Tecno-telepatia: quando lo smartphone ti legge nel pensiero

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Zory Petzova

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Forse a tanti di noi è successo di provare quella strana sensazione di telepatia (tèle-lontano, pàtheia- sentimento) che intercorre fra la nostra mente e i dispositivi informatico-digitali, come se gli algoritmi intuissero le nostre intenzioni e desideri per evidenziarli sullo schermo, dove a sorpresa appaiano esattamente le informazioni di cui abbiamo bisogno; oppure quando, sulla piattaforma dei social, ci troviamo a interagire con persone che condividono le nostre stesse emozioni, interessi o idee, o quantomeno le stesse modalità di approccio agli argomenti, con una simultaneità temporale che lascia sbalorditi, e che raramente accade nella realtà quotidiana.

Ci sono momenti in cui l’uso del dispositivo digitale ci dà non solo la netta sensazione di sincronizzazione fra pensiero (domanda) e informazione (offerta), ma ci induce in una specie di delirio di onnipotenza, come se la rete eseguisse dei comandi mentali mai pronunciati a voce, il che corrisponde esattamente alla definizione di telepatia- la facoltà di trasmettere o percepire immagini e messaggi senza l’uso dei sensi. La telepatia è un fenomeno studiato dalla parapsicologia, un fenomeno che negli ultimi decenni viene accostato alla fisica quantistica, e più specificatamente allo studio dell’entanglement, ma è inutile illudersi- quella tecnologica è solo un costrutto matematico e freddo che mima la telepatia psicologica, dando comunque degli esiti ambivalenti. Perché l’algoritmo della provvidenza può produrre sia coincidenze positive, ‘pescando’ in un’infinità di dati e collegamenti one-to-one, che conseguenze non desiderate di intercettazione della nostra privacy, così come effetti negativi per la salute psico-mentale.

Dalla storia dell’informatica (disponibile ovviamente in rete) si apprende che l’Internet (Intergalactic Computer Network) nasce durante la guerra fredda negli anni 60, finanziato dal Ministero della Difesa statunitense, come sistema di comunicazione militare e di controspionaggio, successivamente applicato alle finalità di condivisione di materiale scientifico fra i principali nodi universitari, per espandersi negli anni 70 anche in Europa, acquistando un uso civile e privato, e non solo istituzionale e specialistico, attraverso il servizio di posta elettronica. Gli anni 90 segnano il passaggio verso la lettura ipertestuale, non-sequenziale, dei documenti, permettendo all’utente di ‘saltare’ da un punto all’altro mediante l’utilizzo di rimandi (link), il che rende la rete a-temporanea, oltre che indipendente dai parametri di spazio fisico. Nasce il www (World Wide Web) che mette insieme una base potenzialmente infinita di dati- file, testi, ipertesti, suoni, immagini, animazioni, filmati- e i rispettivi programmi/motori di ricerca (browser) che rendono possibile il ’navigare’ in un mare di informazione infinita.

All’inizio degli anni 90 la rete diventa implementabile da chiunque soggetto- pubblico o privato, che vuole creare un proprio indirizzo, un account dati, grazie a delle modalità di connessione e di navigazione mediamente accessibili, user-friendly, passando alla banda larga. Questa è la fase in cui l’Internet diventa il fattore primario e trainante della globalizzazione, un iper progetto a partecipazione libera e universale, qualcosa che tende a inglobare tutti gli enti- singoli e societari, come nessun altro progetto fin ora è riuscito a fare. Dopo gli anni 2000 l’Internet diventa il principale canale pubblicitario e promozionale (superando quello televisivo), e commerciale (superando ultimamente nelle vendite la distribuzione territoriale), trasferendo una gran parte dei rapporti fra impresa e consumo nella rete virtuale.

Questo fa capire che le coincidenze ‘telepatiche’ di carattere commerciale sono semplicemente il risultato della funzione selettiva di un ‘sapiente’ algoritmo, l’algoritmo predittivo del mercato, che in base ai nostri dati, preferenze, esperienze condivise e parole chiave emesse nei motori di ricerca seleziona per noi annunci pubblicitari e contenuti in corrispondenza delle nostre intenzioni d’acquisto, o associabili ad acquisti già effettuati. Così come, per quanto sorprendenti, possono essere spiegate razionalmente anche le altre fortunate coincidenze, che si verificano come esito finale di una catena indistricabile di azioni digitali da noi originate, che a lungo andare fanno smarrire la causa iniziale, per cui le convergenze possono essere facilmente interpretate come accadimenti provvidenziali. Statisticamente il campo virtuale, contenente un numero di dati e di possibilità di combinazioni teoricamente infinito, offre una probabilità molto più alta di sincronicità fra pensiero (contenuto) e informazione (forma) da quanto ne possa garantire anche la più dinamica delle realtà vitali.

Negli ultimi tempi ci sono però testimonianze di esperienze ‘telepatiche’ non più spiegabili con l’affinamento degli algoritmi capaci di interpretare le nostre necessità, perché si verificano senza che alcuna traccia delle nostre intenzioni o pensieri sia lasciata sui motori di ricerca; e nonostante ciò, sullo schermo appaiono proprio immagini o concetti a cui abbiamo fatto riferimento nelle nostre reali azioni quotidiani, quasi come se qualcuno ci spiasse di nascosto. In questa fattispecie di ‘telepatia’ si tratta di piccoli processori incorporati (embedded) in maniera invisibile in elettrodomestici e in una serie di apparecchi, come i nostri pc e iphon, o i sistemi di allarme, che sono predisposti a essere connessi a Internet, e forse si connettono anche senza essere abilitati dall’utente, cioè a nostra insaputa (che è stato il motivo dello scandalo Huawei). Sono microprocessori pensati per il Next Generation Network, ossia l’Internet delle cose, ma con quali implicazioni?

La ‘telepatia’ fra i nostri gesti quotidiani e la dimensione virtuale passerà proprio attraverso la capacità di spionaggio (o sorveglianza, se vogliamo) dei nostri elettrodomestici e dispositivi, di quale collaborazione non potremmo nemmeno disfarcene, perché non sapremo come. Gli operatori tecno scientifici non nascondano l’ambizione di migliorare i dispositivi verso una sempre maggiore sensazione di interazione intelligente con essi. Peccato che nel campo dei software di intrattenimento si tratta di meccanismi con cui si vuole solo monopolizzare l’attenzione degli utenti, in particolar modo quella degli adolescenti, visto che per la rete l’attenzione, cioè il tempo che si passa on line, è la risorsa più importante, in quanto non distribuibile e non trasferibile al futuro. Alcuni applicazioni, giochi e social (come il Tik tok) sono ingegnerizzati appositamente per captare l’attenzione in modo totalizzante, senza permettere nemmeno la scelta fra più contenuti; si punta non solo sulla sollecitazione emotiva attraverso lo stimolo della novità e la sorpresa, ma si usano i microprocessori incorporati nei dispositivi (fotocamera, touchscreen, giroscopio) per intercettare anche le rispettive reazioni e il grado di attenzione dell’utente, a secondo di come è maneggiato il dispositivo. Più che di telepatia si tratta di un vero e proprio reclutamento di cavie per studiare le loro reazioni ai fini di migliorare l’algoritmo affinché il gioco sia di sempre maggior impatto, in modo da creare una dipendenza neuro-psicologica che garantisse la continuità dell’attenzione: un fenomeno di preoccupante gravità che tocca il tema più vasto delle problematiche cognitive e di apprendimento degli adolescenti, a cui tanti neuro scienziati hanno dedicato i loro studi, e che fa presagire la funzione sempre più inibitoria e repressiva della tecnologia. Come primo passo, nella valutazione degli effetti dello spazio virtuale non bisogna equiparare “connessione” con “comunicazione”, per cui bisogna valutare il grado di consapevolezza con cui viene gestito un dato mezzo, perché la connessione in sé non è sufficiente per garantire interazioni costruttive ed educative.

Non possiamo certo aspettarci che la critica sugli effetti negativi dell’Internet provenisse dai visionari e dai guru della tecnologia, tutt’altro. Nel 2015 Zuckerberg spende delle parole molto affascinanti e promettenti sul futuro della rete, annunciando che “la prossima frontiera di Facebook sarà la telepatia: condividere a distanza sentimenti, emozioni e pensieri con i nostri amici su un social più che immateriale.” Ovviamente egli non poteva certo intendere il verificarsi di fenomeni di ordine quantistico, bensì la condivisione di immagini personali in grado di suscitare per riflesso le stesse sensazioni provate in modo autentico. Zuckerberg intendeva l’uso della immagine come forma di comunicazione immediata che produce l’effetto desiderato senza la difficoltà di interpretazione del linguaggio verbale. In realtà questo non implica la telepatia quanto l’empatia- la capacità di comprendere lo stato d’animo degli altri senza far ricorso alla comunicazione verbale, ma, allo stesso tempo, la comunicazione per immagini corrisponde alla fase più infantile del nostro sviluppo, quella educativo- pedagogica. La considerazione di Zuckerberg per i suoi utenti non poteva che essere quella di persone immature e infantili, per le quali prevedeva un uso esclusivamente esibizionista del social. Un uso che per fortuna non ha avuto sopravvento, data la netta preponderanza dell’uso della parola e della divulgazione di opinioni e di discussioni tematiche. In effetti, 5 anni fa la previsione di Zuckerberg  era quella dell’uso predominante dei filmati (video) che lui definiva “esperienze totalizzanti immerse nella realtà virtuale”. Forse prospettava una realtà da social multimediale che non lasciasse scampo ad altre realtà, ma in questa direzione hanno avuto molto più successo i suoi colleghi cinesi, probabilmente perché uno stato non democratico come la Cina non poteva che creare un esercito di hi-tech addicted, connessi oltre tutto con i sistemi di controllo a distanza. Ma questo vale anche per le future generazioni dei paesi occidentali?

Lo sviluppo della rete informatica, intesa come l’insieme fra infrastruttura e Intelligenza artificiale, sarà sempre dibattuto fra la sua innegabile importanza, data dal continuo incremento di informazione di ogni tipo che trasferiamo su di essa, e l’implicito pericolo per la nostra privacy, salute, sicurezza, nonché il pericolo per l’ecologia; ci sarà la continua oscillazione fra la dimensione (virtuale) ultra democratica e fondamentalmente anarchica, perché scarsamente regolamentata, e quella della realtà sociale che va nella direzione opposta- verso un’esistenza sempre più regolamentata, controllata e ridotta nei diritti di espressione e di rappresentanza politica, e forse anche nella libertà di circolazione.

Non si può non riconoscere che la rete è l’unico mezzo che permette ancora la libertà di espressione, libertà che copre tutte le sfere della conoscenza- da quelle più universali e specialistiche a quelle più originali, artistiche e individuali, e ciò avviene nonostante i più grandi network e fornitori di servizi siano società private, o forse proprio per questo. Non si può negare nemmeno la funzione terapeutica e compensatoria della comunicazione virtuale, paradossalmente proprio perché trascende la corporeità e i vincoli ad essa connessi per spostare tutta l’energia verso il significato, anche se non mancano denunce sulla problematicità psicologica e cognitiva di una tale comunicazione. Per cui, alla fine, il nostro inevitabile mutamento antropologico si giocherà fra il sempre più crescente affidamento agli algoritmi intelligenti e alla tecno-telepatia e ciò che rimane, o non rimane, della realtà vitale-  quest’ultima sempre più limitata al nostro libero e consapevole accesso.

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