DI DEBORA BILLI
Petrolio.blogsfere
Beppe Caravita è un giornalista del Sole24Ore, con un bellissimo blog che leggo sempre. E che mi basta come garanzia per prendere molto sul serio ciò che riporta, anche se non conosco la faccia dell’autore.
Il post di ieri mi ha fatto “ghiacciare il sangue” , come avrebbe detto mia nonna. Non è la prima volta naturalmente che leggo previsioni disastrose per l’ambiente planetario, e come molti qui avranno capito da un pezzo me ne occupo anche marginalmente, visto che ritengo il problema energetico perfino più pressante.
Ma quando si legge, come nel post di Beppe, di illustrissimi scienziati che si riuniscono per un seminario scientifico, e lo fanno a porte chiuse, con ingresso vietato ai giornalisti, e poi per vie traverse si viene a sapere che tutti i partecipanti hanno convenuto che abbiamo i giorni contati, ebbene diventa obbligatorio preoccuparsene. Direi anzi urgente. Direi addirittura assolutamente pressante.Alcune notizie trapelate grazie a gole profonde e giornalisti presenti (in corridoio):
– al 2030 quasi tutta l’Australia sarà desertificata. In alcune regioni non piove da sei anni filati e ogni quattro giorni, da quelle parti, si rileva il suicidio di un contadino per fallimento.
– da Roma in giù, per quanto riguarda l’Italia, sarà un deserto.
– la maggior parte delle città del pianeta diverranno rapidamente delle megalopoli. Un caso è già stato simulato, a modello. Phoenix, con la desertificazione dell’Arizona, è prevista passare da meno di un milione di abitanti (oggi) a 30 milioni al 2030 e a oltre 50 nel 2050.
– l’Amazzonia si ridurrà alle dimensioni di una piccola foresta.
– altrettanto diverrà il Borneo, oggi foresta pluviale.
– Oceani sempre più caldi, e innalzamento del livello dei mari non dovuto tanto allo scioglimento dei ghiacci (che c’è e ci sarà) quanto alla semplice espansione termica delle acque.
Leggetevi tutto il post di Beppe. E’ assolutamente illuminante. Ma mantenete il segreto: certe cose, ci sembra di aver capito, non si devono sapere. Molto meglio che l’opinione pubblica rimanga all’oscuro…
Debora Billi ([email protected])
Fonte: http://petrolio.blogosfere.it/
Link: http://petrolio.blogosfere.it/2006/10/apocalisse_tra_20_anni_a_porte_chiuse.html
24.10.06
APOCALISSE A VENEZIA
DI BEPPE CARAVITA
Blogs.it
Tra ieri e oggi me n’è capitata una bella, che non posso che
raccontarvi qui. Alcuni giorni fa mi invitano a Venezia, a intervistare un
professore americano, per la precisione di Harward, che partecipa a un
seminario scientifico alla Venice University
sul nuovo concetto di sviluppo sostenibile.
Bè, il tema mi interessa e ci vado. Arrivo a Venezia e poi a
S. Servolo, vado al seminario e poi scopro che è chiuso ai giornalisti. Ovvero
a me a un altro collega della Rai, che staziona nelle vicinanze.
Perché un workshop scientifico sulla sostenibilità
ambientale deve essere chiuso alla stampa? Per non avere scocciatori che fanno
stupide domande nella sala? Me lo chiedo, ci passo sopra, faccio la mia
intervista al professore (molto accademica) e mi portano alla cena di
prammatica.
Ho
la fortuna di sedere a tavola con due concittadini
piuttosto significativi, l’ambasciatore Attilio Cattani, oggi presidente
dell’Ice e il
direttore generale del Ministero dell’Ambiente Corrado Clini (ex medico
del lavoro di Porto Marghera, e tra i primi in Italia a fare il monitoraggio
ambientale).
Parlo
con loro. Scopro che il ministero dell’Ambiente è oggi
il più internazionalizzato d’Italia. Che ha attivato 60 progetti in
Cina, altri
in Irak e nei Balcani. Che crea posti di lavoro ai giovani, competenze
pregiate, che promuove nel mondo intelligenza e tecnologia italiana.
Questo caso mi colpisce e mi interessa. Corrisponde in
pieno alla mia personale visione della pubblica amministrazione futura in Italia.
Quasi quasi mi fermo un altro giorno (a gratis) a Venezia, mi dico. E approfondisco la
vicenda di questo Corrado Clini, che mi pare persona fuori dal comune.
Il giorno dopo, ovvero oggi, incontro per caso a colazione
in albergo il mio collega della Rai. Che torna a S. Servolo proprio per una
intervista a Clini. Decido di seguirlo, invece di prendere il treno di ritorno
per Milano.
Arriviamo a S. Servolo. La seconda giornata del workshop già
iniziata. E’ appena finita una prima relazione sulle grandi sfide climatiche a
ambientali. Clini è disponibile a una intervista sulla sua vicenda, gliela
faccio.
Intanto però arriva il collega della Rai piuttosto
stralunato. Lui da anni si occupa di temi scientifici e ambientali. E mi
racconta il tono dello scenario appena delineato da tre esperti. Diana Liverman di Oxford, Hans
Schellnhuber, del Potsdam institute of climate change impact, E B.l. Turner della
Clark University.
Questo scenario dice (per quello che abbiamo appurato, fuori
dalla porta):
–
che al 2030 quasi tutta l’Australia sarà desertificata.
In alcune regioni non piove da sei anni filati e ogni quattro giorni, da quelle
parti, si rileva il suicidio di un contadino per fallimento.
–
che da Roma in giù, per quanto riguarda l’Italia, sarà
un deserto.
–
che la maggior parte delle città del
pianeta diverranno
rapidamente delle megalopoli. Un caso è già stato simulato, a modello.
Phoenix, con la desertificazione dell’Arizona, è prevista passare da
meno
di un milione di abitanti (oggi) a 30 milioni al 2030 e a oltre 50 nel
2050.
–
Che l’Amazzonia si ridurrà alle dimensioni di una
piccola foresta.
–
Che altrettanto diverrà il Borneo, oggi foresta
pluviale.
–
Oceani sempre più caldi, e innalzamento del livello dei
mari non dovuto tanto allo scioglimento dei ghiacci (che c’è e ci sarà) quanto alla semplice
espansione termica delle acque.
Nessuno dei
presenti al workshop (una ventina di esperti), ci dicono, solleva obiezioni a
questo genere di previsioni.
Questi solo alcuni spunti di uno
scenario assolutamente apocalittico, costruito (presumo) sul trend di riscaldamento
globale dell’Ipcc (Intergovernmental panel on Climate Change dell’Onu) e su modelli di simulazione delle emissioni
antropiche (umane) e del loro impatto. E modelli tra i più aggiornati.
Ne avevo già letti in passato di scenari di questo tipo. Come questo o questo.
Però
si trattava di contributi individuali, malamente tenuti celati o
ipocritamente disconosciuti. Qui a S.Servolo, invece, sono venti
scienziati, delle più prestigiose università del mondo, a ripetere
spontaneamente (ma a porte chiuse) gli stessi concetti.
Questo scenario inoltre è
costruito sulla base dell’assunto che non si faccia nulla di più, da qui al
2030, per limitare le emissioni dei gas serra. Oltre a quell’autentico
palliativo che è il trattato di Kyoto, con i suoi obbiettivi limitati a pochi punti
percentuali di riduzione e il suo faticoso mercato di certificati di risparmio di Co2.
A cui peraltro non aderiscono né gli Usa (come governo centrale) né soprattutto
Cina e India, paesi oggi in fase di accelerato sviluppo economico (e tra i
massimi diffusori di gas serra).
Non solo. Lo scenario non tiene
conto dei cosiddetti feedback positivi, ovvero di quegli amplificatori naturali del
fenomeno di riscaldamento che potrebbero attivarsi a causa del riscaldamento antropico
stesso. Il più temuto tra questi è lo scioglimento del permafrost, ovvero
della tundra ghiacciata (in particolare siberiana) che cela nelle sue viscere
enormi quantità di metano, gas serra venti volte più attivo dell’anidride
carbonica. Il metano da permafrost potrebbe ulteriormente accelerare
l’apocalisse, e rendere concreta la terribile profezia di James Lovelock, contenuta nel suo ultimo libro, di
una possibile estinzione della civiltà odierna e anche della massima parte del
genere umano.
Da
oggi al 2030 ci separano 24
anni. Pochissimi per una riconversione energetica planetaria, e su
tecnologie in gran parte ancora da sviluppare. Al 2050 i giochi saranno
ormai fatti. Per il meglio o per
il peggio. Il sottoscritto e il mio collega Rai ci guardiamo nelle
palle degli
occhi fuori dalla stanza del workshop. Gli chiedo: “tu hai mai sentito
di uno
scenario del genere fatto da autorevoli professori di Harward, Oxford
etc? “.
“Mai così terribile. Questi qui stanno ragionando sull’apocalisse – mi
risponde”.
Capiamo perfettamente, ora, perché i giornalisti non sono stati ammessi
nella
sala.
Chiediamo a Clini un commento.
Ammette che lo scenario, nel caso di una prosecuzione delle politiche
energetiche basate sulle fonti fossili, prevede un clima compromesso entro la
metà del secolo.
E poi che la catena dei fenomeni,
e dei possibili effetti amplificativi, non è del tutto prevedibile.
Clini non usa parole forti. Le misura e pacatamente. Ma
ieri sera aveva etichettato questo workshop come una riflessione su un
possibile (e credo necessario) progetto Manhattan per salvare il genere umano.
Oggi e domani, a S.Servolo si parlerà sul che fare. E come informare la gente di quello che sta per succedere.
Ne sta discutendo la neo-fondazione Clinton
(i paesi industriali, sostiene, devono mettere in ricerca e
investimenti almeno
il 5-10% del Pil), ne stanno discutento in tanti, in prevalenza a porte
chiuse (per ora). Il seminario della Venice University
conferma un dato di consenso ormai emergente e acquisito. Abbiamo al
più dieci
anni di tempo prima che l’onda ci sommerga, il caldo ci arrostisca (e ci
ammazzi l’agricoltura) le migrazioni e le inurbazioni creino conflitti, stragi
e guerre, la follia collettiva ci imponga dittature o persino regresso barbarico.
Troppo apocalittico? Provate a
pensare all’intera Sicilia e Puglia desertificata, a Napoli e Roma megalopoli
di baraccati, di guerre per l’acqua e forse il cibo sull’intera fascia (ex)
temperata del pianeta.
L’attuale
crisi politica italiana, al confronto, assomiglia a un’orchestrina
suonante (stonata) sulla tolda del Titanic. Credo dobbiamo darci, un
po’ tutti,
una seria, serissima regolata.
Oggi facciamo un sacrificio fiscale (se anche lo facciamo) di
poche frazioni del nostro reddito. Dovremmo farne persino di più per finanziare
solo la ricerca energetica necessaria a fermare l’apocalisse. Siamo come al
solito meschini, egoisti e ridicoli.
Ci sono infatti due strade
(parallele) per evitarci il disastro: un
fortissimo impulso sull’innovazione tecnologica e insieme un ridisegno dei
sistemi sociali per renderli il più possibile sostenibili con le condizioni e i
trend in atto.
L’innovazione tecnologica non
implica la fine della democrazia. Semmai l’investimento rapido in nuove fonti compatibili (che ancora in gran parte sono da inventare). Il ridisegno forzato delle società sì,
implica una nuova (e forse terribile) fase autoritaria su scala globale. Il
motivo è evidente. Si scatenerà una guerra come mai l’abbiamo vista.
Ci conviene quindi investire
subito, e alla grande, su programmi accelerati nella fusione nucleare, nella
fissione di quarta generazione, nel fotovoltaico, nell’eolico di alta quota,
nel risparmo energetico, nell’efficienza dei sistemi.
Alternativamente dovremo erigere
illusorie mura (insanguinate) intorno ai nostri confini e alle nostre città. Inutili
mura, dato che poi questi sistemi collasseranno dall’interno. Ci sta provando
Bush a creare i presupposti di queste muraglie (Patriot act e similia), ma non fermeranno l’apocalisse.
P.s. Putroppo
non ho fonti certe nè virgoletatti scrivibili di questo seminario a
porte chiuse. Per questo ne affido il (parziale) resoconto a questo
blog.
Dove conta solo la mia faccia.
Date anche un’occhiata a questa presentazione di John Baez
E a questa anticipazione, appena arrivata.
Beppe Caravita
Fonte: http://blogs.it
Link: http://blogs.it/0100206/2006/10/21.html#a5920
21.10.06