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Attentato in Québec: il SITE Intelligence Group si schiera contro Trump

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A cura di Davide
Il 1 Febbraio 2017
89 Views

DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

Domenica 29 gennaio, a distanza di un giorno dalla promulgazione dell’ordine esecutivo con cui Donald Trump ha limitato l’immigrazione da alcuni Paesi mussulmani, si è consumato a Québec City un nuovo attentato: uno o più terroristi si sono introdotti nella moschea locale, aprendo il fuoco sui fedeli e mietendo sei vittime. L’attacco è stato prontamente “firmato” dal SITE Intelligence Group: il responsabile è un franco-canadese, simpatizzante di Donald Trump, di Marine Le Pen e dell’esercito israeliano. Se l’obiettivo dell’operazione, demonizzare il nuovo inquilino della Casa Bianca, è chiaro, sorge però un interrogativo: ma il SITE non era “degli israeliani”? E allora perché attaccare Trump che è in ottimi rapporti con Benjamin Netanyahu? È sempre più evidente che il Mossad, come la CIA e l’MI6, risponde soltanto all’establishment atlantico.

La sottile (ed indispensabile) arte del distinguo

L’elezione di Donald Trump, come abbiamo spesso sottolineato nelle nostre analisi, ha sparigliato le carte, introducendo una variabile non prevista: alla Casa Bianca sede un presidente che non appartiene all’establishment o, per essere più precisi, è ascrivibile ad una fazione (nazionalista, isolazionista, realpolitiker, filo-Likud) in aperta opposizione all’oligarchia dominante (liberal, neocon, mondialisti, interventisti ed insofferenti alle intemperanze di Benjamin Netanyahu). È, in poche parole, uno scontro tra i “nativisti” americani e l’establishment atlantico che vive sull’asse Londra-New York: quasi una riproposizione del braccio di ferro tra Richard Nixon ed i circoli della Commissione Trilaterale, culminato con lo scandalo Watergate e la defenestrazione del presidente statunitense.

In questo nuovo contesto, dove l’establishment è stato momentaneamente relegato ai margini da un presidente populista e non controlla più le leve del potere, termini che abbiamo sinora devono essere rivisitati: ad esempio, il vocabolo “angloamericani” prima indicava contemporaneamente il potere esecutivo (Barack Obama), l’establishment (i grandi centri di potere tra la City e Wall Street) ed il variegato mondo dei servizi segreti atlantici. Dopo l’elezione di Trump, il primo significato del termine, quello cioè del potere esecutivo, è scomparso: il quadro si è complicato, rendendo indispensabile, per chi volesse continuare a fare analisi, cimentarsi nella sottile arte del distinguo.

Si prenda, ad esempio, il caso del SITE Intelligence Group, gestito dalla israeliana Rita Katz: si tratta della società che, “scovando in rete” il materiale dell’ISIS, ha svolto a partire dall’estate del 2014 la funzione di megafono del Califfato. Qualsiasi attentato od impresa dell’ISIS, in Medio Oriente come in Europa, era puntualmente “rivendicato” attraverso il SITE che, in questo modo, apponeva anche una precisa firma sugli attacchi terroristici. Molti, noi compresi, abbiamo spesso identificato genericamente il SITE Intelligence Group con “gli israeliani”: è ora indispensabile essere più precisi.

L’organizzazione di Rita Katz rappresenta infatti i servizi segreti israeliani, ed il Mossad in particolare, da tenere distinti dal potere esecutivo e dal premier Benjamin Netanyahu. Senza questo distinguo, diventato improvvisamente fondamentale, non sarebbe possibile spiegare gli ultimi avvenimenti, né, quasi certamente, quelli dei prossimi mesi.

Ci riferiamo, ovviamente, alla strage alla moschea di Québec City del 29 gennaio, un attentato a sfondo “xenofobo” che sembra appositamente studiato per demonizzare Donald Trump e la sua recente stretta sull’immigrazione mussulmana. Il SITE Intelligence Group è stato molto rapido nel sottolineare la matrice “razzista” dell’attentato, rivendicandone la paternità allo stesso tempo. Ma se dietro Rita Katz si nascondesse in termini generici “Israele”, come spiegare l’attentato alla luce del grande affiatamento tra Donald Trump e Benjamin Netanyahu? Il premier israeliano si può definire come un “grande elettore” di Donald Trump ed ha pubblicamente espresso la sua approvazione per la politica migratoria del neo-presidente americano:

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Tel Aviv sarebbe schizofrenica se da un lato si felicitasse per le ricette di Trump e dall’altro lato cercasse di screditarlo con attentati xenofobi. A meno che non si operi un distinguo: il premier Netanyahu pro-Trump ed in buoni rapporti con Putin, contrapposto al SITE ed al Mossad, anti-Trump e filo-atlantici. È un’ipotesi fondata? Crediamo di sì e cercheremo di illustrarne le ragioni.

Partiamo dal principio.

 

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