Di Paolo Abati, instoria.it
Gli anni ’80 vengono dominati dalla figura di Bettino Craxi divenuto segretario del PSI nel 1976. In un quadro politico caratterizzato da diverse difficoltà tra cui il grosso divario tra il PCI e la DC e, più in generale dalle carenze e dalle falle “di una società duramente messa alla prova dal terrorismo e della crisi economica”.
Craxi si è formato nell’Unione goliardica italiana, lontano dal ’68 e militando come luogotenente di Nenni. Sotto la sua direzione il vecchio PSI si avvia a un nuovo protagonismo: «Dal ’79 in avanti, si sta comportando come un potenziale “terzo partito” orientato a guadagnare voti sia sulla destra, sia sulla sinistra, configurando così una ridefinizione del centro alternativa al bipolarismo destra/sinistra che sembrerebbe aver preso forma dopo le ultime tornate elettorali».
Come di consueto i risultati elettorali non saranno immediati, anzi sarà necessario traversare due legislature 1976-1983. Craxi da bravo stratega politico quale era, subito dopo il congresso di Torino, riaprì la polemica con il PCI di Berlinguer sul problema della legittimazione democratica dei comunisti avviando e mai concludendo una fase di importante conflittualità con il partito comunista italiano. Il PSI in pratica si stava immaginariamente spostando verso il centro, sostituendo in qualche modo il ruolo storico della DC ribadendo in forme inedite (Proudhon contro Marx) La conventio ad excludendum che Moro aveva tentato di superare.
Paradossalmente in aiuto di Craxi intervenne la grave crisi economica che imperversava in Italia, aprendo di fatto all’affermazione del PSI. Craxi seguì una sua Politique d’abord, essenzialmente partitica che cavalcò la crisi anche democratica. Egli fu sempre considerato come un tipico politico da Guerra Fredda. Si intende con ciò qualcuno politicamente cresciuto in quel mondo, senza conoscerne un altro precedente. Se infatti si va a confrontare Craxi con i maggiori dirigenti di partito del suo tempo egli non aveva alcuna esperienza nell’antifascismo o nella resistenza dato che si era formato politicamente negli anni ’50.
Il PSI frontista fu un punto di partenza molto importante in quanto consentì al futuro leader socialista di lavorare a stretto contatto con i comunisti, gli permise infatti di osservare una piccola parte della realtà dell’Est Europa; il contatto con i paesi comunisti lo ebbe per la prima volta nel ’54 durante il suo viaggio a Praga, quest’ultimo gli fece aprire gli occhi sugli orrori del comunismo in un momento però dove il partito socialista italiano seguiva ancora una linea filo comunista.
Il buon bagaglio di esperienze oltre che di contatti (Pierre Mauroy, Willy Brandt, Helmut Schmidt, Francois Mitterrand) e di reti, diede i suoi frutti tra il 1972 e il 1976 che lo videro da vicesegretario del PSI, rappresentare la politica estera del partito diventandone sua volta segretario. Quando Craxi divenne segretario del PSI chiese esplicitamente che, quanto meno da parte socialista, venissero affrontati e sviluppati quei grandi temi e problemi che l’Italia si trovava a fronteggiare nel mondo moderno. Secondo il suo punto di vista, “soltanto il fermento culturale avrebbe potuto rivitalizzare il partito, intessere un dialogo con i settori in via di modernizzazione della società sradicare il complesso di inferiorità dei socialisti nei confronti dei comunisti”.
La conquista craxiana del partito è funzionale alla scalata al governo, perseguita con costanza dal ’79 all’83, quando all’indebolimento del PCI si aggiunse quello decisivo dello scudo crociato; nel partito, il nuovo segretario si afferma liquidando uno dopo l’altro gli oppositori e i possibili rivali, sia della vecchia che della nuova generazione. I presupposti della politica craxiana si possono quindi ridurre a quattro: “un autonomismo fermissimo, come punto di partenza; una leadership assoluta, con personalizzazione crescente dell’immagine della politica socialista al fine di sostituire con la propria la centralità democristiana; la priorità assegnata alla risorsa pecuniaria fra tutti i mezzi per l’azione politica; l’uso di metodi risolutivi e aggressivi, al fine di difendere lo spazio socialista”.
«Collocarsi come un ragno, al centro della tela del finanziamento politico, ampliando a proprio favore più rapidamente degli altri, in modo da farsene addirittura regista e redistributore. E diventando così definitivamente centrale, indispensabile arbitro. Alla centralità del voto si sostituiva quella della finanza politica? La manomissione della democrazia diventa piuttosto pesante».
Questi quattro anni furono di cruciale importanza nella formazione della personalità politica di Craxi. È in questa occasione che la politica estera per Craxi assunse particolare importanza. Ma perché proprio la politica estera dovrebbe essere ritenuta centrale nell’operato di un politico e in questo caso di Craxi?
È da notare infatti che fino praticamente ad allora la dimensione delle relazioni internazionali non erano mai state considerate così tanto importanti in confronto a quanto ne tenne conto Craxi, in parte in questi anni e con maggior peso più avanti. Infatti, all’intero di tutto quel giogo legato agli anni ’70 e quindi alla difficile stabilizzazione della distensione, proprio Craxi fu uno dei primi a pensare che l’Italia avrebbe dovuto incentivare una propria politica estera, sia pure nei propri limiti di media potenza, giocandosi un posto nel quadro della fedeltà nell’ Alleanza atlantica.
E a proposito di questo, in un suo discordo del dieci agosto 1976, ci mostra la sua posizione dialettica tra atlantismo e ruolo dell’Italia. Dice: «L’Alleanza Atlantica è il fulcro della difesa e tale rimarrà, in assenza di alternative valide. Quell’Alleanza si presenta come un patto fra Stati “determinati a salvaguardare le libertà dei popoli, la loro comune eredità e la loro civiltà fondata sui principi della democrazia, delle libertà individuali, del regno del diritto. La verità è che troppo spesso c’è stato un divario tra le enunciazioni e l’attuazione di tali principi. Noi chiediamo, cioè, che nell’Alleanza atlantica l’Italia non sia considerata solo oggetto di protezione, ma soggetto partecipe di una libera associazione; che l’Alleanza non si presti ad essere uno strumento di ingerenza degli Stati più forti su quelli considerati più deboli».
Craxi era infatti sempre stato un atlantista, fermamente convinto non solo della necessità ma anche della giustezza della NATO, quando ancora negli anni settanta, le posizioni di De Martino e Lombardi sulla collocazione internazionale dell’Italia non erano del tutto chiare. Nel discorso si tende a ribadire la necessità di trasformazione tra Alleanza atlantica e Europa, Craxi credeva fermamente nei valori di fondo dell’Alleanza atlantica e proprio per questo affronta l’argomento con tono polemico, ribadendo che la “comunanza dei valori non deve tradursi in sacrificio dei legittimi interessi nazionali e in un più generale ruolo ancillare dell’Europa”.
L’Alleanza atlantica ha attraversato in diverse occasioni momenti di crisi. Sta di fatto che per un lungo periodo l’Alleanza atlantica si è fondata su una sostanziale preminenza degli Stati Uniti e su una posizione distaccata se non proprio subordinata dell’Europa. Oltre alla critica e quindi al non riconoscimento dell’Italia come paese subordinato o “ancillare” obiettivo anche futuro di Craxi, svolto principalmente durante il suo insediamento a Palazzo Chigi è e sarà quello di cercare di dialogare con alcuni dei Paesi dell’Est. Proprio in tal senso, un modello per Craxi fu Brandt, prima come ministro degli esteri della Grose Koalition, poi come cancelliere federale e in seguito come presidente dell’internazionale.
Il segretario del PSI aveva inoltre capito che, proprio quel mondo del “Socialismo reale” che in parte aveva avuto modo di conoscere e attraverso il suo operato sperava di “conquistare” era un universo molto fragile, permeato da una vitalità, quantomeno in Ungheria e nella Repubblica Democratica tedesca, dove esistevano forme di resistenza contro il sistema incarnate nei dissidenti. Una cosa è certa, “per Craxi il mondo al di là del muro era in movimento, non una realtà opaca e uniforme il quale movimento totalitario aveva distrutto e annichilito”.
Da poco diventato segretario del PSI egli certamente avrebbe potuto mettere minor impegno nella politica estera, d’altra parte però Craxi ebbe modo di notare l’operato non solo di Brandt, bensì tenne conto anche della politica estera dello svedese Olof Palme e dell’austriaco Bruno Kreisky, entrambi alla guida dei rispettivi paesi. Craxi in ogni momento ribadiva che i socialisti dei paesi della NATO dovevano sostenere nei confronti del blocco sovietico la battaglia dei dissidenti dell’Est, in parte anche diffondendo le loro idee.
Questo sostegno Craxi lo manifestò verso un grande scrittore come Solzenicyn, di cui si conosce l’operato. È ben noto che agli inizi del 1980 il governo Cossiga dovette fare i conti con la crisi petrolifera, con la conseguente decisione dell’Arabia Saudita di denunciare e sospendere il contratto di fornitura del petrolio in seguito all’esplosione dello scandalo Eni-Petromin in Italia. In tutto ciò l’anno prima Bettino Craxi votò a favore dell’installazione dei missili Pershing e Cruise in Italia ancorando definitivamente il PSI all’Alleanza atlantica. Un passo in avanti per una responsabilità di governo.
Proprio nel suo discorso del ventiquattro ottobre 1980, Craxi incentrò il suo intervento sulle circostanze di instabilità cui vertevano alcune zone del mondo guardando in special modo al Mediterraneo. Ad esempio l’aumento degli attacchi terroristici internazionali, timori per la Libia di Gheddafi ecc. concentrandosi in particolar modo sulle regioni petrolifere in Iraq e in Iran e sul conflitto tra i due stati in funzione delle ricadute sugli approvvigionamenti energetici: «La guerra in corso è di una pericolosità senza precedenti, per l’importanza strategica della regione e per il groviglio di contrasti e di antagonismi che vi si accumulano in modo inestricabile. Non dimentichiamo, infatti, che nella regione si trova il 40 percento delle riserve petrolifere attualmente conosciute nell’intero pianeta e il 60 percento degli approvvigionamenti del mondo industriale, che passano per lo stretto di Hormuz».
Parole indirizzate al governo, il quale Craxi auspicava l’improrogabile necessità di amplificare la cooperazione “euro-arabo-africana” che equivaleva al cardine per la “costruzione di un fondamentale asse portante per la pace – allo stesso tempo il leader socialista era preoccupato per il grave rischio futuro dei Paesi industrializzati e quindi anche per l’Italia – per la condizione di totale dipendenza energetica”.
Anche nel 1982, Craxi torna a rivolgere parole dure contro il governo Spadolini sempre per quanto riguarda le questioni energetiche e i rapporti commerciali con l’Est Europa e l’Unione Sovietica. Si esprimeva così il trentuno agosto di quell’anno alla Camera dei Deputati: «Sulla questione dei rapporti economici con l’Est e con l’Unione Sovietica non possiamo accettare né la linea del blocco delle iniziative, del resto sempre assai relativo, né quella per troppo tempo perseguita con grave danno per i nostri interessi nazionali e sotto la spinta di potenti lobby tutt’altro che in disarmo, la via – dicevo – dei crediti agevolati, quasi che l’Unione Sovietica fosse un paese del terzo mondo e non di gran lunga la più grande potenza militare dell’Euro-Asia».
L’anno precedente però fu quello della svolta, nel 1981, “il garofano del PSI sulla vetta del monte Pellegrino simboleggia bene l’ambizione del congresso di Palermo, il governo delle certezze e della governabilità”.
In quell’anno nel congresso svoltosi nella città siciliana, il segretario Bettino Craxi ottiene il 70 % dei consensi del partito. Obiettivo del partito fu quello di non farsi schiacciare fra democristiani e comunisti. Il PSI di Craxi si propose come una forza modernizzatrice: un partito che si richiama alla tradizione del socialismo europeo, ma che non fa della battaglia ideologica un proprio carattere. Il partito abbandonava definitivamente il marxismo e il leninismo per riscoprire Proudhon. Secondo Salvatori Sechi: «Un partito di potere si modella al proprio interno come una sub struttura dello Stato, nel PSI a differenza del PCI non c’è un legame tra forza organizzativa e forza elettorale, né tra la professionalizzazione della vita politica (l’esistenza cioè di un’alta quota di politici di professione) e forza organizzata. La trasformazione che sta subendo il PSI, si impegna sulla personalizzazione della leadership e sullo smantellamento dei tradizionali canali di comunicazione interne, storicamente gestiti dalle correnti».
L’attuale PSI, invece per Tamburrano, “è un coacervo di strutture e di procedure ereditate dal partito morandiano sconvolto da innovazioni frammentarie, dalla prassi correntizia e dal contagio del potere democristiano, contraddice i principi del progetto, non rispecchia l’immagine del nuovo socialismo e non rende credibile la sua strategia politica.” Con il 1982 Craxi aveva reso il partito capace di esaudire la sua alterativa socialista. Sia a destra che a sinistra erano d’accordo sulle proposte da presentare al Paese, il quale “col riconoscimento della formulazione socialista dei problemi critici, dava al PSI una posizione preminente”.
Il confronto che spostò gli equilibri, anche ideologici, della sinistra italiana avvenne sul problema del socialismo nei Paesi comunisti; e quindi più in generale ragionare sul tipo di Ostpolitik che meglio avrebbe aiutato, sia l’Italia sia alcuni paesi dell’Est. Il governo Craxi avrebbe dovuto rimuovere lo stallo, il congelamento di cui si è già discusso, degli scambi commerciali con l’Est e soprattutto cercare di scardinare la pesante eredità ideologica di partito.
“Tutti aspettavano il governo Craxi al varco: l’opposizione comunista quanto gli industriali”. L’Ostpolitik si presentava quindi come arma a doppio taglio che poteva stabilire il successo o l’insuccesso di un governo. Quando Bettino Craxi divenne presidente del consiglio nel 1983 (Primo presidente socialista a Palazzo Chigi, formò il suo gabinetto con un nuovo pentapartito: DC, PSI, PSDI, PLI e PRI) l’ascesa e la relativa stabilità di Craxi al timone del governo sono assicurate da una fortissima leadership personale; la lotta politica, sotto lo sprone delle ambizioni craxiane, è chiamata a dirimere questioni di non poco conto negli incerti e decisivi equilibri tra parti; “piuttosto che praticare un “nuovo riformismo”, secondo il motto “governare il cambiamento”, fu la pratica di governo ad alimentare la macchina e la politica del partito”.
Nel 1976, Norberto Bobbio scrisse: «Il PSI è condannato a rimanere un partito di media grandezza, a causa delle continue divisioni, scissioni, riunificazioni e di nuovo divisioni del Partito socialista sino dal 1946». Il quattro agosto 1983, fu il primo socialista a prestare giuramento come presidente del Consiglio dei ministri; tra l’altro di durata record per l’Italia repubblicana (giugno 1986). Il voto del 1983 penalizzò il partito di maggioranza aprendo però una stagione di fluidità elettorale vincendo su quell’idea che da troppo tempo ormai imperversava in Italia di immobilismo elettorale.
Ai più scaltri “non sfuggì la complessità dei flussi elettorali che era al fondo del più generale rimescolamento di opinioni e schieramenti fino ad allora conosciuto”. Sul fronte Craxi della politica estera scelse Giulio Andreotti; scelta molto probabilmente dovuto al fatto che, il nuovo presidente del Consiglio aveva la necessità di riequilibrare i rapporti con l’Est in particolar modo con l’Unione sovietica.
Invece per quel che riguarda le questioni energetiche sopracitate, Craxi si limitò a indicare: «La necessità di sviluppare relazioni amichevoli con tutti i Paesi del Mediterraneo, auspicando un grande sviluppo di cooperazione, degli scambi e dei rapporti amichevoli con i Paesi Arabi e con le nazioni nordafricane in una funzione di giusto riequilibrio nella politica degli scambi».
In tutto questo, la posizione dell’Italia era piuttosto delicata: mantenere forti i rapporti con gli USA di Reagan, tentare di continuare ad averne con l’URSS o cercare di entrare nello scenario politico-economico mondiale a testa alta per riprendere il posto, ritenuto di spicco, che secondo il neo presidente del consiglio spettava all’Italia?
Bisogna però, a prescindere da tutto ricordare i “vincoli della fedeltà atlantica” la quale imponeva cautela nei rapporti con l’URSS, ma allo stesso tempo però legava l’Italia all’est Europa; i grandi gruppi industriali come: Fiat o Montedison avevano pesantemente investito in Unione Sovietica e nell’est.
“Il banco di prova dell’Ostpolitik italiana, passava per il Cremlino. La congiuntura del 1983 offriva lo spazio politico a un leader capace di far assumere all’Italia una posizione più autonoma all’interno dell’alleanza atlantica per spingere verso un’articolazione nuova del rapporto Est-Ovest”. “Bastava” quindi a Craxi essere riconosciuto dal Cremlino un vero e soprattutto serio interlocutore nella delicata situazione nei rapporti economici con l’Est, importantissimi per l’Italia.
Il governo Craxi al contrario di Spadolini, non rimase “sdraiato sulla linea” tracciata dagli americani, lo dimostra il fatto che durante la parata militare a Mosca il sette novembre 1983 era presente l’ambasciatore italiano, tra le altre cose, il solo ambasciatore occidentale presente. Questo testimonia una vocazione di stampo autonomo del governo italiano nel campo occidentale.
In un documento politico, probabilmente scritto in vista del Congresso di Verona, si evince la volontà di Bettino Craxi all’avvicinamento dell’Italia ai paesi dell’Est Europa. L’obbiettivo sembra essere quello di (come detto sopra) intensificare il ruolo internazionale dell’Italia attraverso una politica estera e una Ostpolitik efficace: «L’Italia mantiene con i paesi dell’Est europeo una molteplicità di rapporti ed è interessata a svilupparli e a inserirli in una prospettiva stabile e di dialogo. In un quadro di sicurezza e di rispetto reciproco possono e debbono essere sviluppati i rapporti commerciali e di cooperazione economica, nella consapevolezza che questi, uniti a una pluralità di comunicazioni e di rapporti, possono divenire il veicolo di una riduzione dei contrasti degli antagonismi che nascono anche per le profonde diversità dei regimi politici. Gli scambi economici devono essere sviluppati su basi di parità. L’Italia rifiuta di porre pregiudiziali negative, ma conferma altresì di ritenere ingiustificata la concessione di linee di credito particolari, normalmente riservate a paesi in via di sviluppo».
Infatti proprio nel 1984 e più precisamente, il 23 maggio, il giorno seguente tra l’altro alle dichiarazioni di Lisbona (nella capitale portoghese Craxi chiese alle due parti, USA e URSS di sospendere l’installazione degli euromissili) il ministro del Commercio estero, Nicola Capria, giunse a Mosca per trattare i termini dell’accordo sull’acquisto delle forniture del gas siberiano. Il ministro Capria avrebbe quindi firmato con il ministro Komarov anche i protocolli per il riequilibrio della bilancia italiana nei rapporti commerciali con l’URSS.
La condotta di Craxi verso il socialismo reale fu caratterizzata da un apparente paradosso: Craxi si definiva ed era definito da tutti un anticomunista, allo stesso tempo il presidente del consiglio fu il premier che più di tutti cercò di mantenere un rapporto di dialogo con gli stati de blocco orientale. Allo stesso tempo, il leader socilaista fu il più deciso avversario del PCI, e combattuto da Berlinguer e De Mita.
Si può certamente definire il Craxi presidente del consiglio un anticomunista che però ha saputo stringere rapporti con l’Est in alcuni casi e aspetti più dei leader comunisti. Ma perché e a quale fine creare questo tipo di paradosso è a prima vista inspiegabile; perché aprire a Est essendo egli un veemente anticomunista che tanto ha criticato, critica e criticherà più avanti anche durante il suo “esilio” a Hammamet, quel sistema burocratico totalitario racchiuso nel comunismo?
La risposta deve essere ricercata ancora una volta all’interno degli aspetti della sua politica estera. Bettino Craxi, proprio come il suo punto di riferimento Mitterrand, ha sempre cercato di far assumere al proprio Paese un ruolo importante nella mediazione tra i due campi della Guerra fredda e quindi in una situazione estremamente favorevole per il proprio Paese.
Certamente le situazioni risultavano essere diverse, ma dal canto suo Craxi, negli anni della presidenza del consiglio cercò di collocarsi su questo versante. Ecco dunque chiarite le ragioni di questo apparente paradosso tra, l’anticomunismo della politica interna craxiana e l’apertura al mondo d’oltre cortina e all’Urss in politica estera. Oltretutto Craxi durante la sua esperienza a Palazzo Chigi, fu più volte nel mirino della dirigenza comunista anche per le sue posizioni sugli euromissili, in particolare nel 1983 con la famosa quanto durissima lettera di accusa del segretario del PCUS Andropov.
Una reazione maldestra e inaspettata che non sorprese Craxi, anzi, come racconta il suo consigliere in politica estera Antonio Badini, la lettera fece comprendere al premier tutta la fragilità della leadership sovietica. Ecco perché lo stesso Craxi non si sorprese, a differenza di tanti altri, del completo cambio di orizzonte sovietico durante la presidenza Gorbaciov; un cambio di prospettiva importantissimo che ha investito l’ordine economico del mondo. Di altra natura e sicuramente, fino a questo momento più proficui, furono i rapporti con altri Paesi del blocco orientale, come la Polonia, l’Ungheria e la Ddr. Con la polonia i rapporti erano di lunga data, ma non riuscirono mai a “spiccare il volo” almeno non come quelli con il partito socialista dei lavoratori ungherese, come si vide proprio in occasione del viaggio ufficiale di Craxi a Budapest nell’aprile del 1984 per poi essere seguito, nel luglio, da quello nella Ddr.
«Craxi ha l’aspirazione non solo di far uscire il suo paese dalla stagnazione economica, ma anche di far esercitare all’Italia un’azione di primo nella scena politica mondiale, il suo approccio vigoroso, orientato al conseguimento degli obiettivi, ha rappresentato uno stimolo all’impegno, così come la sua volontà, differentemente dai politici più tradizionale, di vedere l’Italia svolgere un ruolo di guida internazionale».
Di Paolo Abati, instoria.it
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- Caviglia e S. Labbate,Al governo del cambiamento, l’Italia di Craxi tra rinnovamento e obiettivi mancati,Rubbettino Editore, Catanzaro 2014.
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Fonte originale: http://www.instoria.it/home/ostpolitik_bettino_craxi.htm
N° 171 / MARZO 2022 (CCII)
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org