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La Redazione

 

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Una Stalingrado a Standing Rock ?

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A cura di Davide
Il 13 Dicembre 2016
479 Views

DI BILL MARTIN

counterpunch.org

Che l’atto finale avvenga o meno di lunedì, ciò che è certo è che a Standing Rock si sta segnando un momento di grande significato storico. I due estremi della catena di (quella che chiamerò) “assurda brutalità” e “assurdità brutale” si sono incontrati qui; la catena messa in movimento dal colonialismo europeo e che oggi si manifesta nel capitalismo post-moderno. Ad ognuno dei due capi della catena c’è una presunta “domanda” che è assurda, ridicola, pazzesca. In questo punto d’incontro dei due estremi della catena vediamo un mondo che sembra essere stato risucchiato non solo nella follia ma addirittura in uno stadio avanzato di demenza.

Prima di spiegarne il grande significato storico, vediamo quali linee si stanno tracciando. Innanzitutto, c’è quella che viene delineata dai Sioux della tribù dei Lakota. Questo è uno di quei casi in cui la linea separa in modo inequivocabile le persone buone da quelle cattive. Quanto il termine “cattive persone” si estenda oltre quelle che stanno in prima linea ad attaccare i Protettori dell’Acqua è ambiguo – in qualche modo la protesta si rivolge a tutti noi, che beneficiamo della produzione di energia all’interno di un’economia globalizzata. Come minimo, questa ondata di complicità rappresenta una preghiera rivolta a noi, affinché ci schieriamo dal lato dei Sioux Lakota. Fino ad ora, la solidarietà è stata straordinaria, un qualcosa di emozionante da vedere. Le immagini di una delegazione del network Black Lives Matter radunata a Standing Rock sono tra le più belle e potenti in cui mi sono imbattuto da molto tempo.

Migliaia di veterani dell’esercito statunitense si stanno ora riversando nella riserva di Standing Rock, allo scopo di fare da scudo contro la polizia schierata in assetto antisommossa. Da quello che mi ha raccontato un amico recentemente tornato da Standing Rock, le motivazioni di questi veterani incarnano un sorprendente paradosso. Essi capiscono di essere stati mandati in Afghanistan e Iraq (e altrove) per difendere la libertà; qui sentono di avere l’opportunità di difendere la libertà e la giustizia per persone che vivono negli Stati Uniti – e quale popolo migliore da difendere se non i Nativi Americani? Forse, considerando che la serie di invasioni di ciò che siamo soliti chiamare “Terzo Mondo” non aveva assolutamente niente a che fare con la libertà e la giustizia (eccetto il fatto che avevano a che fare con la privazione della libertà e l’ingiustizia), questi veterani sono alla ricerca di una qualche forma di redenzione. Non sappiamo fino a che punto ne siano consci. Nondimeno il loro atto di solidarietà è onorevole e motivante, e farà molta differenza negli sviluppi futuri della situazione.

Naturalmente anche molte altre persone di vari colori e nazionalità stanno convergendo a Standing Rock, avverando la profezia Lakota di un “guerriero arcobaleno” e della “famiglia arcobaleno”. Queste profezie si trovano nelle filosofie e strutture mitologiche di molte tribù di Nativi Americani; secondo me si tratta di ciò che Badiou chiama le “invarianti”, l’“ipotesi” e l’“idea” del comunismo. Qui c’è anche qualcosa da imparare riguardo al globalismo e alle politiche sulla diversità e tutto ciò che ruota attorno al termine politiche dell’identità. Ma questa è un’altra storia; per ora, lasciamoci semplicemente ispirare dalla grande solidarietà che è emersa e sta continuando a crescere.

Inoltre, questo affronto alla tribù Sioux chiamata Sette Tende è un ulteriore insulto ai Nativi Americani in generale, una linea che viene tracciata intorno a loro e contro di loro. Definiamo le “riserve” per quello che realmente sono: campi di concentramento rurali. Questi campi sono stati creati nel quadro di una vicenda storica più ampia, di pulizia etnica e genocidio culturale, da una costa all’altra degli Stati Uniti. Non c’è niente di nuovo (eccetto forse che si tratta di una manifestazione su larga scala di fascismo negli Stati Uniti). E nemmeno c’è qualcosa di nuovo da dire sull’infinita serie di violazioni dei trattati commesse contro i popoli di Nativi Americani da parte del governo federale statunitense. In effetti sì, una cosa ci sarebbe, una cosa davvero cruciale. Le tribù di Nativi Americani sono state trasferite in terre dove il loro tradizionale modo di vivere non è sostenibile, terre che sono state scelte per le riserve solo perché i coloni non volevano viverci, e adesso salta fuori che dopo tutto anche queste terre sono appetibili. Era inevitabile, dato che il capitalismo, nella sua fase di imperialismo globale, deve prendere possesso di ogni angolo del mondo nella sua sete inesauribile di sangue e petrolio da spremere fuori dalle rocce.

E adesso ci ritroviamo alla “linea finale”, quel limite che, per il capitalismo e i suoi adepti, non verrà mai raggiunto, non verrà mai riconosciuto come tale.

Chiunque abbia un minimo standard etico penserà che ci siano linee che non dovrebbero mai essere attraversate. Nel suo continuo perseguimento del valore aggiunto, tuttavia, il capitalismo non ha di questi limiti. Ci può essere spazio per un “momento etico” nella definizione di politica, di ciò che la politica dovrebbe essere (ho dedicato una buona parte della mia carriera di filosofo a esaminare questo interrogativo), ma quando si tratta del crudele cash nexus – come l’ha definito Marx –  [si tratta di un termine coniato da Karl Marx e Friedrich Engels per descrivere il rapporto depersonalizzato che esiste tra datori di lavoro e dipendenti in una società capitalista – Ndt], “etico” non significa niente. Infatti, molto di ciò che la gente definisce “etica”, “moralità”, o perfino “religione”, è fin troppo adattabile a questo legame [nexus] e alle sue macchinazioni.

Nell’età contemporanea, per lo meno in Occidente, la “conoscenza” ha sempre implicazioni con il potere, senza alcun particolare riguardo per la verità. C’è una battuta nel campo della linguistica che recita: “Qual è la differenza tra una lingua e un dialetto?” “La lingua ha un esercito”. Sì, ovviamente questa relazione sapere/potere esiste da sempre, fin da quando Trasimaco rispose con veemenza a Socrate (La Repubblica, Libro I), e anche prima, ma adesso il genio è davvero stato liberato dalla lampada, e questo genio del cash nexus brutale o, più precisamente, la mercificazione della forza lavoro, lancia il suo crudele incantesimo su ogni aspetto della vita.

Nell’ultimo periodo dell’imperialismo, il capitalismo ha un metodo di produzione globale (che è iniziato alla fine del Diciannovesimo secolo e si intreccia a secoli di colonialismo) ed è necessario, da un punto di vista sistemico, che il passato rimanga “un altro paese”. La “conoscenza” diventa semplicemente soggettività, ma ciò che conta è, appunto, la soggettività della classe dominante – formata e guidata ampiamente dall’obiettivo primario del capitalismo, quello di accumulare plusvalore. (Questa è appunto la tesi dell’“ideologia dominante” di Marx). Per il resto, beh, chiaramente ognuno ha la propria opinione.

Nella fase postmoderna del capitalismo, che rientra ancora nella modalità di produzione imperialista (con alcune modifiche riconducibili alla globalizzazione, come la “produzione just-in-time”, la “containerizzazione” e una concentrazione ancor maggiore del capitale nel settore finanziario – un’evoluzione quantitativa con risultati qualitativi), i “mezzi d’informazione” e l’“industria della cultura” sono stati pienamente integrati nel funzionamento del sistema. Termini come “società dello spettacolo” (Guy Debord) o “mappatura cognitiva” e “perdita degli affetti” (Fredric Jameson) o “capitalismo comunicativo” (Jodi Dean) o l’“elettronificazione dei mercati globali” (Gayatri Chakravorty Spivak: in questa accezione, la postmodernità inizia all’incirca nel 1972) e l’idea che “Big Brother is you, watching” (Mark Crispin Miller), aiutano ad elaborare, per dirla in modo schietto, il pasticcio in cui ci troviamo.

Anche chiamandolo semplicemente “capitalismo nell’era di internet” andremmo dritti al punto: non siamo a corto di opinioni che circolano in un mondo di consumismo sfrenato, di agitazione perpetua riguardo a molte cose di poca importanza, oppure di agitazione per cose che sono importanti (cibo, casa, vestiti) ma sono state trasformate in una “cultura” di pura distrazione. Questa, come fanno notare sia Jodi Dean sia Alain Badiou, è quella che oggi chiamiamo e riconosciamo ampiamente come “democrazia”. Sheldon Wolin la chiama “Democracy, Inc.” o “totalitarismo invertito”.

Sebbene sia un po’ manicheo, chiamerei tutto questo anche “antipolitica”: queste forze non solo sopprimono qualsiasi tentativo di reale espressione politica di emergere ma, per giunta, in “tempi normali” incanalano qualsiasi bocciolo nascente di tali espressioni nella direzione opposta. In breve, la gente vive in uno stato di costante confusione mentale e tutti galleggiamo in una sorta di perfetta “libertà” in un mare di opinioni che si equivalgono tra loro.

La domanda è non solo se possa emergere qualche verità in questo complesso e variegato mélange di ingranaggi che si muovono alla velocità della luce, ma anche se ci sarebbe qualcuno in grado di riconoscere la verità, qualora dovesse manifestarsi. Detto in modo rozzo, nel modo in cui veniamo confusi in questo caos capitalista postmoderno, nel modo in cui, come disse Adorno, ci troviamo “sotto incantesimo”, sapremmo vedere la verità se ci mordesse il culo?
Forse la condizione di crisi di verità in questo grande casino è davvero una situazione manichea. Marx parlava di un mondo diviso in due grandi gruppi, la borghesia e il proletariato. Non si sbagliava del tutto, ma c’è qualcosa che manca in questa concezione. Nel momento presente vediamo che almeno il termine “classe lavoratrice” è rientrato nell’arena dei discorsi ufficiali e che in effetti i lavoratori stanno facendo sentire la loro presenza. Questa è una cosa positiva nel complesso. Tuttavia – e penso che questa sia la lezione espressa in Che Fare? di Lenin – la semplice presenza, e nemmeno il movimento, della classe lavoratrice è un’epifania della verità, perché per questa è richiesto un passo in avanti. O, meglio, è richiesta un’apertura, e anche un lasciar andare – perché se è solo una questione di passo in avanti (che, mi rendo conto, non è nemmeno questo una cosa semplice), allora ci troviamo ancora troppo nel regno della soggettività. Possiamo essere risvegliati dal nostro dogmatico torpore postmoderno da una netta opposizione tra vera politica e antipolitica?

Con Standing Rock, abbiamo davanti a noi un reale punto di contatto con questo interrogativo e ne è una prova il fatto che ciò che sta accadendo lì avrà davvero grande importanza. Oserei perfino dire un’importanza epocale.

Ciò che ho cercato di dire con tutta questa roba teorica (o riferimenti a idee, ad ogni modo) è che qui ci sono in gioco anche domande filosofiche e queste domande non sono irrilevanti ai fini di ciò che accadrà nel mondo, non sono irrilevanti per capire dove andranno le cose da qui in avanti.
Le questioni filosofiche sono: cos’è la verità? La verità può emergere quando tutto è orientato contro di essa? Possiamo ancora riconoscere la verità se essa emerge?

Queste domande affiorano dalla filosofia di Badiou, anche se forse con un po’ più di attenzione specifica al caos postmoderno rispetto a quella che Badiou vi dedica. C’è ancora un ultimo punto, tuttavia, che mi sembra rilevante. Quando dico che ci vuole un’apertura e un lasciar andare, e non solo un passo in avanti, mi riferisco al rapporto asimmetrico tra verità e falsità. Ci troviamo in un mondo di opinioni che circolano in modo vorticoso e di giudizi espressi da persone potenti sulla base di ragioni puramente strumentali. Una parte di ciò che circola, in effetti probabilmente una buona parte, finisce per coincidere con ciò che viene convenzionalmente definito “vero”. I requisiti di questo mélange vorticoso, comunque, non sono di per sé connessi alla verità, bensì al fatto di tenere le persone in un mondo di sostanziale falsità.

Non possiamo uscire da questo mondo semplicemente attraverso la via negativa, cioè rovesciando particolari falsità. Certo, anche questo è un lavoro importante. Qualche volta quest’ultimo è chiamato, secondo la definizione della Scuola di Francoforte, “critica culturale”, come se fosse un modo di filosofeggiare. Badiou non è molto d’accordo con essa, forse perché ci troviamo oggi in una realtà in cui gran parte di ciò che passa sotto il nome di “cultura” non è davvero importante, è un prefabbricato usa e getta. Dopo tutto, qui non si tratta di Adorno che parla di Schoenberg versus Stravinsky. Non c’è una semplice dialettica della negazione per arrivare da un mondo usa e getta –nell’arte e nella politica- ad un mondo vero (di arte o politica). C’è un’apertura, un vuoto, una breccia, e qualcosa ci si infila dentro – appunto, la verità.

Un altro modo di descrivere questo concetto di asimmetria è che la diagnosi non è la cura. Ci vuole qualcos’altro, qualcosa di nuovo, qualcosa che dia luogo a circostanze nuove e ci faccia uscire dalla situazione precedente.

Ora, tutto ciò suona un po’ misterioso e messianico (e forse si potrebbe ripensare in modo diverso ciò che è stato definito “messianico”); alcuni hanno riassunto le argomentazioni di Badiou sotto il titolo “i miracoli possono succedere” (ad esempio Alex Callinicos, The Resources of Critique). Quello che invece sta accadendo con la nuova verità è che c’è qualcosa di incalcolato e impercettibile nella nuova situazione. Vedremo cosa sarà una volta accaduto, non prima. Un’analogia tratta dagli scacchi lo spiega bene: quel momento quando un pezzo sembra saltato fuori dal nulla a darti scacco matto… non è che quel pezzo e gli altri e le sessantaquattro caselle non fossero lì anche prima. Come dice Wittgenstein, “niente è nascosto” – è solo che, nel momento presente, non vediamo quella cosa che potrebbe salvarci.

Quindi, quello che ci interessa in questa sede può essere correttamente chiamato “Verità”, con la V maiuscola. La mia tesi è che Standing Rock rappresenti il genere di scontro nel bel mezzo del quale la Verità potrebbe apparire e prendere il sopravvento. La situazione là è molto più estrema di quella in cui normalmente ci troviamo nella condizione postmoderna.

Come sempre, ci sarebbe di più da dire, ma cerchiamo di “andare dall’astratto al concreto”, per dirla con Marx. Tuttavia, lasciatemi insistere ancora una volta che questi concetti filosofici che abbiamo appena esposto sono importanti. La filosofia non crea la verità, o la Verità. Essa esplora i casi in cui potremmo incontrare delle verità e “coglie” la Verità. Se sostituiamo la Verità con l’idea di una politica “reale” o “vera”, questa Verità ha essenzialmente a che fare con le persone.

Ciò che si sta mostrando in maniera molto netta a Standing Rock è che la politica è proprio contrapposta all’antipolitica. Le tribù indigene e i loro sostenitori sono in netta contrapposizione al metodo di produzione adottato dall’imperialismo. Non esiste terreno d’incontro.
(Che “sostenitori” [“comrades” nell’originale – Ndt] sia o meno la parola giusta, ho evitato di proposito di usare la parola “alleati” – che riconduce di nuovo alla questione dell’universalismo politico e delle politiche identitarie.)

È di certo nell’interesse profondo del sistema, almeno nella situazione presente, che si trovi un punto d’incontro. E, in effetti, siamo in presenza di sviluppi straordinari anche mentre sto scrivendo questo articolo (nella sera del 12.4.2016). È stata data solo poche ore fa la notizia che “l’esercito USA ha deciso di non autorizzare un oleodotto che doveva passare nel territorio di una riserva nel North Dakota, suscitando l’approvazione dei protestanti. La tribù Sioux di Standing Rock ha salutato la “decisione storica” e ha detto che sarebbe stata “per sempre grata” al Presidente Obama. Invece, il Corpo degli Ingegneri dell’Esercito degli Stati Uniti cercherà dei percorsi alternativi, come riportato in una dichiarazione dei manifestanti” (BBC.com, 12.4.2016). Quindi è possibile che l’oleodotto venga spostato. Tuttavia, la compagnia che lo sta costruendo, Energy Transfers, ha detto che potrebbe pagare qualsiasi multa applicabile per contravvenire alla decisione del Corpo degli Ingegneri dell’Esercito e costruire comunque sotto la riserva.

È probabile che il 5 dicembre 2016 non ci sarà dunque una Stalingrado, ma ciò non significa che questo momento decisivo non stia per arrivare, anche nel caso dei Sioux Sette Tende o delle compagnie e banche coinvolte in questo oleodotto. Il fatto è che non è nell’interesse di queste ultime che si verifichi una Stalingrado, sebbene è chiaro che siano disposte a fare una cosa del genere se è necessario per difendere gli interessi del capitale imperialista. L’imperialismo non si fermerà davanti a niente, e certamente per nessuna ragione che abbia a che fare con l’“etica” o “semplici preoccupazioni umane”. L’imperialismo non può fermarsi, perché non è l’“avidità” degli individui che lo motiva, ma piuttosto i meccanismi intrinseci del sistema capitalistico della produzione di merci, nel quale tutte le qualità vengono ridotte a quantità – tra cui acqua, terra, il modo di vivere e le persone.

(Qui vediamo un’opposizione che più cruda non può essere. Qual è il “linguaggio universale”, o quale sarà? È il denaro o la giustizia? Questo è ciò per cui si sta combattendo a Standing Rock. Per quanto riguarda la questione dell’“avidità”, su questo i movimenti come “Occupy” – che è un grande movimento, non fraintendetemi – devono approfondire il proprio senso della realtà.)

Qui ci troviamo realmente nel mondo del capitale postmoderno perché, da una parte, questa è davvero una situazione dove non c’è via di mezzo: o queste acque saranno protette o non lo saranno; ma, dall’altra parte, c’è un’abilità maggiore rispetto ad epoche precedenti nel creare la rappresentazione di una terra di mezzo, soprattutto per coloro che sono lontani dal vero scenario di Standing Rock. L’unica dichiarazione di Hillary Clinton sull’argomento è stata rappresentativa di questa “falsa terra di mezzo”, quando ha detto che tutte le parti devono sedersi e discutere a fondo, inclusi i rappresentanti della società costruttrice.

(I Clinton in generale sono stati esponenti eccellenti del capitalismo postmoderno  – così come lo sono stati i loro oppositori, fin dal giorno in cui Ken Starr spese più di sessanta milioni di dollari per parlare di un pompino e di una macchia su un vestito blu.)
Perciò, non è ancora tempo di esprimere tutta la nostra gratitudine a Obama. Lui e Hillary Clinton si sono mantenuti ben distanti da questi venti di tempesta, sono rimasti in silenzio. Sembra molto probabile che la ragione per cui Obama (qualunque sia stato il suo ruolo in tutto questo) e il governo federale hanno agito così all’ultimo momento sia stata la presenza dei veterani. L’umanità dovrebbe essere grata a tutte le persone che stanno manifestando a Standing Rock. Ma non è ancora tempo di smettere di manifestare.

Non è ancora tempo di esprimere tutta la nostra gratitudine – questo significherebbe soccombere allo spettacolo, alle macchinazioni di potere dell’antipolitica. Quest’ultima ha potere e denaro dalla sua parte e può permettersi di aspettare fino a quando la situazione si calma, per poi proseguire con i suoi affari.
Come ho detto prima, ci sono questi “interrogativi ad ogni estremo della catena”.  Ognuno di questi “interrogativi” è al limite dell’assurdo, e forse oltre; o, per dirlo in modo più diretto, ognuna è in realtà una “domanda assurda”, una “domanda” che è perfino ridicola da porre.

È del tutto assurdo e ridicolo che ci si ponga perfino la domanda se costruire il DAPL [Dakota Access Pipeline] nel luogo dove Energy Transfer e i suoi sostenitori vogliono costruirlo. Se c’è una cosa sensata nei 240 anni della repubblica degli Stati Uniti e nei duecento e più anni di colonizzazione (“quando arrivò il predatore”) che la precedettero, è questa: se i Nativi Americani non vogliono che qualcosa avvenga sulla loro terra, o su territori o vicino ad acque che gli interessano, è così, fine della storia. Non c’è da discutere.

Tutta la popolazione in America, e in effetti tutta l’umanità, dovrebbe essere grata per questo punto d’arresto – non che sia l’unico, in particolare dove gli indigeni di qualsiasi territorio sono implicati, ma questo è quello a cui è stato dato più risalto.

Dall’altro lato, quello del sistema di produzione imperialistico, non c’è neanche da porsi la “domanda” se questa modalità verrà portata avanti, radunando i suoi “rappresentanti viventi” a pianificare e parlare per esso, nel perseguimento del profitto, in un mondo in cui chiunque e qualunque cosa viene interpretato secondo le logiche del mercato. La sola domanda è Come questo verrà fatto, non c’è alcuno spazio per “Perché?” Il “punto d’arresto” di Standing Rock sta sollevando la domanda “Perché?”, e questo è un grande problema per il sistema esistente, davvero un grande problema. Non è solo l’oleodotto: il fatto è essere in grado di sollevare una “vera domanda”, una domanda che va alla verità delle cose, una domanda che va alla possibilità di una politica reale. Perciò a questo punto la “domanda” (che non è una domanda reale) per l’imperialismo è quale combinazione di bruta forza di polizia e manipolazione d’immagine postmoderna porterà a termine il lavoro.
Le “due domande ai limiti dell’assurdo” possono essere viste come nettamente contrapposte in base alla lettura che ne danno tutti i mezzi d’informazione convenzionali (comprese la già menzionata BBC World News e National Public Radio) di “scontri tra polizia e manifestanti”. Il fatto che la polizia pesantemente armata e militarizzata stia gonfiando di botte queste persone non è uno “scontro”. Dovrebbe essere più che ovvio – non è “questione” di “scontro” qui, non più di quanto sia questione di “scontro” di interessi legittimi riguardo al DAPL stesso.

E, in effetti, per via della non-esistenza della domanda, che è stata formulata artificiosamente, poiché questa non-esistenza è piuttosto chiara a molti milioni di persone e poiché ci sono momenti in cui l’apparato per la diffusione d’immagine del capitalismo postmoderno può occasionalmente essere utile alla gente, in qualche maniera non sorprende il livello di solidarietà verso questo possibile “punto d’arresto” dell’imperialismo, questo posto dove per una volta il “Perché?” può affiorare, è molto elevato, di buona qualità e tutto sommato anche molto disciplinato.

Questa “polizia”, non a caso, ha un bel po’ di casi da risolvere, ovunque. Questo non è il primo dispiegamento, come forza militare, della polizia “per la sicurezza interna” dopo l’11 settembre, ma è il più significativo. Lo è per una serie di motivi, non ultimo la palese follia insita nell’implicazione tacita (ma che forse diverrà presto esplicita) che i Nativi Americani che stanno cercando di proteggere la loro stessa terra e acqua e cultura sono “terroristi”.
A quanto pare colui che è a capo di queste forze è lo sceriffo di Morton County, nel North Dakota. Quindi, il Dipartimento dello Sceriffo della Contea di Morton ha cannoni ad acqua, pistole che sparano proiettili di gomma (nel caso qualcuno non lo sapesse, i proiettili di gomma non rimbalzano solo su una persona: possono provocare gravi ferite e la morte) e veicoli militari corazzati? Forse chiunque di noi viva in una piccola città dovrebbe controllare ciò che la polizia possiede – e poi studiare come possiamo disarmare queste forze paramilitari.

Chiaramente è in gioco l’interrogativo sulla violenza per fini radicali, quel genere di interrogativo che gli esponenti del capitalismo postmoderno, specialmente quelli associati al Partito Democratico, ma anche troppa parte della cosiddetta “sinistra”, vorrebbero aver assorbito nella falsa “via di mezzo”. Accennerò qui soltanto al fatto che spero che impareremo qualcosa, per una volta, da qualsiasi cosa succeda nei prossimi giorni.

Quanto è buffo che, quando venne ordinato alla Wehrmacht tedesca di assediare Stalingrado, l’obiettivo fosse di raggiungere i pozzi petroliferi del Mar Caspio ad est della città. La macchina da guerra nazista stava rimanendo a secco di benzina. La sconfitta della Wehrmacht a Stalingrado, ad un costo inquantificabile, è stato un punto di svolta epocale. Potrebbero esistere fatti simili anche nel capitalismo postmoderno? Forse lo scopriremo nei giorni a venire.
C’è così tanto di incredibilmente difficile da dire in quest’ultimo paragrafo, che non ha realmente bisogno di essere messo nero su bianco. Forse prima di tutto bisogna considerare che il regime di Stalin non affrontò quello di Hitler con una rappresentazione molto chiara della verità o della linea politica – a dir poco. (Dico questo senza accettare affatto l’equivalenza “ortodossa” che va tanto di moda che viene fatta tra Stalin e Hitler; ma, di nuovo, questo è molto complicato.) A Standing Rock, uno degli elementi più straordinari della situazione è che la linea può essere tracciata molto chiaramente. E allora fermiamoci qui, al punto d’arresto che dovremmo preservare e difendere, nella speranza che possiamo spingerci anche oltre. Le persone qui sono dalla parte della Verità, o per lo meno dalla parte di questa emergenza, e perciò dirò in modo inequivocabile e senza traccia di ironia: Potere alla Gente!

Bill Martin è professore di filosofia alla DePaul University di Chicago; al momento è anche Distinguished Visiting Professor of Philosophy alla Huaqiao University di Xiamen, nella Repubblica Popolare Cinese. Il suo libro più recente è Ethical Marxism: The Categorical Imperative of Liberation. Adesso sta lavorando ad un grade progetto di sintesi, che coniuga elementi di Buddismo, Maoismo, Marxismo francese (in particolare le idee di Alain Badiou). È anche musicista e ha recentemente pubblicato due album di musica sperimentale, Gravitas (Avant-Bass 1) e Terre de Bas (Avant-Bass 2).

 

Bill Martin

Fonte: www.counterpunch.org

Link: http://www.counterpunch.org/2016/12/05/stalingrad-at-standing-rock/

5.12.2016

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura DI ELEONORA FORNARA

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