di sé negli anni ’70 del secolo scorso. Platì è una delle principali fucine di ‘ndrine; quella dei Barbaro è da ritenersi l’organizzazione storicamente dominante ed in grado di esercitare l’egemonia sulle altre, tessendo al contempo una ragnatela di relazioni e di alleanze con altri sodalizi criminali dell’Italia Meridionale e con i cartelli di oltreoceano. È di pochi giorni fa la notizia del rilascio dell’ultimo boss di questa dinastia, Rocco Barbaro detto “U sparitu”, che si è visto derubricare dalla Corte di Cassazione, i capi di imputazione per associazione mafiosa. Catturato nel 2017, quando si trovava nella lista dei latitanti più pericolosi, Rocco Barbaro era il reggente della ‘ndrina in Lombardia, dove la cittadina di Buccinasco, nell’hinterland milanese, è diventata la loro capitale.
Due settimane prima della scarcerazione di Rocco Barbaro, il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo aveva chiesto la riapertura dell’istruttoria dibattimentale relativa al processo “Ndrangheta stragista”, esauritosi un anno e mezzo prima, poiché in possesso di elementi in grado di collegare la sigla Falange Armata, che venne adoperata in diverse circostanze nei convulsi anni di transizione fra la Prima e la Seconda Repubblica, alle cosche reggine, che avrebbero agito, di concerto con i clan siciliani, alle dirette dipendenze del Sismi in quelli che possono essere considerati “i tempi supplementari” dello stragismo. Fra il 1990 ed il 1995 furono rivendicate dalla Falange Armata, perlopiù attaverso telefonate anonime, diverse azioni criminali che sarebbero state collegate, anni dopo, alla cosiddetta “Trattativa Stato-Mafia”. In alcuni casi si trattò di aperti depistaggi, come quando i presunti falangisti si attribuirono i delitti della Uno Bianca, in altri ad essere rivendicati furono attentati rimasti senza colpevole. La Falange Armata sarebbe dunque stata una “agenzia di disinformazione” della nostra intelligence che commissionava alle ‘ndrine calabresi alcuni servizi, garantendo una copertura istituzionale nell’ambito di ciò che restava della rete Gladio, i cui membri andavano riposizionandosi dopo l’esaurimento della funzione anticomunista della struttura paramilitare segreta. Tali relazioni pericolose maturavano ad un livello superiore, quello in cui, all’interno delle logge massoniche, si consuma l’incontro di tutte le articolazioni del potere criminale. Il processo “Ndrangheta stragista” scava anche in questa direzione, valorizzando le dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia nella seconda metà degli anni ’90. Quel che viene parzialmente a galla da queste testimonianze è un verminaio di militari, magistrati, professionisti, politici che formano la vera cupola del potere criminale, in grado di conquistare pezzi dello Stato e controllare i flussi di denaro provenienti da Roma o da Bruxelles. In base a quanto testimoniato da uno di questi “pentiti”, Annunziato Romeo, nel 1996, “la ‘Ndrangheta è il braccio armato , la Massoneria è il cervello”.
Romanzi criminali
Nell’ambito delle interpretazioni del fenomeno mafioso nel nostro paese, prevale quella che dipinge la criminalità organizzata come un’entità parassitaria che estorce risorse alla collettività imponendosi con la forza in tutti quei contesti in cui lo Stato appare “debole” e dando vita ad istituzioni parallele che, in taluni casi, riescono anche a dispensare servizi. Le mafie possono altresì essere considerate come articolazioni dello Stato stesso oppure come tentacoli di una piovra dalla testa invisibile la cui intelligenza sovrintende sia allo Stato che alle mafie. A sostegno di quest’ultima tesi, la vistosa compenetrazione fra i due livelli, la (relativa) impunità che caratterizza l’esercizio dell’attività mafiosa, lo sfruttamento dei sodalizi criminali in chiave anticomunista nell’ambito della Guerra Fredda. L’argomento non è di certo esauribile in queste poche righe, ma la questione posta non è oziosa: abbracciando l’una o l’altra tesi, si giunge a diverse prospettive di analisi per quel che riguarda la sorte che è previsto tocchi alle organizzazioni criminali nel piano dei Grandi Resettatori, i cui contorni vanno delineandosi sempre più nitidamente.
In base ad un’impostazione “parassitologica”, i clan criminali si sono dovuti reinventare al tempo della pandemia, riorganizzando su altre basi il commercio di stupefacenti ed investendo risorse nell’usura, visto lo stato di crisi in cui si sono venuti a trovare imprenditori ed esercenti. A Grande Reset compiuto, saranno capaci di reinventarsi ancora, trasferendo magari le attività criminose nel Metaverso. In base all’impostazione “organicista”, invece, le mafie verranno resettate a loro volta, avendo esaurito la loro funzione storica e visto e considerato che la vera cupola globale è ormai venuta allo scoperto.
La questione posta non è oziosa, dato che il dibattito su come comportarsi davanti agli obblighi “pandemici” e vaccinali ed in che modo adeguarsi al Mondo Nuovo che si va profilando si sarà sviluppato anche ai vertici delle organizzazioni mafiose. In tutte le zone d’Italia in cui il crimine organizzato è incistato nel territorio, i tassi di vaccinazione risultano in linea con le medie regionali, meno che a Platì e a San Luca. È estremamente probabile che siano già stati messi in piedi fiorenti opifici di Green Pass falsi, ma è chiaro che la cosa alla lunga non può durare. Gli stessi boss “credono” in qualche modo al tremendo contagio e a tutto il resto oppure hanno mangiato la foglia e si comportano di conseguenza? Non pare esserci una condotta univoca al riguardo, ed i dati ufficiali sulle vaccinazioni sono lì a dimostrarlo. Ad ogni modo, ben difficilmente questi piccoli imperi cresciuti all’ombra di un Impero più grande accetteranno di uscire di scena. Anche su questo fronte, ne vedremo delle belle.
di Moravagine per Comedonchisciotte