DI ISABELLE FREMAUX & JOHN JORDAN
I Sentieri dell’Utopia – Un viaggio di sette mesi attraverso l’Europa alla ricerca di modi di vivere utopici contro il capitalismo
“Siamo quelli che costruiscono questi luoghi, queste città… noi lavoratori possiamo rimpiazzarli con edifici più nuovi e belli. Le rovine non ci spaventano. La Terra sarà il nostro retaggio, non ci sono dubbi. Lasciamo che la Borghesia mandi in frantumi il suo mondo prima di lasciare il palcoscenico della storia. Portiamo un nuovo mondo nei nostri cuori e quel mondo continuerà a crescere. Sta crescendo anche ora, mentre parlo”.
Buenaventura Durruti (Anarchica spagnola che inventò l’esproprio bancario e usò i ricavati per finanziare una scuola anarchica) intervistata dal Toronto Daily Star, ottobre 1936.
Merida, una delle più importanti città dell’impero romano, è letteralmente costruita sulle rovine, e si estende nell’arido confine a sud-ovest della penisola iberica. Molti dei suoi moderni edifici si innalzano dalle macerie in esposizione, a volte incorporandole nelle loro stesse strutture. Il calcestruzzo levigato e il vetro sono giustapposti a macerie ruvide e antiche. Dopo le indicazioni rosa che portano all’ufficio turistico ci sono simili cartelli per il tempio di Diana: qui il passato puntella il presente ad ogni angolo. L’impero romano collassò a causa di una morsa militare ed ecologica, ed il giorno in cui arriviamo ogni bandiera è a mezz’asta. Due soldati spagnoli uccisi in Afghanistan. Raramente gli imperi imparano lezioni gli uni dagli altri.
Per 29 anni questa città ha ospitato quella che è una delle più durature Scuole Anarchiche – Paideia. Il nome viene dal concetto ateniese di costruzione del carattere, qualcosa che era visto come il processo educativo chiave della democrazia diretta nella polis. La scuola è uno straordinario laboratorio di cittadinanza radicale. Se le Utopie sono luoghi che ci sfidano a colmare il gap tra quel che è fatto e l’impossibile, allora i nostri tre giorni di visita a Paideia l’hanno certamente fatto. Questo mondo sottosopra – una scuola senza campanelle, dove i bambini sono in cattedra e dove il programma è incentrato sui valori anarchici – ci ha insegnato sulla libertà più di qualunque altra cosa avessimo mai sperimentato prima.********
“Attenti al presente che create, perché potrebbe assomigliare al futuro che sognate”
Mujeres Creando (gruppo boliviano di anarco-femministe di strada). Citato sui muri della classe per bambini.
Situata in una vecchia fattoria a due piani, colorata di un giallo pastello, su quelli che erano un tempo i confini della città, fino all’anno scorso Paideia era circondata da lussureggianti oliveti verdi a perdita d’occhio. Quest’anno ogni singolo alberello è stato abbattuto dai bulldozer e ora la scuola giace in un mare di fango solcato da ruote e strade parzialmente costruite. Un tempo era una scuola libera nella campagna, adesso è un’oasi paralizzata nel mezzo di un inferno di sprawl urbano. Enormi bulldozer le vagano attorno, emettendo rumorose vibrazioni che attraversano i muri e i pavimenti in pietra. Il prossimo anno sarà circondata da 1.500 identiche case suburbane, un altro sviluppo speculativo della Spagna, il cui motto aziendale è orgogliosamente presentato sugli annunci sopra la devastazione, che ricorda la Somma francese: “Stiamo creando il futuro”.
Il quadrimestre è appena iniziato quando arriviamo. Il nostro primo incontro si svolge di sera, con gli otto membri dello staff, i quali sono insieme ai 58 studenti dalle 10 del mattino fino alle 6 di sera e poi si occupano dell’amministrazione fino alle 9. Nonostante le lunghe giornate di lavoro, ci accolgono con grande calore e numerosi baci. Ci sediamo attorno ad una grande tavola circondata da scaffali di libri e pile di documenti. Kim e Carlos, amici dalla permacoltura collettiva di Escanda, in Asturias, sono venuti per aiutarci a tradurre. Kim ha istituito il collettivo di educazione popolare radicale Trapeze, che ha girato l’Europa durante molte grandi mobilitazioni contro i summit capitalisti. Carlos, che adesso lavora ai piani di Escanda per una fattoria ad energia eolica della comunità, insegnava Spagnolo agli immigrati in un centro educativo occupato a Madrid. Hanno sempre voluto visitare questa mitica fondazione educativa. La scorsa notte, al Campo, abbiamo ammesso che eravamo tutti un po’ ansiosi di visitare la scuola. Infatti ci sentivamo proprio come al primo giorno di scuola, un ricordo molto vecchio per noi, ma riconoscevano i nodi e l’apprensione nei nostri stomaci. Nonostante la sua lunga storia, poche persone hanno il privilegio di visitare Paideia, e non è chiaro perché ce lo abbiano permesso, sebbene il fatto che si definisca un’Utopia in molte delle sue pubblicazioni ha probabilmente aiutato.
Pepa, una corpulenta sessantenne, è tra i fondatori della scuola. Nonostante i suoi brillanti capelli tinti di rosso sembra ancora la più normale insegnante scolastica possibile, allo stesso modo delle altre sette donne e dell’unico uomo che siedono attorno al tavolo con noi. Ci spiega che le prime settimane dopo l’estate sono sempre differenti dal modo in cui funziona regolarmente la scuola. “Ritornare dalla vacanze estive è sempre un problema”, dice, “per due mesi i ragazzi vivono con i loro genitori e nonni, che iniziano a fare tutto per loro, così perdono la propria autonomia”. Al cuore della filosofia della scuola c’è l’autonomia e l’auto-gestione. Ogni aspetto della scuola è gestito mediante assemblee, dal decidere il menu del pranzo agli orari, dai conflitti personali a quali materie didattiche scegliere. Tutto è discusso e deciso collettivamente senza gerarchia e imposizione da parte dello staff. Gli studenti dai 18 mesi ai 16 anni auto-gestiscono la scuola insieme. Cucinano, puliscono e prendono le decisioni sulla gestione.
A Paideia una delle molte cose che ho imparato è questa: essere liberi riguarda fondamentalmente il prendersi delle responsabilità individuali ed essere in grado di collaborare fluidamente in una comunità collettiva. “Quando tornano si dimenticano come fare le cose… come si tagliano le carote, cosa bisogna fare etc. Le loro menti non sono libere quando devono chiedere cosa fare”, spiega Pepa. “Sono liberi quando sanno cosa vogliono… è più facile sentirsi dire cosa fare piuttosto che essere liberi, e così deleghi la tua responsabilità agli altri”. Come risultato, la scuola è sotto quello che viene chiamato Mandado – ossia essere ordinato o richiesto. Descriverlo come una sorta di punizione collettiva sarebbe sbagliato. Nei tre giorni passati qui non c’è mai stato qualcuno che urlasse o alzasse la voce. E’ una cultura di apprendimento temporanea imposta dallo staff. Visto che gli studenti non sono più in grado di prendere l’iniziativa per fare le cose senza dover chiedere alle figure di autorità, sono mandadi – viene detto loro cosa fare da parte degli insegnanti.
In seguito ho cercato di spiegarlo per telefono al mio figlio dodicenne, Jack, che si trova a Londra. Il motto della sua scuola è “Servire ed Obbedire”, risplendente lungo l’araldico frontone di pietra sopra l’entrata. “Nella scuola anarchica sei nei guai se chiedi ad un insegnante il permesso di fare qualcosa piuttosto che darti da fare e farla da solo”. Il suo confuso silenzio mostrava lo sforzo contro-intuitivo che abbiamo avuto tutti una volta realizzato cosa significava. Nella maggior parte delle scuole se non fai quello che ti viene detto sei nel torto. Qui se nel torto se ti aspetti che ti venga detto cosa fare.
Il Mandado rimane finché gli studenti decidono di convocare un’assemblea dove discutono collettivamente se siano ritornati allo stato di libertà o meno. Se votano tutti per la sua revocazione, viene revocato. “Devono ritrovare i loro valori anarchici”, conclude Pepa. “Non ci vuole molto. Se vogliono essere liberi devono combattere per esserlo”.
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“Non c’è al mondo un più sincero oggetto di pietà che un bimbo terrificato da ogni occhiata, che guarda con ansiosa incertezza i capricci di un pedagogo”
William Godwin (il primo grande filosofo dell’anarchismo e della felicità, il cui An Enquiry Concerning Political Justice ha avuto un enorme impatto nella Gran Bretagna del 18° secolo. Contenuto in An Account of the Seminary that will be Opened on Monday the Fourth Day of August, at Epsom in Surrey, for the Instruction of Twelve Pupils, 1783)
Arriva il bus della scuola, un lungo, lucente, nuovo, bianco pulmino. I bimbi sciamano fuori. I più grandi si danno le mani con i più piccoli, guidandoli tra i gradini e fino ai terreni della scuola, dove tutti accarezzano i due oziosi cani della scuola e sono baciati dagli insegnanti in attesa. Ho dolorose memorie di quando portavo mio figlio all’asilo, vedendo così tanti bambini che piangevano mentre venivano spinti oltre le porte delle istituzioni. Qui non sembrano esserci lacrime, solo sorrisi, corse e salti disinvolti. I bambini più piccoli, dai 18 mesi ai 5 anni, si separano dagli altri per dirigersi all’annesso asilo, mentre noi rimaniamo con i più grandi nell’edificio principale.
La prima cosa che accade quando arrivano è che il gruppo di cucina, sette ragazzi in età mista dai 5 ai 16 anni, va in cucina, si mette i grembiuli bianchi e inizia a preparare i menù del giorno. Fuori alcuni ragazzini stanno dondolando su un trapezio attaccato ad un vecchio albero di Cipro e altri stano spazzando con scope alte due volte più alte di loro. Nessuno sembra dir loro cosa fare, lo fanno e basta. Questa è forse una delle impressioni più durature: nonostante lo stato del Mandado, c’è un dinamismo costante ed un gran movimento di energici bambini in tutto l’edificio, che salgono sopra le cose senza essere rimproverati dal terrorizzante acuto di un’insegnante o da una campanella scolastica.
Nella cucina mi sento un po’ tesa vedendo bambini di cinque anni che maneggiano grandi coltelli, tagliando diligentemente i pomodori e mescolando enormi calderoni d’argento per la bollitura del cibo. Mi sento chiedermi se sia sicuro e presto realizzo quanto indottrinata io sia divenuta dalla cultura del controllo della salute e della sicurezza che domina la moderna vita istituzionale.
Manu, sei anni, inizia ad acchiappare mosche nella sala da pranzo di fianco alla cucina. I muri sono tappezzati con citazioni, tra cui la famosa tirata del primo sedicente anarchico, Joseph Proudhon: “essere governati… significa essere sorvegliati, ispezionati, spiati, diretti, regolamentati, irregimentati, reclusi, indottrinati, predicati, stimati, valutati, censurati, comandati…”. Letta in questo contesto diventa improvvisamente una buona descrizione della scuola tradizionale. “Mangiamo molti piatti diversi qui. E’ il miglior cibo del mondo”, dice Manu tra i vari colpi. Non posso davvero credere che i pranzi scolastici siano saliti sopra il livello di farina cotta in acqua. “E’ la miglior scuola al mondo?”, le chiedo mentre la aiuto ad arrotolare i tovaglioli. “Sì, certo”, dichiara la sua grande faccia bruna mentre fa un largo sorriso ed armeggia con lo strofinaccio.
“Avanti, è ora di lavorare”, dice Carlos dalla cucina. Nonostante abbia solo sette anni, e non sia il coordinatore ufficiale del gruppo di cucina, che è il tredicenne Arai, Carlos è in grado di capire quel che deve essere fatto e può spingere Manu a finirla con il massacro delle mosche. Ernesto, il più grande, spiega utilmente all’insegnate Kim chi è che comanda, dicendole di portare un solo piatto alla volta perché altrimenti risulterebbe pericoloso. Qui la cultura dell’aiuto è incredibile, che sia Ernesto mentre dice alla trentacinqenne Kim come si portano i piatti o i ragazzini più grandi che annodano le scarpe dei bambini, essa permea tutto a Paideia. Mentre vedo tutto questo, c’è un momento in cui desidererei trasportare qui ogni persona che mi ha detto “l’anarchia è caos” in questo squisito esempio di auto-organizzazione, e da parte di bambini!
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Ci si avvicina una sedicenne alta ed ossuta, con il volto dalle lentiggini a forma di cuore e delle enormi orecchie a sventola. Ci baciamo e poi si presenta con voce profonda come Jara. “Questa è l’ora del collettivo di lavoro”, ci dice, gesticolando in completa sicurezza con le sue lunga dita. “Cucinare, pulire etc. Lasciate che vi spieghi il nostro orario”. Ci porta ad un tabellone nell’entrata principale. La maggior parte degli avvisi sono scritti dai bambini con la loro calligrafia. Liste di gruppi di lavoro e vari orari. Vicino alle colorate liste dei gruppi di lavoro, decorate con disegni a pastello, sono appuntate le cartoline nero seppia del sindacato anarchico CNT, gestito dai ferrotramvieri e da operatori telefonici durante la Ricoluzione Anarchica del 1936.
“Dopo il lavoro collettivo facciamo colazione. Dalle undici e mezza fino all’una abbiamo un’assemblea generale o frequentiamo un gruppo di studio, dopo di che abbiamo il nostro tempo libero. Poi c’è il pranzo alle tre e un po’ di lavoro collettivo fino alle quattro, poi un’ora e un quarto e alla fine il the pomeridiano”. Janza capisce che sta dominando la conversazione e passa la parola a Manuel, un suo timido compagno. Lo incoraggia a continuare la spiegazione. E’ raro vedere una tale sensibilità alle dinamiche di gruppo e un tale senso di solidarietà da una teen-ager.
“Come sono decisi gli orari”, chiedo. “Con l’assemblea”, risponde. “Prima dell’inizio di ogni periodo scolastico analizziamo com’è andato quello precedente, decidiamo quali materie vogliamo studiare nei gruppi di lavoro e come dovrebbe essere organizzato l’orario. Deciamo anche i gruppi di lavoro in assemblea”.
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L’organo centrale della scuola sono le assemblee, ma quel che la gestisce a livello quotidiano sono i gruppi di studio e i comitati, tutti composti dai ragazzi. A parte i gruppi per la cucina e la pulizia, ci sono anche comitati che osservano la gestione della scuola. Chris, uno studente dallo Yorkshire di aspetto tipicamente inglese, che si è trasferito a Merida due anni fa e adesso ne ha dieci, mi dice che è nel comitato dei “soluttori”, un lavoro che gli piace molto. “Devo stare in guardia per i problemi e i conflitti che vengono sollevati, mi dice, “e se c’è un problema intervengo e cerco di aiutare, se poi non riusciamo a trovare una soluzione convochiamo un’assemblea”. Spiega che ci sono anche ‘comitati di valori’ il cui ruolo è studiare e valutare cosa quel che c’è al cuore della scuola, ossia i valori anarchici. Al vero cuore di quel che viene imparato e praticato a Paideia non c’è una conoscenza astratta, non date, fatti, storia e aritmetica – ma una serie di profondi valori umani. Questi valori sono il fondamento di tutto quello che accade – sono il programma della scuola. Invece delle tre R dell’educazione tradizionale [reading, ‘riting, ‘rithmetic = leggere, scrivere, far di conto, ndt] ci sono sette valori anarchici: solidarietà, giustizia, eguaglianza, libertà, non-violenza, cultura e soprattutto felicità.
I comitati dei valori sono composti da uno studente da ogni gruppo di età e cambiano ogni due settimane. Ci sono quattro gruppi di età nella scuola per i più grandi e ognuno ha un proprio nome e una classe: 5-7 anni ‘gruppo ganzo’, 7-8 anni ‘tornado’, 9-11 anni ‘gruppo uno’, 12-15 anni ‘gruppo due’. I ‘comitati dei valori’ cambiano ogni due settimane e fanno rapporto all’assemblea generale.
Chris è nel bel mezzo di un gruppo di studio sulla storia. Non hanno lezioni, mi viene detto che queste suonerebbero troppo religiose e buttare la religione fuori dalla scuola è essenziale in un paese dove la Chiesa era la mano destra della dittatura fascista. Quali materie di studio vogliano affrontare nei gruppi di lavoro è deciso nell’assemblea generale all’inizio di ogni periodo scolastico, dove l’intera scuola riflette su come è andato quello precedente. Lo staff può suggerire una serie di 10 gruppi di lavoro, e la classe decide collettivamente cinque che vogliono fare. Il ‘gruppo uno’, quello di Chris, ha scelto di fare Storia, Inglese, Economia Globale, Grammatica e Arte.
Nei gruppi di lavoro non c’è un insegnante che sta in piedi davanti ad una lavagna, dinanzi a file di banchi. Ogni classe ha tutti i banchi spinti insieme per creare una grande tavola centrale attorno al quale si siedono gli studenti. Vanno avanti con il loro lavoro, si alzano per trovare un libro, scrivono appunti, occasionalmente lanciano una gomma ad un compagno di classe. Un insegnante, sebbene non siano mai chiamati come tali, ma solitamente con il loro nome o “gli adulti” si fanno vivi nelle classi di tanto in tanto per aiutare e scorrere il lavoro che stanno facendo dai libri.
Ogni studente fissa un impegno a fare un certo numero di progetti per ogni periodo scolastico. Si impegnano anche in quello che viene chiamato “lavoro intellettuale”. E’ un progetto deciso del tutto autonomamente, su qualunque materia vogliano. Compilano e firmano tutti un complesso documento di impegno all’inizio di ogni periodo, decidendo ognuno i loro impegni personali, che vanno da quanti progetti e libri di lavoro vogliano completare e di come riflettano i valori anarchici, quale lavoro collettivo faranno e a cosa si impegnano su un livello affettivo. Alla fine di ogni periodo valutano collettivamente i rispettivi impegni.
Chris sta facendo del lavoro sull’Impero Romano. Dopo due settimane si alzerà davanti alla sua classe e lo presenterà. Non ci sarà alcun voto. L’unica verifica formale è alla fine di ogni periodo scolastico: ‘La Prueba Larga’, un test che viene fatto uno ad uno con Pepa e riguarda tutto, dalla coordinazione motoria alla conoscenza generale. Non c’è voto, è solo un modo per lo staff di verificare lo sviluppo dei ragazzi.
Isabelle Fremaux & John Jordan
Fonte: http://www.utopias.eu/
Link
15.10.2007
Traduzione per www.comedonchisciotte.org & http://scuolalibera.blogspot.com a cura di CARLO MARTINI
Sito di Paideia: http://www.paideiaescuelalibre.org/Index_bis.htm