di Marco Toti
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“La liberazione sessuale [che è una “frammentazione”] è la polverizzazione dell’amore in quanto processo totale della vita umano-femminile” (J. Camatte, http://www.nelvento.net/critica/disvelamento.pdf, p. 62). Tanta “sessualità”, poco amore; e tanta (troppa, soprattutto se “parlata”, “politicizzata” ovvero agita in forme patologiche, di cui si vorrebbe essere pubblicamente, farsescamente, laidamente orgogliosi) “sessualità”, sussunta senza residuo nel capitale, ha ultimamente trovato la sua eminente forma di elezione, sul piano sociale, nella teoria del cd. “gender”. Quest’ultima costituisce un assurdo precipitato di “studi” di origine statunitense (e di matrice remotamente gnostica) che mescola atomismo sociale e scissione individuale patologica, e che si sta imponendo nella società della “astenia” – prodotto di un’angoscia tanto “sottile” quanto sfuggente e pervasiva — e dell’acedia globale, in cui è proibita, con l’assenso delle masse anestetizzate, finanche una respirazione ordinaria, ma non l’accesso dei minori alla pornografia, che è, come l’”informazione” e tutte le ramificazioni del sistema, una forma di controllo politico-finanziario della società intimamente legata alla tecnologia (riproduzione e trasmissione diimmagini) e non diversa dal traffico di stupefacenti, in quanto il suo consumo è fondato sulla compulsione (E. Michael Jones, Libido Dominandi. Sexual Liberation and Political Control, South Bend [In] 2000, pp. 8-9) e volto alla disintegrazione di ogni individualità e vincolo comunitario. La precarietà eretta a sistema di vita, nella “società gassosa” (R. Guénon) del “gender fluid” (due paradossi in un’espressione”), che penetra nei recessi più intimi dell’anima tramite il consumo indotto di immagini onnipresenti, è sommamente funzionale al capitale ubiquo, che, nella melassa indistinta del “nuovo umanesimo”, genera l’”animale globale”, schiavo delle proprie passioni, automa mercificato e quindi totalmente asservito.
“Sessualità” vs amore, dunque: è lo spettacolo, angosciante e raccapricciante, di cui siamo oggi spettatori (paganti): “essere contro la procreazione è come essere contro il lavoro; è voler essere spossessato della vita e dell’attività” (ibidem [corsivo nostro]).
Il “movimento omosessuale”, che nasce in California come reazione antiborghese e non conforme — e ora è mediaticamente ridotto ad un vittimistico reclamare “diritti” ultraborghesi! — riduce ultimamente il sesso, nella sua forma “mercificata” e già sottoposta ad un degenerescente processo di separazione/avversione all’amore come “pienezza” dell’essere, ad una forma di necrofilia, che mira alla distruzione dell’altro (e quindi di sé); d’altra parte il neocapitalismo, che lo glorifica nella pubblicità, nel marketing, nel cinema, nella psicologia e nella cultura di massa, e più generalmente come ideologia funzionale al suo trionfo onnipervasivo (che coinciderà con la sua autodistruzione), costituisce un cannibalismo mimetico (in rari ma non insignificanti casi addirittura pratico!). Non a caso, la sodomia (come la pedofilia “in atto”, in cui si lavora come surplus demonicamente teleologico alla distruzione dell’innocenza), oltre ad essere socialmente pericolosa perché naturalmente sterile e “dissolvente” sul piano individuale, non costituisce una relazione paritaria: in essa si esercita, da parte dell’”attivo”(il maschio “forte”!) , un dominio sul “passivo” (la femmina “debole”!): dominio che è in palese, apparente contrasto con la retorica dell’uguaglianza, di cui è la manifestazione “privata” che si copre col belletto scialbo e stantio delle vacue petitiones principii ad uso dei polli in batteria. Una doppia verità, in cui la realtà ultima contraddice quanto declamato ai quattro venti? Certamente, una finzione da baccanale di periferia, l’ultimo artificio dell’inimicus homini, il cui ferale colpo da maestro incanta le masse ipnotizzate dai media mondialisti; ma, soprattutto, un gioco “esoterico” di parole e significati, in cui la “libertà” exoterica per le masse è in realtà il controllo “esoterico” di queste: la “razionalizzazione del caos”, allo stesso modo del “delirio calcolante” dell’”economia di mercato”, implica che la libertà percepita è schiavitù reale, e che chi controlla le passioni degli uomini ridotti a “macchine desideranti” controlla gli uomini stessi (“ordo ab chao”; E. Michael Jones, op. cit., p. 9). Non c’è peggior schiavo di colui che lo è pensando di essere libero. L’artificio è “in process”, peraltro: il cd. ddl Zan, tra le altre mefistofeliche trovate, dovrebbe coerentemente combattere la “pedofilofobia”, cacofonica farneticazione ed ulteriore reato di opinione, dato che nel 2013, ex cathedra (ma fallibilmente!), l’Associazione Psichiatri Americani ha definito la pedofilia un “orientamento sessuale”: si è così aperta una finestra di Overton sul penultimo tabù (manca solo l’incesto all’appello), sulla base di pressioni extrascientifiche come nel caso dell’omosessualità, che sarà ben difficile richiudere ermeticamente. Eventualmente, forse, la toppa sarà peggiore (e comunque inefficace) del buco.
La “liberazione sessuale” è “un processo interno al capitale” (ibidem, p. 61), “grande realizzatore di possibili” che nega la vita (e anche la sofferenza, quindi: aborto, divorzio, eutanasia spacciati come “diritti”) attraverso la tecnica, cui la stessa scienza medica – dimentica del “primum non nocere”, e dunque non più tale – si è quasi totalmente asservita; e, aggiungiamo, porta alla scissione dell’individualizzazione assoluta (“l’inferno sono gli altri” di Sartre), alla “reificazione dell’altro” (ibidem, p. 62) e eventualmente alla alienazione, alla depressione/follia (cfr. ibidem; non prima di aver elucubrato sul transessuale come “sintesi rivoluzionaria” [il precario assoluto: Marx si starà rivoltando nella tomba…] e aver scritto “noi […] possiamo far l’amore con loro” [i bambini, in questo echeggiando l’altro apostolo della sovversione sessantottesca, il “cattolico” Don Milani, omosessuale e pedofilo in pectore; corsivo nostro], l’intellettuale della rivoluzione coprofaga M. Mieli si suicidò a 31 anni): si diviene ciò che si pensa (altro dalla natura e dalla ragione), per astrazione mediata dai processi immaginifici indotti dallo spropositato (e passivo) consumo del tubo catodico. Anime tecnicamente alienate, profondamente divise in sé, che cosificano l’altro come “oggetto di piacere” (di violenza), sulla base di turbe riconosciute ufficialmente dalla psichiatria fino a qualche decennio fa; e che, allo stesso tempo, lavorano alla dissoluzione delle istituzioni classiche, politiche e morali, della civiltà occidentale: Stato, comunità (“corpi intermedi”), famiglia, persona, tutte fondate su di una gerarchia (“esterna” o “interna”) e su reti di relazioni ben definite. D’altra parte, la pervicace attività “scismatica” è una nota del secolo attuale: la vediamo agire tramite figure spesso ciarlatanesche quali Renzi, Bergoglio e di Mattei, in ambiti differenti, ma con la identica strategia di sezionare un cadavere putrescente. Ecco, dunque, la radice psicoideologica della convergenza tra potentati apolidi (spesso di proprietà di figuri più che ambigui) e cricche omosessualiste: il dominio e la noia (non si lavora più come una volta!), che genera, sulla base della negazione dei sani vincoli comunitari, del carattere trascendente della vita e della miserrima constatazione del suo abissale non senso, esperimenti di “ingegneria sociale” da un lato (si pensi anche alla “ristrutturazione globale” in itinere: e tutto ciò che sta dietro, e in radice, alla “filosofia vaccinale”, che non è altro che il terrore di morire, e quindi di vivere, cui si cerca di opporsi “sacramentalmente” col siero sperimentale), e brame, angosce, incubi ed allucinazioni dall’altro, oggi rubricate come “diritti civili” senza che alcuno scoppi in una fragorosa risata che li seppellisca. Ma il diritto si basa sull’oggettività dei fatti, non su “sensibilità” o su “ideazioni” irrazionali e comunque cangianti (oltre che spesso generate ad arte): pensare di essere un uomo nel corpo di una donna, o odiare, non costituiscono fattispecie giuridicamente rilevanti, perché troppo vaghe, soggettive e mutevoli; neppure l’amore lo è (il matrimonio si fonda sulla fedeltà tra i coniugi e sull’accudimento della prole – un terzo oggi spesso escluso! –, e la stessa idea di “matrimonio omosessuale”, fondato sull’avarizia e sulla ossimorica istituzionalizzazione del vizio, è una corbelleria anche da un punto di vista solo etimologico). Spiace ricordarlo, ma l’inversione dei fini del matrimonio, teorizzata a tavolino nel pestilenziale Vaticano II, ha favorito il processo irrefrenabile di cui stiamo discorrendo: forse gli omosessualisti, invece che schernirla, dovrebbero omaggiare la Chiesa…Chi disprezza compra?
Quando i prosaici interessi “crematistici” e il principio assolutizzato dell’utile narcisistico in salsa pansessualista – ciò che porta inevitabilmente alla depressione/possessione degli uomini sedicenti “liberi” — si incontrano con la furia ideologica scissa dall’evidenza del reale, il prodotto da laboratorio che ne deriva è letale: a maggior ragione quando il potere che frena è “in eclisse”. Vi è, peraltro, un nesso più profondo anche tra erranza esistenziale, ideologia politica e pedofilia. Lo straccione anarchico ed omosessuale H. Bey, già collaboratore del bollettino della NAMBLA (North American Man/Boy Love Association) ed ermeneuta (in senso pedofilo) del poemetto sufi “Contemplation of the Unbearded”, ha proposto per primo le “Zone Temporanee Autonome”, fondandole sulla rivisitazione delle “utopie pirata” (sembra uno scherzo di pessimo gusto, ma è proprio così: questo è anche il titolo di un suo libro); queste zone, franche per definizione ma anch’esse “temporanee”, infestano oggi le nostre città con i cdd. centri sociali, popolati di nichilistici ectoplasmi nullafacenti, e, in misura forse minore, le scuole. In esse tutto è permesso, poiché tutto è mutevole; l’unica legge, praticamente, è il suo contrario: l’anomia, che risulta dalla negazione del peccato di origine (la ricerca delle origini è una impossibilità metafisica: il transessuale del povero Mieli non è l’androgino prelapsario, ma un mostro al confine tra psicopatologia e demenziale subcultura trash). Un esito tutto sommato coerente, a partire dalla premessa secondo cui l’uomo sarebbe una creatura del tutto autodeterminantesi. Il valore genera sempre un controvalore, che dipende costitutivamente da quello: senonché, mentre fino a qualche tempo fa esso era marginalizzato e tabuizzato (ed anche penalmente perseguito), oggi è celebrato come modello (ed anche legalizzato).
Il corpo (la natura delle cose) non ha più valore né senso: la “disforia di genere” sta lì a dimostrarlo, nel suo pervicace negare il sinolo di corpo e mente; e il malato non va curato, ma assecondato, a spese dello Stato (cioè anche dei cittadini “normali”, che non hanno grilli per la testa e magari attendono mesi per un esame medico importante…). I prodotti della fantasia umana – soggettivi per definizione, e spesso puramente immaginifici — sono sovrani sulla realtà (sul significato, sulla funzione e sulla destinazione) dei corpi. L’uomo è ridotto a merce sessualizzata: le donne dei paesi del “terzo mondo” affittano il loro utero per soddisfare i capricci di affluenti invertebrati del primo. “Il corpo è mio e lo gestisco io”: quello degli altri, pure, a patto di avere un pingue conto in banca. Il capitale celebra così, con la ritualità prosaica dell’inversione, tipica della fase terminale del kali yuga, l’orgia illimitata della produzione e del consumo e della spoliazione (morale, oltre che fisica) dell’altro sul piano della corporeità, con evidenti ricadute sull’ambito “animico”, familiare (la famiglia costituisce forse l’unico istituto a non essere ancora del tutto intaccato dalla logica capitalistica dell’”accumulazione di tempo”) e sociale. Le “messe in scena” rituali di “tensioni” metafisiche occidentali — actiones, “performances”, “ordine che produce ordine” –: Messa, processo, tragedia (Verità, Giustizia, Vita), si sono alchemicamente trasmutate nei cerimoniali macchinistici, totalitari e cangianti, della dissoluzione: non prima, ovviamente, che i tre riti siano stati destrutturati dall’interno, per usura storica e modernistica “lucida follia”, lasciando che all’ordine trascendente succedesse, dopo immane battaglia, il disordine infero. Alla civiltà dell’intelletto è succeduta quella dei sentimenti (della volontà, del cuore); ora siamo ristretti fino al collo nel pantano della Kultur dell’anomia, del ventre, del subconscio, dell’inferno in terra (cfr. i tre regni oltremondani): liberate certe forze tra l’indeterminato e l’infero, sarà ben difficile ricostringerle entro i fines in cui erano ordinariamente addomesticate. I piedi non mondati dal Sommo Sacerdote, ad ogni istante ricrocifisso, violano capricciosamente i principi primi riconosciuti da ogni civiltà di ogni tempo: “oportet ut scandala eveniant, verumtamen…”.
“Non accumulate tesori sulla terra”, diceva lo stesso che proferì questo terribile monito: “Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”. Passi o no in qualsiasi “bivacco di manipoli”, vi è l’esiziale, verosimile pericolo che il decreto Zan, che evidentemente è rimasto sordo a queste sante minacce, si sia irrimediabilmente insinuato nelle nostre coscienze.
MARCO TOTI
*Ringrazio l’amico S. Borselli per la sua disponibilità a discutere alcuni dei temi che hanno costituito l’oggetto del presente articolo.
Pubblicato da Tommesh per Comedonchisciotte.org