Marcella Raiola, Cobas Scuola: “Così combattiamo la dittatura mascherata”

Intervista all'attivista napoletana protagonista delle protese anti-green pass. Lunedì 30 agosto la mobilitazione davanti al ministero

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Di Marco Di Mauro, ComeDonChisciotte.org

La scuola, o meglio ciò che ne rimane dopo l’assalto alla diligenza del capitalismo globalista, è oggi il laboratorio per eccellenza del sistema emergenziale. Lo dimostrano i nostri ragazzi, mascherati e distanziati: coprire naso e bocca significa addestrare all’obbedienza intere generazioni. Non se la passano meglio gli insegnanti, che subiscono il ricatto dell’obbligo vaccinale e del lasciapassare sanitario, anche se la maggior parte di loro non è sembrata accorgersene. Una fortunata eccezione è costituita dal “Comitato napoletano contro la gestione autoritaria della pandemia” formato da professionisti e cittadini irriducibili, che stanno calcando le piazze napoletane sin dal primo passo, ben prima del Covid, della riduzione della scuola a laboratorio di distruzione della dignità e della libertà umana. Incontriamo Marcella Raiola, insegnante Cobas e notissima attivista, un baluardo a difesa della scuola democratica, libera, critica.

Da insegnante, può fare un bilancio della gestione dell’emergenza Covid-19 da parte delle istituzioni nel corso degli anni 2020-21?

La gestione della pandemia è stata fallimentare nel suo complesso, ma come docente posso senz’altro affermare che la scuola è stata la “grande sacrificata” della pandemia: mentre le fabbriche non hanno mai chiuso, il che ha portato ad una recrudescenza del contagio, la scuola è stata chiusa anche in modo arbitrario, conferendo ai singoli presidenti delle regioni dei poteri abnormi di gestione, quando invece l’articolo 120 della Costituzione prevede che le grandi emergenze sanitarie siano gestite dallo Stato. Noi al sud abbiamo sofferto maggiormente di queste chiusure, senza che ci fosse tra l’altro fornito uno straccio di dato relativo al contagio nelle scuole. Il Covid ha messo in luce quanto la sicurezza nelle scuole sia un miraggio, quanto le classi-pollaio (oltre le 25 unità), la mancanza di spazi, la fatiscenza degli edifici contribuiscano a creare le condizioni di pericolo e di disagio. Abbiamo più volte chiesto infatti dalla piazza sin dalla fine del primo lockdown a maggio del 2020, che questi interventi fossero considerati prioritari, e invece prima c’è stato un grande sbilanciamento a favore della Didattica a distanza, frettolosamente e arbitrariamente contrattualizzata e istituzionalizzata nonché magnificata, per poi passare invece alla sua demonizzazione per favorire un altro grande interesse: la vaccinazione degli adolescenti, tra l’altro sospesa per cautela in più paesi d’Europa e che qui viene invece, in modo assai irresponsabile, favorita e richiesta. Abbiamo chiesto più volte assunzioni, ci sono 200mila precari nelle graduatorie; abbiamo chiesto lo scorporo delle classi pollaio proprio a partire da quello che il Covid avrebbe dovuto insegnarci; abbiamo chiesto interventi nell’edilizia scolastica, perché abbiamo una concezione del tutto nuova del fare scuola. Purtroppo questo tipo di interventi richiede investimenti, ma, come abbiamo constatato, neanche il Pnrr prevede fondi per queste finalità. Anzi, si pensa alla digitalizzazione e soprattutto si favorisce la proliferazione di protocolli di intesa con privati attraverso le cooperative, secondo il modello emiliano tanto caro al ministro Bianchi, che snatureranno definitivamente sia il ruolo del docente che la missione, la funzione sociale della scuola, equiparandola a quella di una qualunque ludoteca.

Siamo preoccupatissimi anche per le istanze di riduzione del ciclo di studi soprattutto delle scuole superiori da 5 a 4 anni, per quella che viene definita la essenzializzazione dei contenuti, quindi è chiaro che il Covid è stato utilizzato come una sorta di pretesto per evellere le ultime resistenze della scuola in lotta, dei docenti in lotta per mantenere in vita una scuola che abiliti al pensiero critico e che non ceda alle derive dell’aziendalizzazione e di una valutazione asfittica come quella delle INVALSI. C’è stato in fin dei conti un grande braccio di ferro tra docenti che avrebbero voluto considerare la pandemia come un’occasione di ripensamento della scuola in chiave umanistica, educativa e formativa della cittadinanza, e dall’altro lato governi che hanno sfruttato il Covid per spingere l’acceleratore su processi di privatizzazione e di aziendalizzazione.

Obbligare il personale docente a vaccinarsi davvero l’unico modo per tutelare gli allievi? E quanto alla sua efficacia?

Direi proprio di no, stando alle evidenze statistiche e cliniche e stando anche alle dichiarazioni dei più accreditati virologi che hanno spiegato a chiare lettere come i contagiati e quelli che contagiano possono anche essere vaccinati. Del resto, questi vaccini immunizzano per un periodo molto breve e con una intensità ad un livello diversissimo e non sempre ottimale. Quindi si tratta di vaccini non eradicanti, come si dice in gergo medico, poiché richiedono la somministrazione di ulteriori dosi mentre gli effetti avversi non sono stati ancora valutati in qualità e quantità. Ma in linea di massima la sicurezza non può venire da una prevenzione, una profilassi fatta in maniera desultoria e che non potrà mai coprire il 100% della popolazione perché, come è ovvio, ci sono persone non in grado di sopportare questi farmaci. Nemmeno è pensabile puntare esclusivamente sul vaccino come unica soluzione per uscire dalla pandemia: bisognava investire nelle cure, che pure vengono prestate da numerosissimi medici precocemente a domicilio. Bisognerebbe insomma creare le condizioni materiali, ambientali, e anche biologiche e fisiche, per garantire la sicurezza. Questo significa spazi, significa più verde, significa scuole a norma, ampliamento della metratura delle aule. Nelle classi, non più di 15 alunni con grande giovamento alla didattica e il beneficio di maggiori assunzioni di docenti. Bisogna iniziare innanzitutto dai trasporti: vaccinare il personale delle scuole ha un valore assai relativo se i ragazzi prendono in massa degli autobus e metropolitane affollatissimi. Teniamo presente che i ragazzi sono suscettibili di contrarre la malattia in forma non severa, molto lieve, per lo più da asintomatici. Il problema vero sta nel proteggere al massimo la popolazione fragile, per questo una campagna vaccinale diretta agli studenti, tenendo presenti i rischi che il vaccino comporta, è davvero azzardata se non pericolosa. Per quel che riguarda il personale, ripeto: i docenti sono disposti a insegnare il rispetto di certe regole e a rispettarle a loro volta, per cui credo che in un ambiente come quello scolastico il vaccino sia proprio l’ultimo dei presidi sanitari che possono essere utili.

Il vostro movimento ormai è una presenza fissa nelle piazze italiane. Come è iniziato, da chi è composto, che obiettivi si propone?

Come docente COBAS della scuola di Napoli io ho attraversato in realtà parecchi movimenti: “Priorità alla scuola” nazionale, che si è battuto contro le retoriche ministeriali sulla Dad per ridurre l’indice di dispersione e abbandono che al sud è schizzato alle stelle con la Dad. Nella Rete Scuola Saperi e Cura, che ha agito sul territorio campano durante tutta la pandemia insieme all’Osservatorio Popolare Studentesco, abbiamo avuto soprattutto come bersaglio polemico le autoritarie politiche scolastiche della regione. In questo momento, scendo in piazza con il “Comitato napoletano contro la gestione autoritaria della pandemia” nato spontaneamente dalla constatazione che ci troviamo di fronte ad un’escalation di autoritarismo, una torsione autoritaria e securitaria delle politiche nazionali di emergenza, che si sta protraendo all’infinito in maniera molto pericolosa. Un comitato nato dalla necessità di contrastare una misura discriminatoria, escludente e appunto pericolosa come quella del Green Pass, che non ha nessuna efficacia deterrente rispetto al contagio, applicata anche in maniera molto singolare visto che non è necessario esibirlo in affollati luoghi di culto, ma necessario per accedere a un’immensa area archeologica all’aperto come Pompei. Una norma che tende a scaricare sui cittadini e sulle cittadine, soprattutto sui non vaccinati, la responsabilità dei mancati interventi del governo sulla sanità e sulla scuola. Ricordiamo che abbiamo 400 ospedali in meno, 30mila medici in meno, mentre le facoltà di medicina continuano ad essere a numero chiuso; negli ospedali della Campania abbiamo infermieri che fanno turni massacranti di 12 ore, talvolta ce n’è uno solo in un intero reparto. E a fronte di tutto questo, diamo la caccia ai non vaccinati? È chiaramente una misura che fomenta l’odio sociale, soprattutto nelle forme in cui è stata imposta ai docenti che sono il laboratorio della repressione, ma sicuramente ci aspetta un’estensione analogica a tutti gli altri settori lavorativi. Tutto questo è inaccettabile, innanzitutto dal punto di vista statistico perché i docenti sono vaccinati al 90%, e se quello che si vuole è una caccia al 10% che manca, questo la dice lunga sulla fiducia che si ripone in questi così elogiati vaccini. È inaccettabile anche perché si tratta di una forzatura incostituzionale che avviene deresponsabilizzando il potere rispetto alle conseguenze e forzando il personale scolastico ad aderire alla campagna vaccinale indirettamente, con il ricatto del lavoro e della sospensione dallo stipendio, cosa di una gravità eccezionale. È un ricatto di stato che non si è mai visto ai danni di docenti e studenti. Il Comitato è composto da attivisti contro la guerra Cobas, docenti Cobas della scuola, docenti di altra provenienza o senza sindacalizzazione, e persone che militano in formazioni anarchiche. Insomma, gente che ha fatto una scelta ideologica ben precisa: antiliberisti, anticapitalisti, antifascisti. Persone che vedono in queste misure il prodromo, la testimonianza evidente di un tracollo delle ultime garanzie di libertà non solo individuale, ma collettiva, perché oggi siamo arrivati con il Green Pass ad un livello di controllo, sorveglianza, esclusione, un livello di violenza istituzionale da cui difficilmente si potrà tornare indietro.

Gli obiettivi immediati del Comitato sono il ritiro dei decreti 105 e 111, ovvero la loro non conversione in legge, perché sono discriminatori e irricevibili sotto più rispetti; soprattutto per gli studenti, messi gli uni contro gli altri: per esempio questi decreti prevedono che se in una classe sono tutti vaccinati, possono togliere la mascherina, ma questo significa alimentare il bullismo, l’odio e l’emarginazione dello studente, della studentessa che non volessero vaccinarsi. Questo è gravissimo, lo dico come docente, è un fatto pedagogico: un atto gravissimo di involuzione educativa, comporta un grave regresso. Nel breve termine il nostro obiettivo è quindi il ritiro di questi decreti, che tra l’altro pongono tramite il Green Pass dei limiti alla libertà personale, prevedendo l’interdizione da una marea di servizi e attività anche fondamentali come la sanità: stiamo già registrando casi di persone che vengono respinte dagli ospedali pur essendo bisognosi di cure, perché non avevano il pass, una cosa inaccettabile. Il decreto 105 nel suo preambolo, come ha notato il professor Scarselli che insegna Diritto civile processuale a Siena, recita che le limitazioni alle libertà personali vengono istituite «in vista di una possibile emergenza», ed è impossibile accettare che l’esercizio delle libertà personali e dei diritti garantiti dalla Costituzione venga condizionato alla vaccinazione, la quale è libera e volontaria. Ma soprattutto non è possibile imporlo dinanzi a un’emergenza che non c’è ma potrebbe sopraggiungere, perché questo va a creare veramente le condizioni per le quali il cittadino si ritrova in assoluta balìa del potere, una assoluta incapacità di frenarne l’arbitrio.

A lungo termine, oltre all’abolizione del Green Pass, vorremmo ottenere tutte quelle misure per le quali da tempo stiamo scendendo in piazza nelle diverse formazioni che incontriamo e spontaneamente si creano, vale a dire, per la scuola e la sanità, investimenti, assunzioni, eliminazione delle classi affollate, moltiplicazione dei reparti. Soprattutto ripubblicizzazione della scuola e della sanità, che tornino pubbliche e finanziate dalla fiscalità generale, uguali per tutti e come diceva Gino Strada, abbiamo bisogno che la salute non sia più un affare, ma la cura principale del potere, un potere che noi cittadini dobbiamo contenere, perché la salute e la scuola siano un diritto per tutti e non un’esclusiva dei privilegiati. La nostra storia politica ci ha portato in piazza vent’anni fa, ben prima del Green Pass, dall’epoca dei tagli della Gelmini. È da tempo che denunciamo certe situazioni legate alle politiche iperliberiste dei governi che si sono succeduti – e che quasi mai abbiamo eletto. Lo scopo è un rovesciamento del paradigma governativo e delle priorità di spesa pubblica.

Da trent’anni, governo di sinistra governo di destra, la scuola e il mestiere dell’insegnante sono oggetto di un assalto da parte del globalismo. Già il piano di Gelli raccomandava la precarizzazione, la reductio ad servum della figura del docente, che invece andrebbe considerata al pari di quella per esempio del medico e dell’ingegnere per la delicatezza di ciò che ha tra le mani, cioè le menti delle giovani generazioni. Togliere dignità alla professione del docente annichilisce la libertà d’insegnamento, appiattendo e svilendo il sistema scolastico. Minare alla base l’educazione delle giovani generazioni per creare nuovi schiavi: i ragazzini di oggi sono le primissime cavie del nuovo ordine totalitario che si sta cercando di instaurare. Come credi che debba procedere la lotta?

La tua riflessione si basa su una ricognizione storica valida, perché parli di trentennale vicenda dello smantellamento della scuola pubblica, di massa, laica, emancipante, tendenzialmente utile a favorire la mobilità e la perequazione sociale. Sicuramente la scuola mercatocentrica, defunzionalizzata, nella quale gli studenti sono degli stakeholders e i docenti degli schiavi tenuti costantemente alla rendicontazione sociale, depauperati e anche defraudati delle loro prerogative. Per esempio, sul piano della valutazione, l’INVALSI entra nelle classi con un metodo cronometrico e standardizzato, valido per tutti a Gela come a Livigno e pretende, con un unico test tendenzioso e molto spesso incongruo rispetto ai percorsi delle singole realtà scolastiche, di valutare l’efficienza in termini di produttività di tutte le scuole. Questo è aberrante, deprimente. Se poi aggiungiamo l’alternanza scuola-lavoro che è vero e proprio sfruttamento della manodopera dei ragazzi e che molto spesso è discriminatoria, perché i ragazzi dei licei non vanno a fare gli stessi lavori di quelli per esempio dell’alberghiero; è una pratica involutiva, che consente alle imprese di sfruttare forza lavoro gratuita, mentre non c’è alcuna ricaduta didattica o formativa sui ragazzi, che perdono semplicemente tante ore di studio e laboratorio.

Noi abbiamo contrastato questo fenomeno di degenerazione che, come dicevi, viene da lontano, dagli anni Novanta, dal Libro bianco di Edith Cresson che parla, in termini agghiaccianti, di scuola come «industria europea del software educativo». Viene anche dall’autonomia scolastica, che mette le scuole in competizione come se fossero ristoranti, aziende che devono attirare la clientela. Viene dal contributo volontario, un ossimoro che sostanzialmente privatizza i processi scolastici e la partecipazione delle famiglie. Viene, insomma, da una serie di leggi che hanno trasformato in modo permanente la vita scolastica. Credo che il depauperamento, anzi le campagne di diffamazione a danno degli insegnanti, la loro riduzione a ceto impiegatizio afflitto senza alcuna dignità, siano effetti, non cause della degenerazione generale, siano il primo prodotto, il più importante, della aziendalizzazione della scuola, della sua trasformazione da luogo delle conoscenze a luogo delle asfittiche competenze mordi-e-fuggi, con l’obiettivo della creazione di braccia da piazzare sul mercato. È un cambiamento molecolare, come l’avrebbe definito Gramsci, non ha a che fare soltanto col dato burocratico, è un cambiamento che piano piano è entrato proprio nella percezione delle famiglie, degli stessi studenti e anche dei docenti che, in linea di massima, hanno reagito poco e male a questa colonizzazione da parte del mondo dell’impresa. Non mancano analisi molto lucide, non sono mancati tentativi anche massicci di reazione come la grande manifestazione del 2015 che vide 600mila docenti in piazza contro la Buona scuola di Renzi e anche un’adesione allo sciopero degli scrutini del 99% che non si vedeva da tanto tempo. Il problema è però che il potere è blindato, come hai detto, non c’è stata distinzione tra destra e sinistra nell’avvicendarsi dei governi, sono stati tutti uguali nell’adesione al paradigma liberista nella gestione delle risorse e dei beni comuni. Se questi ultimi sono trasformati in merce, non esiste più sinistra. Poi c’è il tracollo dei sindacati, parlo ovviamente di quelli confederali, che sono diventati fiduciari del potere e non più i tutori e difensori dei diritti dei lavoratori. Tutto questo, quindi, rende difficile la rivalsa. È proprio la democrazia rappresentativa e parlamentare che è in crisi. “Il parlamento” così si espresse un deputato con cui ci trovammo faccia a faccia nel corso di una delle tante proteste fatte da precari “è un tritacarne” riferendosi alle numerose fiducie che vengono poste sulle leggi senza il dibattito parlamentare, anche le leggi elettorali, il referendum sul taglio dei parlamentari ecc., hanno determinato una situazione di blocco. Credo che le piazze, che in questo momento tracimano di gente che non riesce più a farsi sentire attraverso i canali come il voto, attraverso la normale dialettica di una democrazia sana, siano in qualche modo la prova del fatto che è saltato questo meccanismo. Ora sta a noi creare un meccanismo di democrazia partecipata, differente da quello della democrazia rappresentativa, oppure lasciare a questa dittatura mascherata – che, attenzione, ha preso piede da tempo, non ha a che fare soltanto con il Covid, e ricordo che anche la Buona scuola è passata con la fiducia. Se pensiamo che su materie di rango costituzionale – e mi pare che l’istruzione lo sia! – non si può mettere la fiducia, capiamo bene quante forzature procedurali enormi ci sono state, che svuotano di senso la democrazia stessa, perché in questo caso la forma è sostanza.

Come ne usciamo? Combattendo, scuola per scuola, ma anche recuperando l’idea che la scuola è un fatto politico. La più grande iattura per la scuola è il convincimento sbagliatissimo, che purtroppo ha preso piede tra i docenti, che a scuola non si fa politica, che la scuola ha una “extra-territorialità” rispetto al discorso politico. Allora, se continuiamo con la deideologizzazione dei fenomeni che hanno a che fare con l’educazione e l’istruzione, se non capiamo che invece proprio l’attaccamento dei governi contro la scuola denuncia la centralità dell’istruzione e del controllo dei giovani nell’organizzazione, nell’architettura politico-ideologica italiana ed europea, insomma se non riconosciamo ciò e non cominciamo a ragionare in termini ideologici ovvero a stagliare quello che accade alla scuola su uno sfondo politico-ideologico, difficilmente riusciremo a reagire. Perché vivremo i singoli cambiamenti come necessità contingenti o come attacchi ingiustificati, magari legati al soggettivo sentire di questo o quel leader o dirigente: non è questa la chiave esplicativa del problema. Bisogna guardare alla gestione nel suo complesso, agli obiettivi generali che il sistema capitalistico – tra l’altro in profonda crisi e per questo più pericoloso – vuole raggiungere. Se prendiamo atto di questo forse cominceremo a reagire in una maniera più determinata. Occorre disobbedienza civile, è una fase molto difficile e pericolosa. Bisogna avere contezza della matrice dei fenomeni, ma anche una grande capacità di creare una prospettiva diversa, per scardinare il famoso acronimo TINA (There Is No Alternative). L’alternativa c’è, siamo noi. Una società solidale, basata sulla cura reciproca, sulla redistribuzione equa dei beni, sull’istruzione libera. Basata, insomma, sull’equità e la giustizia.

Dopodomani, 30 agosto, sarete a Roma davanti alla sede del Ministero. Cosa ti aspetti?

Sì saremo dalle 11,00 davanti al Ministero dell’Istruzione. Ci saranno docenti, personale ATA, studenti medi e universitari, genitori. Vaccinati e non vaccinati. Vogliamo portare le nostre ragioni nel palazzo, e speriamo che la nostra delegazione venga ricevuta. Si è formato per l’occasione un coordinamento nazionale docenti ed ATA contro il Green Pass, dove sono confluiti i movimenti locali che stanno scendendo nelle piazze del sabato contro questo provvedimento che ha una sua origine, una sua ratio conforme alle politiche di taglio e di svendita dei beni comuni. E ha una sua agghiacciante prospettiva di controllo occhiuto del potere sulla vita dei cittadini. Noi siamo docenti, la scuola per noi non è soltanto un luogo di lavoro, è il luogo dell’utopia, della creatività, della crescita, delle emozioni. È il luogo dell’acquisizione della consapevolezza. È il luogo residuale della democrazia, perché mentre tutto fuori crolla, e i ragazzi non trovano da nessuna parte l’applicazione di quelle norme costituzionali che dovrebbero essere vigenti, nella scuola imparano a rispettarle, ne imparano l’eziologia, che è il sangue dei partigiani, e ne imparano la funzionalità sociale, la bellezza. Noi personalmente siamo umiliati all’idea di dover mostrare la nostra adesione ad una campagna vaccinale che ci sembra abbia uno scopo completamente estraneo a quello dell’istruzione e dell’educazione, che pone condizioni per accedere ad un luogo come quello scolastico che per noi è spirituale, sacro. Non accettiamo che il lavoro e lo studio, due diritti fondamentali, vengano condizionati all’adesione a una campagna vaccinale. Abbiamo già avuto tra l’altro molti cineasti, cantanti e direttori di museo che si sono rifiutati, anche dando le dimissioni con molta coerenza, di accettare la logica della selezione da Green Pass. Perché non è possibile e giusto strumentalizzare la cultura, l’istruzione, la socialità allo scopo di ottenere una adesione alla campagna vaccinale che è uno scopo totalmente estraneo ai luoghi dell’arte e della cultura. Lo stato non può operare in questo modo ambiguo e obliquo, soprattutto questo olismo vaccinale comincia a soffocarci.

Saremo quindi di fronte al ministero, e cercheremo soprattutto di difendere gli studenti dalla logica del bellum omnium contra omnes di cui ho detto prima, contro questa deriva autocratica, questa involuzione pedagogica e democratica. Deve esserci una via civile, rispettosa dei diritti, per uscire dalla pandemia. Noi crediamo che lo stato di emergenza non porti che ad un’emergenza ancora più grossa. L’emergenza sanitaria non deve diventare emergenza democratica e civile. 

Marcella Raiola
Marcella Raiola

Marco Di Mauro, ComeDonChisciotte.org

28/08/2021

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