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La Redazione

 

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5 cose che ho imparato da Davos 2018

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A cura di Davide
Il 3 Febbraio 2018
115 Views

DI HUW VAN STEENIS

weforum.org

L’atmosfera di Davos 2018 è stata la migliore degli ultimi dieci anni. La crescita globale contemporanea, l’impennata dei mercati, la politica monetaria allentata ed alcune politiche a favore delle imprese stanno accendendo gli spiriti. Il sentimento era così buono che anzi alcuni ne erano frastornati, forse lo era anche troppo.

Mentre Trump, Macron e Modi catturavano i titoli dei giornali, sono stati altri temi – le implicazioni dell’A.I., la Blockchain, il potere dei Big Tech, il quantitative tightening, l’aumento dell’impact investing e la rivolta populista contro la globalizzazione – a dominare i dibattiti di imprese ed investitori.

1. La fine dei soldi facili?

Il sistema bancario centrale è intrinsecamente noioso – eppure, per molti investitori e finanziatori, il problema di come le banche centrali potrebbero inasprire le condizioni finanziarie è sorto lo stesso. Dal momento che la maggior parte degli investitori è rialzista sul capitale pubblico e privato, volevano valutare se ci sarebbe stata una modifica dei prezzi sui tassi. $7.3 trilioni di obbligazioni con rendimenti negativi saranno sottoposti a regolare revisione? E la correlazione positiva che i prezzi degli asset hanno avuto con l’espansione della banca centrale, potrebbe finire quando le banche centrali inizieranno a fare le proprie espansioni da $15 trilioni?. Il dibattito si è incentrato su 3 questioni:

la maggior parte delle reazioni chimiche può essere velocizzata con un accelerante, e molto si è discusso di due possibili acceleranti: la politica fiscale americana ed il canale finanziario. Il potenziale impatto dell’espansione fiscale USA in un momento in cui il ciclo economico è già lungo su parametri storici è stato fortemente sottolineato. Gli economisti sono stati più timorosi, gli affaristi americani più ottimisti – almeno fino alla metà del 2019. Con i buoni del tesoro a due anni che hanno toccato il proprio massimo degli ultimi 7 anni, il mercato sta iniziando a tenerne conto. Guardando all’àmbito internazionale, mentre l’Euro-euforia sta scoppiando e la crescita cinese corre veloce, la riforma fiscale americana e l’agenda pro-business, come risposta alle mosse di cinesi ed europei, è stato un ricco filone di discussione. Ha lasciato i rialzisti con la speranza che la crescita sopra il trend potrebbe migliorare ulteriormente ed aumentare la ripresa, ma ha fatto anche intuire che un’ulteriore revisione della curva dei rendimenti potrebbe essere probabile.

L’altro argomento è stato se, da enorme ostacolo per le economie, il sistema bancario possa trasformarsi in un catalizzatore. Le banche centrali hanno svolto un ruolo fondamentale nell’effettuare un deleveraging molto più fluido del sistema bancario e del settore privato. Questa è stata la prima volta in 9 anni in cui a Davos non ho sentito un singolo critico del sistema bancario. È stata quindi una minoranza a verificare se il sistema bancario potesse rafforzare il ciclo al rialzo. Anche se ci sono dei rischi – ad esempio, la BCE offre ancora 0,8 trilioni di prestiti gratuiti per sollecitare le banche dell’Eurozona a concedere prestiti – la scarsa redditivà del capitale netto per le banche significa che è improbabile che la crescita del credito bancario superi la finanza basata sul mercato.

Il secondo grande dibattito è stato sul perché l’inflazione sia andata costantemente sotto le aspettative degli economisti. Una ripresa significativa dell’inflazione sarebbe molto importante per la politica monetaria e per i prezzi delle attività, date le aspettative del mercato. Molti investitori sono sempre più convinti che la tecnologia, ben più delle politiche, abbia schiacciato l’inflazione, o perlomeno il modo in cui essa viene registrata. Gli accademici credono fortemente che la curva di Philips, alla fine, entrerà in azione e l’inflazione aumenterà nei prossimi anni. Detto ciò, chi mantiene questa visione non riesce a spiegare perché l’inflazione giapponese non abbia seguìto questa logica.

La previsione di molti investitori è che le banche centrali saranno lente a fare tightening, dato che c’è una forte asimmetria nei profitti per un banchiere centrale. Se l’inflazione si rivelasse inferiore del 0,5% rispetto a quanto previsto dai banchieri centrali, nel complesso sarebbero abbastanza soddisfatti, essendo sotto al target e pensando di avere gli strumenti per combattere la cosa. Se però l’inflazione fosse inferiore di un altro 0,5%, allora la cassetta degli attrezzi sarebbe ampiamente esaurita. La storia è il nostro database, ma non abbiamo precedenti di una stampa di denaro su questa scala per valutare l’impatto di uno stimolo da $15 trilioni. I banchieri centrali si stanno facendo strada attraverso la nebbia. Non sorprende quindi che gli investitori continuino a dubitare del ritmo ufficiale degli aumenti dei tassi.

In conclusione, gli investitori pubblici e privati ​​che ho incontrato sono rimasti ottimisti sui mercati per un periodo di 12-24 mesi, ma sono molto sensibili ad una revisione molto più ampia del tasso di sconto o a qualsiasi cosa che possa far deragliare l’economia. Anche i titoli bancari, come copertura per tassi più alti, stanno ottenendo sempre più voce.

2. Big Tech vs Big Finance?

Bitcoin e Blockchain sono stati sulla bocca di tutti. Molti sono ottimisti sul potenziale a lungo termine della Blockchain – anche se alcuni capi dei servizi finanziari hanno detto di far attenzione, ché la tecnologia è ancora troppo lenta per gestire la maggior parte dei pagamenti. Bitcoin ha diviso nettamente le opinioni. Gli imprenditori tech ne sono affascinati dal successo; i banchieri centrali vogliono regolarlo, mentre alcuni ci vedono semplicemente un’opportunità di speculazione. Bob Shiller ha detto che è un “classico errore di investimento”, James Mackintosh del WSJ che alcuni acquirenti sono stati attratti dalla propria “insensatezza esistenziale quando non si è coinvolti emotivamente in alcunché”.

In cima alla lista delle preoccupazioni c’è se Big Tech possa sconfinare nei servizi finanziari. Il successo dei giganti cinesi dei pagamenti dà da pensare. La Cina nel 2017 ha avuto $15 trilioni di transazioni annuali cashless – con un aumento di 10 volte in soli 2 anni, e le previsioni sono di una triplicazione nei prossimi tre anni.

La battaglia tra ogni start-up ed istituto finanziario riguarda il fatto se la prima possa ottenere la distribuzione prima che la seconda ottenga l’innovazione, come ama dire il venture capitalist Alex Rampell. I consulenti di Oliver Wyman hanno avuto il proprio panel su ciò che le banche apprendono dalla Big Tech, in particolare sulle sfide dell’innovazione su larga scala. Mentre molte stanno spendendo su larga scala per sfruttare la tecnologia per produttività e servizio clienti, molti si sono chiesti se fossero sufficientemente flessibili per rispondere a dirompenti cambiamenti tecnologici.

Eppure, al momento, nessuno dei Big Tech occidentali sembra voler diventare una banca, con tutte le seccature normative ed il capitale che la cosa implica. Parlando invece con diversi capi Big Tech, l’intensa ambizione è quella di ridurre i costi di transazione – con una grande attenzione a pagamenti ed abbonamenti, ed una secondaria per garanzie ed assicurazioni. Questo è il campo di battaglia su cui probabilmente si combatterà la guerra Big Tech vs Finanza.

3. Intelligenza Artificiale: più rivoluzionaria del fuoco e dell’elettricità?

Le sfide che l’intelligenza artificiale e la robotica rappresentano per le imprese sono state forse l’argomento più scottante di Davos. Il CEO di Google ha detto che l’A.I. è più grande del fuoco e dell’elettricità in termini di impatto sul business. È stato presentato un numero così elevato di casi d’uso che le domande e risposte hanno sempre riguardato l’impatto sulla società, i requisiti per la rivendita digitale ed il ruolo dell’uomo rispetto alla macchina. Per rassicurare, un amministratore delegato tech ha detto che a proprio avviso ci sono quattro cose che l’A.I. non può significativamente avere oggi: complessità, creatività, destrezza ed empatia. E molti saranno lieti di avere meno lavori usuranti. In altre parole, i lavoratori devono sviluppare competenze trasversali per competere con ed integrare l’intelligenza artificiale.

C’erano solo posti in piedi nella sessione di ‘intelligenza artificiale nei servizi finanziari’. È stato ampiamente riconosciuto che l’apprendimento automatico applicato potrebbe essere di grande aiuto per quanto riguarda il rilevamento delle frodi e le prospettive di targeting. L’uso negli investimenti è stato però molto più dibattuto. Per la maggior parte, i quantitative hedge fund che seguono i trend hanno una grande opportunità nel market making. Nel capire il mercato a breve termine, le macchine hanno un vantaggio. L’uso dell’A.I. per gli investimenti a lungo termine è tuttavia meno ovvio: l’apprendimento automatico presume che il futuro sarà come il passato – il che semplicemente non è vero. Vedasi gli esempi della straordinaria creazione di valore in Big Tech nell’ultimo decennio o delle implicazioni dell’esperimento monetario senza precedenti sulle classi di asset. Mentre i buoni investitori imparano sempre molto dalla storia, è meno ovvio se l’A.I. saprà fare altrettanto.

Lo strapotere dell’A.I. è servito solo ad aumentare il numero di chi chiede la regolamentazione dei Big Tech. In parte per le loro elevate quote di mercato: Google guida l’89% delle ricerche su internet; Il 95% dei giovani adulti su internet usa Facebook; Amazon rappresenta ora il 75% delle vendite di e-book. In parte per le preoccupazioni su fake news ed impatto sulle democrazie. Ma anche per le proprietà dannose e che danno dipendenza dei social media, il che significa, come detto a CNBC da Marc Benioff, CEO Salesforce, che Facebook dovrebbe essere regolamentato come una compagnia di sigarette. Sebbene i mercati non stiano valutando alcuna importante dislocazione normativa, si è aggiunto il sostegno degli investitori attivisti. Per ulteriori informazioni sull’argomento, vale la pena leggere il libro “The Four” di Scott Galloway.

4. Affari con uno scopo sociale

“Fare business è più della riga finale del bilancio” è stato un motto diffuso – in risposta a molte questioni sociali ed all’aumento dell’impact investing. I dirigenti vogliono contribuire alla società, ben oltre i meri parametri finanziari. Ma come farlo, dato il vincolo dei guadagni trimestrali, è stato molto discusso. Come ho detto negli ultimi anni a Davos, le iniziative volte a spiegare la strategia a lungo termine di un’impresa e il modo in cui spera di raggiungerla sono importanti, ma l’equilibrio azionisti-stakeholder deciso da ciascun management team è cosa fondamentale, che varia tra aziende. Si possono adottare misure pratiche e politiche per ridurre l’eccessiva tendenza al breve termine, ma ci sarà sempre una tensione ad esso, dato che le imprese si trovano a che fare con la rendicontazione puntuale.

Attivisti ed investitori impegnati possono essere un importante catalizzatore per il cambiamento, ho detto prima. Il miglior studio accademico sul tema suggerisce che gli attivisti come gruppo non sono miopi. Lucian Bebchuk di Harvard ed altri colleghi hanno preso in esame 2.000 interventi di attivisti, dimostrando che cinque anni dopo l’intervento, le loro prestazioni operative sono notevolmente migliorate. Ciò non significa che non vi siano attivisti a breve termine o che tutte le proposte di investitori impegnati siano buone. Ci sono vizi e virtù nel breve e lungo termine. L’idealismo deve sposarsi con un profondo pragmatismo. Investitori più impegnati – cioè focalizzati sull’impatto – è probabile che facciano parte della risposta.

5. La minaccia populista al commercio globale

Con la crescita globale forte e in accelerazione, la paura di molti capi non è il ciclo economico, ma piuttosto le discontinuità politiche. La minaccia al commercio globale posta dalle politiche commerciali degli Stati Uniti, in particolare verso la Cina, è in cima ai problemi. Il timore è che ci si stia muovendo verso maggiori protezionismo e frammentazione. Degno di nota vedere quanto Modi, Macron e Trudeau abbiano sostenuto i vantaggi della globalizzazione.

 

Fonte: Huw van Steenis

Fonte:  www.weforum.org

Link: https://www.weforum.org/agenda/2018/01/five-things-i-learned-from-davos-2018/

29.01.2018

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di di HMG

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