11 SETTEMBRE: POSSIBILI MOVENTI DELL'AMMINISTRAZIONE BUSH (PARTE II)

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DI DAVID RAY GRIFFIN

Il piano per attaccare l’Iraq

L’attacco dell’amministrazione Bush contro l’Iraq nel 2003 è probabilmente l’argomento su cui la Commissione sull’11 settembre è stata considerata più critica, affermando che non ha trovato prova di “relazione e collaborazione operativa tra Osama bin Laden e l’Iraq di Saddam Hussein” e nessuna prova in particolare, “che l’Iraq collaborasse con al-Qaeda nello sviluppare o portare avanti un qualche attacco contro gli Stati Uniti”(66). Questa affermazione, rilasciata in un rapporto
dello staff circa un mese prima della pubblicazione del rapporto finale, ha creato molte discussioni sulla stampa. La quantità e l’intensità di queste discussioni furono aumentate dal fatto che il presidente, e specialmente il vice-presidente reagirono duramente, quest’ ultimo definendo “oltraggioso” un articolo di prima pagina del New York Times intitolato “Panel finds no Qaeda-Iraq tie” [“La giuria non trova alcun legame tra al-Qaeda e Iraq”, ndt](52) I commenti che ne risultarono vanno dalla colonna di William Safire, in cui egli attacca violentemente il presidente e il vice-presidente della Commissione per essersi fatti “intontire da uno staff di manipolatori,” all’articolo del New York Times intitolato “Poltical uproar:9/11 panel members debate Qaeda-Iraq tie” [“bufera politica: i membri della giuria sull’ 11 settembre discutono dei legami tra al-Qaeda e l’Iraq” n.d.t], ad un articolo di Joe Conason intitolato “9/11 Panel Becomes Cheney’s Nightmare”(53)[“La giuria sull’ 11 settembre diventa l’incubo di Cheney”, ndt]Questi commenti davano l’impressione che la Commissione sull’11 settembre, forse lo staff in particolare, fosse veramente indipendente, dicendo la verità non curandosi di quanto fosse imbarazzante per la Casa Bianca. Questa naturalmente era pura apparenza. Non di meno, dato che Bush e Cheney continuavano ad insistere sull’esistenza di legami tra l’Iraq e al-Qaeda, la Commissione ha effettivamente, in questo caso, riportato qualcosa di contrario alla posizione pubblica della Casa Bianca.

La Commissione stava per di più rendendo noto quanto alcuni membri dell’Amministrazione Bush spingessero per attaccare l’Iraq immediatamente dopo l’11 settembre. Fece notare che il Segretario alla Difesa Rumsfeld chiese al Generale Myers di trovare tutto ciò che poteva sulla possibile responsabilità di Saddam Hussein nell’ 11 settembre. Citò pure un rapporto secondo cui, al primo incontro a Camp David dopo l’11 settembre, Rumsfeld iniziò chiedendo cosa si dovesse fare riguardo all’ Iraq (334-35).

La Commissione ritrasse persino il vice di Rumsfeld, Wolfowitz, come sostenitore del fatto che Saddam dovesse essere attaccato anche se ci fosse una possibilità solo dell’ 1% che egli fosse dietro agli attentati dell’ 11 settembre (335-36).(54)

Infine, la Commissione ha riportato l’affermazione di Richard Clarke che il presidente, il giorno dopo gli attentati dell’ 11 settembre, gli disse di vedere se Saddam fosse in qualche modo legato agli attacchi (334). La Commissione era perciò abbastanza onesta riguardo al fatto che alcuni leader della amministrazione Bush erano pronti sin dall’inizio ad attaccare l’Iraq a causa delle sue possibili connessioni con l’ 11 settembre o come minimo connessioni con al-Qaeda, delle quali la Commissione afferma di non avere potuto trovare una sola prova credibile.

La Commissione ha comunque omesso fatti riguardanti la decisione di attaccare l’ Iraq, che sarebbero dovuti essere inclusi nel “resoconto più completo possibile”. Questi fatti sono importanti perché la loro omissione significa che i lettori del Rapporto della Commissione sull’11 settembre sono protetti dall’evidenza di come fosse profondo e di vecchia data il desiderio di attaccare l’Iraq tra alcuni dei membri dell’ amministrazione Bush.

Alcuni dei fatti omessi appoggiano l’affermazione che il piano di attaccare l’Iraq era, nelle parole di Chalmer Johnson, “allo studio da almeno una decina di anni.”(55) Nello spingersi così lontano, Johnson si riferisce al fatto che, dopo la Guerra del Golfo nel 1991, diversi individui all’interno della Casa Bianca e del Pentagono credevano che gli Stati Uniti sarebbero dovuti andare a Baghdad e rovesciare Saddam Hussein, come avevano indicato “in rapporti scritti per il Segretario alla Difesa Cheney.”(56) Nel 1996, un documento intitolato “A clean break” [“un’autentica spaccatura”, ndt.] fu prodotto da un gruppo di studio guidato da Richard Perle (che l’anno seguente sarebbe diventato un socio fondatore dello PNAC). Raccomandando che Israele adottasse una politica di “prevenzione”, Perle e i suoi colleghi suggerivano che Israele incominciasse a “far arretrare la Siria”, uno sforzo che sarebbe dovuto essere “focalizzato al rimuovere Saddam Hussein dal potere in Iraq.” Chiedendo che Israele invadesse il Libano e poi la Siria, questo documento include testi da Usare in discorsi per giustificare tali azioni in modo da conquistare appoggio in America. Oltre a “portare l’attenzione sulle armi di distruzione di massa della Siria,” Israele avrebbe dovuto dire:

Negoziati con un regime repressivo come quello siriano richiedono un cauto realismo… è pericoloso per Israele discutere con un regime che uccide la sua stessa gente, apertamente aggressivo verso i vicini… e che appoggia le più pericolose organizzazioni terroristiche. (57)

Come James Bamford fa notare in “A pretext for war” [“un pretesto per la guerra”, ndt] queste giustificazioni erano molto simili a quelle che sarebbero state usate anni dopo per giustificare l’ Attacco dell’ America all’ Iraq.(58)

L’argomento per questo attacco americano all’Iraq divenne più visibile l’anno seguente, dopo che fu formato il PNAC. Nel dicembre 1997, Paul Wolfowitz e Zalmay Khalizad pubblicarono un articolo sul Weekly Standard, il cui editore è il presidente del PNAC William Kristol, intitolato “Saddam must go” [“Saddam se ne deve andare”, ndt] (59). Un mese dopo questi tre e altri 15 membri del PNAC, inclusi Donald Rumsfeld, John Bolton e Richard Perle, mandarono una lettera al Presidente Clinton spingendolo a Usare la forza militare per “rimuovere Saddam Hussein e il suo regime dal potere” e così “proteggere i nostri vitali interessi nel Golfo.” Nel maggio 1997, mandarono una lettera a Newt Gingrich e Trent Lott, rispettivamente Presidente del Congresso e il leader della maggioranza al Senato. Lamentandosi che Clinton non li avesse ascoltati, i firmatari di queste lettere dissero che gli Stati Uniti “dovrebbero stabilire e mantenere una forte presenza militare nella regione ed essere preparati ad usare la forza per proteggere i nostri vitali interessi nel Golfo e, se necessario, aiutare a rimuovere Saddam dal potere.” (60) Infine, Rebuilding America’s Defenses, pubblicato dal PNAC nel settembre 2000, sottolinea che l’Iraq sotto Saddam Hussein era una minaccia agli interessi americani nella regione. (61)

Quando l’amministrazione Bush si insediò nel 2001, fa notare Chalmers Johnson, “dieci dei 18 firmatari delle lettere a Clinton e ai leader Repubblicani del Congresso, diventarono membri dell’ amministrazione.” (62) Non fu perciò una semplice coincidenza che, come sia Paul O’Neill che Richard Clark hanno sottolineato, che l’ amministrazione Bush era già intenzionata a rimuovere Saddam Hussein quando si insediò. (63) E non è nemmeno sorprendente sapere che, subito dopo gli attentati dell’ 11 settembre, alcuni membri dell’ amministrazione Bush volevano usare quegli attacchi come base per la loro tanto desiderata invasione per portare ad un cambio di regime in Iraq.

Ma la Commissione Kean-Zelikow, avendo trascurato questi precedenti, non fornisce alcun contesto ai lettori per capire come e quanto fortemente alcuni membri dell’ amministrazione Bush volevano attaccare l’Iraq. Infatti, la Commissione non riesce a rendere chiaro quanto alcuni di loro fossero pronti a scendere in guerra contro l’ Iraq anche se non c’erano prove della complicità negli attentati. Un’omissione cruciale a questo riguardo è il non avere citato delle conversazioni di Rumsfeld sull’11 settembre annotate da un suo collaboratore. Questi appunti, che furono rivelati più tardi dalla CBS News, indicano che Rumsfeld voleva “velocemente le migliori informazioni. Giudicare se sono sufficienti a colpire contemporaneamente S.I [Saddam Hussein]. Non solo U.B.L. [Usama Bin Laden]. Andarci pesanti. Spazzare via tutto. Cose collegate e non.” (64) James Bamford, dopo avere citato queste note, dice: “Dagli appunti era chiaro che gli attentati sarebbero stati usati come pretesto per fare guerra contro Saddam Hussein.” (65)

La Commissione, al contrario, ci dice semplicemente che appunti di quel giorno indicano che “il Segretario Rumsfeld diede istruzioni a Myers di ottenere velocemente quante più informazioni possibili” e di considerare “un ampio spettro di opzioni e possibilità”. La Commissione poi aggiunge:

Il Segretario disse che il suo istinto era di colpire allo stesso tempo non solo Bin Laden ma anche Saddam Hussein. Il Segretario Rumsfeld ha successivamente spiegato che allora considerava l’uno o l’altro o forse entrambi come responsabili. (335)

Solo dal resoconto della Commissione, assumeremmo che Rumsfeld stava pensando di colpire Saddam Hussein se e solo se ci fossero buone prove che egli era “la parte responsabile.” Però, come mostrano gli appunti citati da CBS e Bamford, Rumsfeld voleva usare l’11 settembre come base per una risposta “pesante” che riguardasse molte minacce agli interessi americani (“Sweep it up” [“Spazzare via tutto”] ), specialmente Saddam Hussein, che fosse responsabile o no (“Things related or not” [“Cose collegate e non”]). La Commissione Kean-Zelikow, con le sue omissioni e distorsioni, ci nasconde questi fatti.

Inoltre, proprio come la Commissione non riesce a puntualizzare la centralità del petrolio e delle basi militari negli interessi dell’amministrazione Bush in Afghanistan, fa lo stesso a riguardo dell’ Iraq, sebbene questo paese abbia le seconde riserve di petrolio note al mondo. La Commissione dice che ad una riunione del National Security Council del 17 settembre, “il Presidente Bush ordinò al Dipartimento della Difesa di essere pronti ad avere a che fare con l’Iraq, Baghdad agiva contro gli interessi Usa, con piani che includessero la possibilità di occupare i giacimenti petroliferi iracheni”(335). Ma questo è il solo suggerimento nel Rapporto Kean-Zelikow che l’ amministrazione Bush potrebbe avere avuto interesse ad assumere il controllo del petrolio iracheno.

In più, anche questa affermazione, è doppiamente modificata. Lontana dal suggerire che Rumsfeld, Wolfowitz e altri membri dell’ amministrazione Bush mordevano il freno per l’attacco all’ Iraq, come rivelano le lettere del PNAC, la Commissione suggerisce che l’amministrazione Bush avrebbe pensato di agire contro Saddam Hussein solo se egli “avesse agito contro gli interessi Usa.” E’ lontana dal suggerire che un motivo centrale sarebbe stato assumere il controllo del petrolio iracheno, la Commissione indica che i piani per l’attacco avrebbero solo “potuto” includere l’occupazione dei giacimenti di petrolio iracheni.

Da altre fonti però ne ricaviamo uno scenario differente. Mesi dopo l’11 settembre, ci riporta Paul O’Neill, la Defense Intelligence Agency, che lavora per Rumsfeld, aveva iniziato a fare mappe dei campi petroliferi dell’ Iraq. E fornì anche un documento, intitolato “Foreign suitors for Iraqi Oilfield Contracts,” [“Pretendenti stranieri ai contratti relativi ai giacimenti iracheni”, ndt], che proponeva come potessero essere divise le ingenti riserve dell’Iraq. (66) La centralità del petrolio fu anche sottolineata da Stephen Gowans, che scrisse:

L’argomento di punta nell’agenda del Pentagono, una volta dato ordine ai jackboot [stivali militari, ndt], di iniziare a marciare su Baghdad, era di assicurarsi i campi petroliferi nell’Iraq meridionale. E quando il caos emerse a Baghdad, le forze Usa lasciarono che bande di saccheggiatori e incendiari facessero tumulti nel “Ministero per la Pianificazione, Ministero per l’Educazione, Ministero per l’Irrigazione, Ministero del Commercio, Ministero dell’Industria, Ministero degli Affari Esteri, Ministero per la Cultura e nel Ministero per l’Informazione.”… Ma al Ministero per il Petrolio, dove vi erano archivi e registri riguardanti tutta la ricchezza petrolifera su cui Washington aveva una gran voglia di mettere le mani, era tutto calmo perché a circondarlo vi era una falange di carri armati e mezzi blindati. (67)

Questi resoconti rivelano il quadro distorto fornito dai membri della Commissione sull’11 settembre, la cui unica menzione sul petrolio iracheno indica che le truppe Usa, se avessero attaccato l’Iraq, avrebbero potuto o non potuto occupare i giacimenti.

Un racconto più realistico è dato anche da Chalmers Johnson, che sottolinea a riguardo delle regioni ricche di petrolio, che gli interessi Usa per le basi e per il petrolio vanno mano nella mano.

Il rinnovato interesse per l’Asia Centrale, Meridionale e Sudoccidentale, includeva l’apertura di legami militari con le repubbliche indipendenti dell’Asia Centrale, Kyrgyzstan e Uzbekistan, e l’appoggio al governo Talebano in Afghanistan come una via per ottenere oleodotti e gasdotti proprio per un consorzio a guida americana. Ma il gioiello della corona di questa grande strategia era un piano per rimpiazzare il regime Ba’ath in Iraq con un regime fantoccio pro-americano e costruirvi basi militari permanenti. (68)

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[Chalmers Johnson]

L’enfasi di Johnson sulla costruzione di più basi militari è supportata dallo stesso PNAC, che nel suo documento del 2000 dice:

Per decenni gli Stati Uniti hanno mirato a giocare un ruolo permanente nella sicurezza regionale del Golfo. Mentre l’irrisolto conflitto con l’Iraq fornisce una giustificazione immediata, il bisogno per una sostanziale presenza americana nel Golfo trascende il problema del regime di Saddam Hussein. (69)

Se andiamo oltre il resoconto della Commissione sull’11 settembre, semplicistico e fuori contesto, sulle ragioni dell’amministrazione Bush nell’attaccare l’Iraq, possiamo vedere che la posta in gioco era immensa, riguardando non solo migliaia di miliardi di dollari ma anche il controllo geopolitico globale. (Per esempio, anche se gli Stati Uniti non avranno bisogno del petrolio iracheno nel prossimo futuro, l‘Asia Orientale e l’Europa ne avranno bisogno, così che gli Usa, controllandone le riserve, saranno capaci di esercitare una forte influenza sulla loro vita politico-economica.) Quindi, possiamo vedere che il desiderio di attaccare e occupare l’Iraq, espresso dalle stesse persone che suggerivano che una “nuova Pearl Harbour” potesse essere utile, avrebbe potuto fornire un motivo per facilitare gli attacchi dell’ 11 settembre.

Il Rapporto della Commissione sull’11 settembre, invece, omette tutte le parti della storia che potrebbero portare a pensare ciò. Non ne ricaviamo idea che l’Iraq potesse essere “il gioiello nella corona” del piano di dominio Usa. Nel mondo del Rapporto Kean-Zelikow, infatti, l’ America non ha un piano di dominio imperialistico. E’ semplicemente una nazione altruista che lotta per difendersi da nemici che odiano le sue libertà.

Sommario

Come ho puntualizzato nell’Introduzione, Il Rapporto della Commissione sull’11 settembre appoggia la teoria ufficiale del complotto secondo cui gli attentati dell’11 settembre furono compiuti solamente da al-Qaeda, sotto la direzione di Osama bin Laden. Sto guardando a questo rapporto dalla prospettiva della teoria alternativa del complotto secondo cui cariche del governo Usa furono coinvolte. Sebbene la Commissione non citi questa ipotesi alternativa, stava cercando chiaramente di minarne la plausibilità. Un modo per fare ciò potrebbe essere mostrare che, contrariamente a chi appoggia questa ipotesi, l’amministrazione Bush non aveva alcun piano o interesse che potesse fornire un motivo sufficiente per progettare o come minimo per consentire tali attacchi delittuosi contro propri cittadini. La Commissione non fa ciò direttamente, trattando direttamente le motivazioni asserite da coloro che appoggiano l’ ipotesi alternativa. Ma fa ciò indirettamente, ritraendo l’ amministrazione Bush, e più generalmente il governo Usa, come privo delle motivazioni in questione.

La Commissione Kean-Zelikow invece ha potuto fornire questo ritratto solo tramite numerose omissioni e distorsioni. Oltre ad omettere la citazione dell’ amministrazione Bush degli attacchi dell’ 11 settembre come “opportunità”, ha omesso ogni discussione sullo US Space Command, con la sua missione di rendere più solido il predominio globale, e del documento del PNAC, con il suo suggerimento che una nuova Pearl Harbour sarebbe stata utile. Ha omesso i fatti storici che mostrano come l’ amministrazione Bush avesse piani per attaccare sia l’ Afghanistan che l’ Iraq prima dell’ 11 settembre, così che gli attentati servirono da pretesto più che da causa. E la Commissione ha distorto le motivazioni Usa in tali attacchi ritraendo i leader Usa come interessati solo all’autodifesa, ai diritti umani e alla pace e non al petrolio, alle basi militari e alla supremazia geopolitica.

Note:

1)Bob Woodward, Bush at War (New York: Simon & Schuster, 2002), 32.
2)”Secretary Rumsfeld Interview with the New York Times,” New York Times, 12 ottobre 2001. Per l’ affermazione della Rice vedi Chalmers Johnson, “The Sorrows of Empire: Militarism, Secrecy, and the End of the Republic (New York: Henry Hold, 2004), 229.
3)The National Security Strategy of the United States of America, settembre 2002 (disponibile su www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
4)L’ unica affermazione da me trovata che vi si avvicina è quella della Commissione per cui “il Presidente notò che gli attacchi fornivano una grossa opportunità per coinvolgere Russia e Cina”(330).

5)The Project for the New American Century (da ora in poi PNAC) Rebuilding America’s Defenses: Strategy, Forces and Resources for a New Century, settembre 2000 (www.newamericancentury.org).
6)Johnson, The Sorrows of Empire, 178.
7)Lehman, che fu segretario della marina durante due amministrazioni Reagan firmò la lettera dello PNAC “Letter to President Bush on the War on Terrorism, ” 20 settembre 2001 (www.newamericancenturty.org/Bushletter.htm).
8)PNAC, Rebuilding America’s Defenses, 51.
9)Washington Post, 27 gennaio 2002.
10)Henry Kissinger, “Destroy the Network,” Washington Post, 11 settembre 2001.
11)Greg Miller, “Al Qaeda Finances Down, Panel Says,” Los Angeles Times, 22 agosto 2004
12) Questo documento, che scaricai nel 2003, dava www.spacecom.af.mil/usspace come sito web dello US Space Command. Ma nell’agosto 2004, vidi che non potevo più accedervi.
13) Una prima versione di questo document intitolata “Joint Vision 2010,” è discussa in Jack Hitt, “The Next Battlefield May Be in Outer Space,” New York Times Magazine, 5 agosto 2001, e in Karl Grossman, Weapons in Space (New York: Seven Stories, 2001).
14)Gli sviluppi che erano già stati raggiunti nel 1998 sono descritti da George Friedman e Meredith Friedman, in The Future of War: Power, Technology and American World Dominance in the 21st Century (New York: St. Martin’s, 1998)
15)Per un breve sommario di questo progetto si veda Grossman, Weapons in Space.
16)PNAC, Rebuilding America’s Defenses, 54, citato e discusso in Rahul Mahajan, Full Spectrum Dominance: U.S. Power in Iraq and Beyond (New York: Seven Stories Press, 2003), 53-54. L’ idea è che se qualche paese che gli Stati Uniti desiderano attaccare dispone di un numero modesto di missili nucleari, potremmo eliminarne molti con un primo attacco. Se il paese allora lanciasse i pochi missili superstiti, probabilmente non passerebbero attraverso il nostro scudo difensivo antimissile. Sebbene questo scudo probabilmente non proteggerebbe l’ America da un primo attacco in cui venissero lanciati molti missili, la teoria è che esso sarebbe capace di abbattere tutti i missili di un attacco su piccola scala. Il paese straniero avrebbe buona ragione di credere che gli Usa potrebbero andare avanti e attaccarlo nonostante il possesso di armi nucleari. Capirebbe allora che il suo sforzo di dissuadere gli Stati Uniti con minacce di rappresaglia sarebbe inutile. Come risultato gli Usa potrebbero prendere il paese senza bisogna di attaccare i suoi missili nucleari.
17)Paul O’Neill, il primo Segretario del Tesoro nell’amministrazione Bush-Cheney riferisce che un memorandum scritto dal Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, membro del PNAC, afferma che minacce alla sicurezza Usa vengono create dal fatto che poteri regionali ostili agli Stati Uniti si stavano “armando per dissuaderci”. Vedi Ron Suskind, The Price of Loyalty: George W. Bush, the White House, and the Education of Paul O’Neill (New York: Simon & Schuster, 2004), 81.
18)Questa statistica è riportata nel Global Network Space Newsletter #14 (Fall, 2003), pubblicata sul sito web del Global Network Against Weapons and Nuclear Power in Space (www.space4peace.org).
19)Ogni possibile dubbio sul significato della affermazione fu, a quanto si dice, fugato da Christopher Maletz, assistente direttore del PNAC. Christopher Bollyn dice che quando chiese a Maletz cosa significasse la necessità di “una nuova Pearl Harbour”, egli rispose: “Hanno bisogno di più soldi per aumentare il budget della difesa per nuove armi e future capacità” e né i politici ne i militari l’ avrebbero approvato “senza qualche disastro o evento catastrofico”. Christopher Bollyn, “America ‘Pearl Harbored,'” American Free Press, aggiornato il 12 aprile 2004 (http://www.americanfreepress.net/12_24_02/American_Pearl_Harbored/america_pearl_harbored.html).
20)Report of the Commission to Assess U.S. National Security Space Management and Organization (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi).
21)Ibid., citato in Thierry Meyssan 9/11: The Big Lie (London: Carnot, 2002), 151-52.
22)Department of Defense News Briefing on Pentagon Attack (www.defenselink.mil/cgi-bin/dlprint.cgi), citato in Meyssan, 9/11: The Big Lie, 152.
23)Questo punto è sottolineato da Meyssan, 9/11: The Big Lie, 154.
24)Un esame del rapporto della Commissione mostra che Rumsfeld è citato in 53 paragrafi, Myers in 18 e Eberhart in 8. Molti di questi citano interviste con essi come fonte d informazione. Nessuno riflette alcuna questione la quale implichi che qualche aspetto del loro comportamento quel giorno potrebbe essere stato meno che esemplare o che alcuna delle loro affermazioni potesse non essere completamente veritiera.
25)Vedi Ahmed Rashid, Taliban: Militant Islam, Oil and Fundamentalism in Central Asia (New Haven: Yale University Press, 2001),145. Rashid Usa per la prima volta questo nome in “The New Great Game: The Battle for Central Asia’s Oil,” Far Eastern Economic Review, April 10, 1997. Lo Usa anche per la terza parte di The Taliban. Chalmers Johnson si riferisce a Rashid come “alla più eminente autorità sulle politiche dell’ Asia Centrale” (The Sorrows of Empire, 179).
26)Si veda Steve Coll, Ghost Wars, 305.
27)Rashid, Taliban, Chs. 12 and 13.
28)Ibid., 163.
29)Coll, Ghost Wars, 308; Rashid, Taliban, 167, 171; Johnson, The Sorrows of Empire, 177.
30)Coll, Ghost Wars, 338.
31)Rashid, 166.
32)Rashid, Taliban, 168.
33)Ibid., 166. Sebbene, come riporta Rashid , il Dipartimento di Stato ritrattò rapidamente questo annuncio, la rivelazione delle sue vere simpatie era stata fatta.
34)Coll, Ghost Wars, 330.
35)Rashid, Taliban, 166.
36)Telegraph, August 13, 1998, citato in NPH 90.
37)Rashid, Taliban, 75-79, 175.
38)Ibid., 175.
39)Citato in Jean-Charles Brisard and Guillaume Dasquie, Forbidden Truth: U.S. Secret Oil Diplomacy and the Failed Hunt for Bin Laden (New York: Nation Books/Thunder’s Mouth Press, 2002), e NPH 91.
40)George Arney, “U.S. ‘Planned Attack on Taleban’,” BBC News, 18 settembre 2001 (“Taleban” è una pronuncia preferita dagli scrittori britannici).
41)La base per questo attacco fu data dallo stesso 11 settembre. Nel discorso alla nazione del Presidente, quella stessa sera, egli disse:“ Non faremo distinzioni tra i terroristi che hanno commesso questi fatti e coloro che li ospitano.” Poi in un incontro del National Security Council, che seguì subito dopo, il direttore della CIA Tenet si racconta disse che al-Qaeda e i Talebani sono essenzialmente una cosa sola, dopo di che Bush stabilì di dire ai Talebani che l’avrebbero fatta finita con loro (Washington Post, 27 gennaio 2002).
42)Chalmers Johnson, The Sorrows of Empire, 178-79.
43)The Frontier Post, 10 ottobre 2001, citato in Ahmed, The War on Freedom, 227.
44)Chicago Tribune, March 18, 2002, citando il quotidiano israeliano Ma’ariv.
45)Johnson, The Sorrows of Empire, 176.
46)Ibid., 182-83.
47)Zbigniew Brzezinski, The Grand Chessboard: American Primacy and Its Geostrategic Imperatives (New York: Basic Books, 1997), 210.
48)Ibid., 35-36.
49)Ibid., 36.
50)Ibid., 212, 24-25.
51)Riportato in David E. Sanger and Robin Toner, Bush Cheney Talk of Iraq and al-Qaida Link,” New York Times, 18 giugno 2004.
52)William Safire, New York Times, 21 giugno 2004; SUsan Jo Keller, “Political Uproar: 9/11 Panel Members Debate Qaeda-Iraq ‘Tie,’” New York Times, 21 giugno 2004 (http://www.nytimes.com/2004/06/21/politics/21PANE.html); Joe Conason, “9/11 Panel Becomes Cheney’s Nightmare” (disponibile su www.911citizenswatch.org/modules.php?op=modload&nam=News&file=article&sid=319).
53)La Commissione aggiunse che Wolfowitz disse che le possibilità del coinvolgimento di Saddam erano alte in parte perché sospettava che Saddam fosse dietro l’ attacco del 1993 al World Trade Center – una teoria per la quale la Commissione dice di non avere trovato prove credibili. (336, 559n73).
54)Johnson, The Sorrows of Empire, 227.
55)Sebbene Johnson non lo nomina egli ha probabilmente in mente il documento del 1992 del Pentagono “Defense Planning Guidance” (DPG), firmato prima di tutti da Paul Wolfowitz, allora sottosegretario alla difesa e da Lewis “Scooter” Libby.
56)The Institute for Advanced Strategic and Political Studies, “A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm,” 8 luglio 1996 (http://www.israeleconomy.org/stratl.hrm).
57)James Bamford, A Pretext for War (New York: Doubleday, 2004), 263.
58)Paul D. Wolfowitz and Zalmay M. Khalilzad, “Saddam Must Go,” Weekly Standard (dicembre 1997).
59)PNAC, “Letter to President Clinton on Iraq,” 26 gennaio 1998 (www.newamericancentury.org); PNAC, “Letter to Gingrich and Lott,” May 29, 1998 (www.newamericancentury.org).
60)PNAC, Rebuilding America’s Defenses, 14, 17.
61)Johnson, The Sorrows of Empire, 228-29.
62)Si veda Ron Susskind, The Price of Loyalty, 75, 91. In una intervista al programma della CBS “60 Minutes” del gennaio 2004, O’Neill, che come Segretario al Tesoro era membro del National Security Council, disse che il maggiore argomento a pochi giorni dall’inaugurazione era seguire Saddam, con una domanda che non era “Perché Saddam?” o “Perché ora?” ma semplicemente “trovare un modo per farlo”. (www.cbsnews.comlstories/2004/0 1/09/60minutesl main592330.shtml). “Ha ragione”, dice Richard Clarke a riguardo della affermazione di O’Neill. “L’amministrazione del secondo George Bush iniziò con l’ Iraq sulla sua agenda”. Richard A Clarke, Against All Enemies: Inside America’s war on Terror (New York: Free Press, 2004), 264.
63)Questi appunti sono citati in “Plans for Iraq Attack Began on 9/11,” CBS News, 4 settembre 2002.
64)Bamford, A Pretext for War, 285.
65)Susskind, The Price of Loyalty, 96.
66)Stephen Gowans, “Regime Change in Iraq: A New Government by and for US Capital,” ZNet, 20 aprile 2003; la citazione interna è da Robert Fisk, Independent, 14 aprile 2003
67)Johnson, The Sorrows of Empire, 226.
68)PNAC, Rebuilding America’s Defenses, 14

Data: 2 dicembre 2005

Fonte: 911 Truth

Link

Traduzione dall’inglese a cura di ALCE NERO per www.comedonchisciotte.org

vedi anche:
11 SETTEMBRE: POSSIBILI MOVENTI DELL’AMMINISTRAZIONE BUSH
(PARTE I)

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