DI ANDREA FABOZZI
ilmanifesto.info
Referendum. Gli italiani all’estero stanno votando. E pubblicando le loro schede segnate su Instagram. Crescono i dubbi sulla regolarità del sistema previsto dalla legge Tremaglia. E il comitato del No annuncia un ricorso nel caso alla fine questi voti dovessero risultare decisivi
In un bar italiano di Sidney, vedete la foto qui sopra, qualcuno ha appeso al muro una scheda elettorale originale del referendum costituzionale. Ha aggiunto oltre al Sì e al No una terza opzione, Boh, e l’ha scelta con una X. La vita avventurosa delle schede elettorali all’estero è in pieno svolgimento. Stampate in tipografie scelte dalle ambasciate e dai consolati, recapitate attraverso servizi privati nelle residenze degli oltre quattro milioni di elettori italiani, stanno in questi giorni facendo il viaggio all’indietro verso le rappresentanze consolari. Quelle che non sono andate perse nei bar.
Le schede devono arrivare entro le 16, ora locale, del 1 dicembre. Poi saranno spedite a Roma, e scrutinate contemporaneamente a quelle degli elettori italiani nella notte del 4 dicembre. Potrebbero essere voti decisivi, le previsioni raccontano di un testa a testa tra i Sì e i No. E dovrebbero essere voti «personali, uguali, liberi e segreti» come da articolo 48 della Costituzione. Ma basta aprire uno dei social più frequentati, Instagram, per vedere che così non è. Tantissimi elettori stanno fotografando la scheda segnata, socializzando così con amici e follower la loro scelta. Nessun segreto. E c’è almeno un italiano famoso, Flavio Briatore, residente a Montecarlo, che si è fatto fotografare mentre barra – ovviamente – il Sì. Ha aggiunto un pensierino dei suoi – «è fondamentale votare #SI, perché l’Italia possa andare avanti, mentre chi vota No è per un’Italia che va indietro» – e si è preso anche qualche insulto per questo. Il post è piaciuto a quasi seimila utenti.
Alcune delle schede segnate compaiono in profili anonimi, altre in profili firmati con nome e cognome, in ogni caso in questo articolo non citeremo alcun account: è molto semplice per chiunque verificarlo su Instagram seguendo gli hashtag del referendum. «Lo so che è illegale, ma non me ne frega niente, è più illegale la casta dei nullafacenti pagata con le nostre tasse», scrive un italiano residente a Londra. Eppure al Viminale sono più prudenti. La legge del 2008 che serve a tutelare «la segretezza del voto nelle consultazioni elettorali e referendarie» si riferisce infatti ai soli seggi sparsi sul territorio nazionale, dove chi fotografa la scheda rischia il carcere (da tre a sei mesi) e una multa (da 300 a mille euro). Il ministero dell’Interno, spiegano dagli uffici di Alfano, non ha responsabilità per quello che accade all’estero, dove il controllo è (o dovrebbe essere) delle ambasciate e dei consolati.
Chi, a casa sua o al bar, ha in mano una scheda e uno smartphone non ci pensa. E così vediamo la scheda con il No di un elettore a Dublino, di un altro a Sidney e un altro ancora a Barcellona. Vediamo un Sì da Boston e un No dalla Cina. Un elettore di San Francisco fotografa la sua scheda con il No davanti alla tv con un fermo immagine del volto di Renzi.
Voti liberi, probabilmente, e personali, ma non segreti. Com’è impossibile che sia per tutti quelli espressi all’estero da quando (2001) trova applicazione la contestata legge Tremaglia. Ieri il presidente del Comitato del No al referendum costituzionale, Alessandro Pace, nel corso di una conferenza stampa dedicata in gran parte al voto all’estero, ha detto che «se il voto per il Sì dei cittadini italiani all’estero dovesse rivelarsi determinante, impugneremo questa consultazione davanti all’ufficio centrale del referendum, che è un organo giurisdizionale». Questa dichiarazione ha offerto l’occasione a Renzi per un attacco – «non hanno argomenti» – e non è piaciuta neanche ad alcuni esponenti del No, come D’Alema che ha detto che «i ricorsi li fa chi perde e invece il No vincerà».
Pace però ha fatto riferimento a una norma prevista dalla stessa legge sul referendum – l’articolo 23 della legge 352 del 1970 – per la quale «sui reclami relativi alle operazioni di votazione» del referendum decide, appunto, l’Ufficio centrale. L’occasione potrebbe essere quella buona non tanto per rovesciare il risultato delle urne, ma per portare la legge sul referendum davanti alla Corte costituzionale. Proprio ieri il Tar del Lazio dando torto a Onida ha detto però che la sede giusta è proprio l’Ufficio centrale. E ha aggiunto che i dubbi di costituzionalità sono «seri».
Amdrea Fabozzi
Fonte: www.ilmanifesto.info
22.11.2016