AMY GOODMAN INTERVISTA ALI FADHIL (PARTE II)

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Falluja – La vera storia

Un documentario di un giornalista iracheno mostra gli orrori dell’assedio statunitense

Trascrizione:

AMY GOODMAN: Ali Fadhil è probabilmente meglio noto per il suo film-documentario sulle conseguenze dell’assedio di Fallujah da parte degli Statunitensi nel novembre 2004. Durante l’attacco, le forze Usa ed irachene circondarono la città, cacciando i residenti e bombardando gli ospedali e gli edifici civili. Trasmetteremo qualche estratto del documentario, prodotto lo scorso anno dalla Guardian Films per conto di Channel 4 News.Interi quartieri sono stati attaccati ed è stato negato l’accesso ai soccorsi. Quando la nube di polvere è svanita, si potevano contare 10.000 edifici distrutti e migliaia seriamente danneggiati. Almeno 100.000 cittadini residenti sono stati cacciati e più di 70 soldati Usa stati uccisi. Il totale delle perdite irachene rimane non identificato ma si attesta sulle centinaia.

Ali Fadhil ha scritto le prime cronache indipendenti dalla città devastata, dove ha trovato una ventina di corpi insepolti, cani idrofobi ed una popolazione esasperata. A Democracy Now!, in esclusiva negli Stati Uniti, viene diffuso un estratto del documentario.

— INIZIO VIDEO —

ALI FADHIL: Fallujah, come città, non è esistita per almeno due mesi. Rahena è una delle prime residenti a tornare a casa da quando gli Statunitensi hanno occupato la città. Mi ha voluto mostrare cosa si era lasciata alle spalle.

RAHENA: Guarda qui!!! Mobili e vestiti buttati ovunque. Hanno sfasciato gli armadi e scritto qualcosa di cattivo sullo specchio della toletta.

ALI FADHIL: Lei non parla inglese così ho dovuto spiegarle cosa significassero quelle parole.

RAHENA: Lo sapevo. Sapevo che quelle parole erano insulti.

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[“Si fotta l’Iraq ed ogni Iracheno dentro”]

(Musica)

ALI FADHIL: Ogni abitante di Falluja conosce questo ritornello. È stato scritto dopo la guerra ed è pieno di odio nei confronti degli Statunitensi. Al momento è assolutamente impossibile vivere in città. Non c’è acqua corrente né elettricità e mancano le fogne. E’ quasi una città di fantasmi. La maggior parte delle 350.000 persone che vivevano qui, ora è nei campi profughi. Volevo entrare nella città ma la strada era sbarrata. Così ho cominciato a cercare degli abitanti di Fallujah nei villaggi e negli accampamenti circostanti. Ho iniziato il mio viaggio ad Habaniya, 35 kilometri ad ovest di Fallujah. Questa, una volta, era una località turistica. Lo stesso figlio di Saddam veniva qui per le vacanze. Oggi la gente sta abbattendo gli alberi per accendere il fuoco e riscaldarsi. Abu Rabiyah abita qui da due mesi.

ABU RABIYAH: Siamo conosciuti come la nazione del petrolio, o no? Eppure guardami. Sto dosando goccia a goccia il kerosene per questa lampada. Non abbiamo riscaldamento qui. Usiamo la legna per il fuoco.

ALI FADHIL: Questa gente sta congelando. Non hanno ricevuto aiuti alimentari per tre mesi. Si dovrebbero preparare a votare il 30 gennaio.

UN PROFUGO DI FALLUJA: Non voteremo. Non voteremo proprio. Prima ci devono ridare indietro le nostre case.

ALI FADHIL: All’interno di una tenda, ho incontrato Hamid Allawi. Gli ho chiesto se aveva ricevuto le schede elettorali.

HAMID ALLAWI: Non le ho mai ricevute e nemmeno le voglio. Nessuno degli abitanti di Falluja ha mai avuto le schede elettorali.

ALI FADHIL: Improvvisamente ci venne che alcune persone non volevano filmassimo. La situazione si fece pericolosa e ce ne dovemmo andare. Andammo dritti a Saklawiya, un villaggio a nord di Fallujah. Fra coloro che pregano, il venerdì, i discorsi erano tutti sulle elezioni.

SHEIKH JAMAL AL RAHAMIDI: Quando distribuiscono le razioni di cibo dovrebbero darci anche le schede elettorali. Perché il governo non dà alla gente la possibilità di votare?

ALI FADHIL: Sheikh Jamal Al Rahamidi è un uomo potente. Molti profughi di Fallujah vengono ad ascoltare i suoi sermoni. Si commuove quando parla dell’attacco dello scorso novembre.

SHEIKH JAMAL AL RAHAMIDI: Ho visto, con i miei occhi, il Corano gettato sul pavimento della moschea da quei figli di maiali e di scimmie. Gli Americani stavano calpestando il Sacro Corano e ciò mi ha spezzato il cuore.

ALI FADHIL: Ho voluto parlare con lo sceicco perché, a novembre, gli Statunitensi gli avevano chiesto di spostare i corpi da Fallujah. Volevo sapere che cosa avesse visto.

SHEIKH JAMAL AL RAHAMIDI: Gli Americani hanno segnato con una croce le case che avevano dei cadaveri all’interno. E’ dove abbiamo trovato le vittime. Secondo me queste persone erano civili e non terroristi. Erano uomini che sono rimasti in città per difendere le proprie case. Dico queste cose perché abbiamo trovato i corpi in gruppi di due, tre o quattro. Era il Ramadam e la gente si radunava per l’Iftar, il primo pasto dopo il digiuno. Abbiamo trovato i corpi proprio dietro le porte d’ingresso. Era come se non appena hanno aperto le porte gli Americani li avessero freddati immediatamente. Così è come li abbiamo trovati.

ALI FADHIL: Sheikh Jamal mi ha portato in un cimitero alle porte della città. Mi ha mostrato dove aveva seppellito i corpi. Affermava che nessuno di loro aveva armi con sé e che aveva trovato un uomo di 90 anni freddato nella sua cucina. Le lapidi non hanno nomi ma solo numeri. Ne ho contate 76. Gli Statunitensi sostengono di averne uccisi 1200. Così, anche se queste persone fossero stati ribelli, dove sono tutte le altre tombe? Volevo entrare dentro Fallujah ma per farlo dovevo prendere la nuova carta d’identità. Chiunque voglia ritornare in città deve ritirare questa carta d’identità dalle forze Usa. Alla maggior parte degli iracheni sembra una pazzia. E’ l’unico posto in Iraq dove hai bisogno di una carta d’identità per entrare nella tua città.

IL MAGGIORE PAUL HACKETT: Questa carta consentirà alle persone di ritornare in città in maniera controllata ed organizzata.

ALI FADHIL: Tuttavia gli uomini in fila per ritirare la carta mi dicevano che vedevano la cosa come l’ennesima forma di punizione che gli Statunitensi infliggevano loro. La gente di Fallujah è sempre stata molto orgogliosa della propria città. Concetti come onore e dignità contano molto qui, dunque lasciare le impronte digitali ad un soldato americano solo per andare a casa è piuttosto imbarazzante. Ecco perché questi uomini si coprivano il volto.

Un abitante di Falluja con il volto coperto

ABITANTE DI FALLUJA: E’ un’altra umiliazione per la gente di Fallujah. Penso che lo stiano facendo apposta per umiliarci.

IL MAGGIORE PAUL HACKETT: La mia speranza è che, alla fine, appendano la carta al muro e la considerino come se fosse un souvenir e comunque in un futuro non troppo lontano la carta non servirà più per entrare a Fallujah.

ALI FADHIL: Finalmente siamo entrati dentro Fallujah. La prima cosa che abbiamo notato sono stati dei graffiti con scritto “Lunga vita ai mujahedeen”. Non potevo credere ai miei occhi. L’intera città era distrutta. Fu uno shock terribile. Non ero preparato ad una tale devastazione. Sono stato qui poco prima dell’attacco degli Usa. Era difficile credere che fosse la stessa città. Fallujah era una delle poche città irachene moderne ed ora non c’è più nulla. Le uniche persone che vedo sono gli abitanti di Fallujah, che tentano di rimettere insieme i pezzi delle loro case, persone come Abu Sallah. Questo è ciò che rimane della sua casa.

ABU SALLAH: Guarda questi materassi qui. Erano del matrimonio di mio figlio! Questa era la sua camera. E dà un occhiata qui, questa era la cucina. Ecco il sacco di zucchero che lasciammo in cucina proprio qui. Se Allawi vuole veramente che votiamo, prima venga qui a vedere in che condizioni stiamo vivendo.

ALI FADHIL: Potevo sentire l’odore dei corpi attraverso le macerie. Sono andato nella parte vecchia di Fallujah. Era il posto dove i quattro imprenditori americani sono stati brutalmente linciati lo scorso marzo. Gli Statunitensi non permettono a nessuno di venire qui. Dicono che non è sicuro. E’ un posto spaventoso, ma questi abitanti di Falluja insistono per portarmi da una parte. Vogliono mostrarmi qualcosa di raccapricciante. Ho contato quattro cadaveri. Erano in putrefazione. Sembrava come se gli avessero sparato mentre dormivano. E’ normale dormire insieme fra amici, in Iraq. Non c’era alcun segno di sparatoria, nessun buco di proiettile. Non ho potuto trovare nessuna arma, né alcun segno evidente che si trattasse di ribelli. Mi sono detto che erano dei civili. Nei pressi, in un’altra casa, un altro cadavere. Ma qui c’erano chiari segni che si trattasse di un ribelle. C’era un lanciarazzi anticarro sul tetto della macchina ed una bomba da piazzare sul ciglio della strada vicino alla porta. In entrambe i casi i corpi erano stati mangiati da cani affamati. Ho potuto vedere un sacco di cani morti in città. C’è una seria epidemia di rabbia.

Cane morto

UN MEDICO DI FALLUJAH: Abbiamo avuto nel nostro ospedale numerosi casi sospetti di idrofobia. Sapete che non abbiamo tossine o vaccini quindi la maggior parte dei pazienti muore. Ci sono stati circa 50 casi.

ALI FADHIL: Il Dottor Chichen e i suoi colleghi vivono nel principale ospedale di Fallujah. La città è vuota ora, così questi medici non hanno pazienti. Il loro unico lavoro è quello di recuperare i corpi in putrefazione e dar loro sepoltura. Quando sono andato nel principale cimitero di Fallujah stavano ancora seppellendo i loro morti. Due mesi dopo l’inizio dello scontro non sappiamo ancora quanti abitanti siano morti. Ma conosciamo il bollettino di guerra Usa: 51 soldati sono stati uccisi ed oltre 400 feriti.

— FINE VIDEO —

AMY GOODMAN: Il documentario di Ali Fadhil “Fallujah: la vera storia” è stato prodotto dalla Guardian Films per Channel 4 in Gran Bretagna. In esclusiva per gli Stati Uniti, abbiamo trasmesso un estratto del film. Ali, la tua conclusione alla fine del film è ora che non stiamo affatto giocando?

ALI FADHIL: Si, riguarda la sconfitta dei ribelli che le forze Usa hanno vantato in quel periodo, affermando “Questa è una grande vittoria per noi contro l’insurrezione in Iraq”. Niente di più falso. Al tempo del raid di Fallujah c’erano imponenti operazioni militari in differenti aree dell’Iraq specialmente a Baghdad e a Mosul. C’erano per esempio numerosi campi militari americani a Nineveh e nel nord dell’Iraq, dove sono avvenuti attacchi suicidi, ma in realtà ovunque. Perciò la conclusione è che questo non è vero. Gli Statunitensi, scusami, volevo dire i ribelli, sono andati via da Fallujah. Sono solo scappati pochi giorni prima dell’invasione Usa.

AMY GOODMAN: Hai vinto il premio della Foreign Press Association, un premio di Amnesty International, e sei dovuto andare lì a Fallujah con una carta d’identità. Nel film ne parla un maggiore dell’esercito Usa, Paul Hackett, che ora si è candidato per il Senato in Ohio. E’ colui che hai intervistato lì.

ALI FADHIL: Si, beh, non lo sapevo, veramente. Comunque lo incontrai lì a Fallujah in un campo dove fanno queste carte d’identità. Ci sono soldati statunitensi che siedono di fronte ai computer ed hanno calcolatrici e stampanti. In tal modo stampano questa specie di carte d’identità, dove segnano l’impronta dell’iride e delle tue dieci dita e poi ti danno il documento senza il quale non si può ne entrare ne uscire da Fallujah. C’è anche una foto e adesso possiamo dire che la gente di Fallujah non potrà muoversi dalla propria città senza quella carta.

AMI GOODMAN: E’ una fotografia di te con un codice a barre in cima ed il tuo nome scritto in inglese.

ALI FADHIL: Esattamente, così può essere letta da un computer, anche se, naturalmente io non sono un abitante di Falluja. E l’ho avuta per caso. Non so come, perché è una cosa molto esclusiva. Come puoi notare detengo un particolare tipo di carta, vedi il simbolo C che sta per “contractor”. Quindi ho avuto il permesso di entrare a Fallujah con le telecamere e tutto il resto in qualità di “contractor”. Io, prima di venire negli Stati Uniti, ho rincontrato, ad Amman in Giordania, due miei amici di Fallujah che ho ripreso anche nel film e ho chiesto loro della situazione della città. Mi hanno detto che è praticamente la stessa di come l’ho lasciata. È un assedio, nessuno ha il permesso di entrare o uscire senza quella carta. E ci sono problemi con gli Statunitensi, le truppe irachene ed i ribelli. Quindi niente è cambiato in realtà.

Macerie di Falluja

AMY GOODMAN: E come hai fatto a filmare quelle scene che si vedono nel finale dei corpi morti nelle loro case? Come sei entrato?

ALI FADHIL: Beh, il fatto è che c’era la parte nord della città, nota con il nome di Souk, che è stata proibita all’accesso. C’erano nastri gialli dappertutto con scritto “Non attraversare”. Tali aree sono sotto stretto controllo dei militari. Se le oltrepassi hanno l’autorizzazione a spararti. Alcuni abitanti di Fallujah in realtà mi hanno detto “Devi venire in questo posto. Entra con noi. Non ti preoccupare, ci prenderemo cura noi della tua sicurezza”. Erano alcuni dei residenti che tornavano in città, infatti quelli erano i primi giorni in cui era stato dato il permesso ai civili di rientrare per vedere le loro case. Quindi mi portarono con loro passando furtivamente per i vicoli e le traverse e mi ritrovai in questi posti ed in una casa, dove sono stato sul serio preso di mira da un cecchino che mi ha sparato dalla cima di uno degli edifici, probabilmente la moschea, la cupola della moschea.

AMY GOODMAN: Sei un giornalista indipendente.

ALI FADHIL: Si, indipendente.

AMY GOODMAN: Cosa ci dice il confronto di questo caso con le altre cronache che hai visto provenire da Fallujah?

ALI FADHIL: Beh, se ti ricordi, in quel periodo, tutte le cronache provenienti da Fallujah erano effettuate da giornalisti appartenenti all’esercito poiché non era permesso di entrare a nessuno all’interno della città, nemmeno ai media. Chiunque volesse entrare doveva avere il permesso dell’esercito Usa. Perciò vorrei dire che questo film rappresenta davvero qualcosa. Significa un sacco di cose per me e la maniera in cui è stato girato è qualcosa di unico, come siamo riusciti ad entrare in città, perché è stato pericoloso non solo a causa dei soldati americani ma anche per i ribelli locali.

AMY GOODMAN: Abbiamo solo 30 secondi. Tu sei un medico generico. Sei stato un dottore in Iraq. Perché hai smesso per prendere in mano una telecamera?

ALI FADHIL: La ragione principale è perché, dopo essermi allontanato nel 2003, sono ritornato in Iraq. Ero stato in esilio nello Yemen, esercitando anche lì la mia professione. Quando sono tornato mi sono ritrovato a firmare solo certificati di morte e a non poter curare nessuno dei miei pazienti. Così ho deciso di farlo, voglio dire, ero completamente disperato e pronto a tutto. Quando ricevetti la visita di un giornalista del Guardian, questi mi chiese di lavorare con lui come interpreti. Nel momento in cui cominciai scoprii che i media sono molto più potenti della medicina stessa.

AMY GOODMAN: Bene Ali Fadhil, voglio ringraziarti per essere stato con noi. Ora sei venuto in America con la tua famiglia per andare alla scuola di giornalismo dell’Università di New York. Ti do il benvenuto negli Stati Uniti.

ALI FADHIL: Ti ringrazio.

— MEDIA LINK —

Link diretto al documentario completo:

http://www.journeyman.co.uk/media/video/2541.rm

Galleria fotografica:

http://www.guardian.co.uk/gallery/image/0,8543,-10105100583,00.html

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Amy Goodman intervista Ali Fadhil
25.01.2006
Fonte: http://www.democracynow.org/
Link: http://www.democracynow.org/article.pl?sid=06/01/25/155226

Traduzione dall’inglese a cura di FRANCESCO SCURCI per www.comedonchisciotte.org

VEDI ANCHE: AMY GOODMAN INTERVISTA ALI FADHIL (PARTE I)

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