L'ESTREMA DESTRA E I MERCENARI – L'ESERCITO DEI SAYA

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DI RITA PENNAROLA
lavocedellevoci.it

In caso di disordini favoriti dal conflitto in Libia, anche nel nostro Paese sarebbero già pronti interi eserciti privati, come già avviene nel golfo della Sirte e da sempre negli Usa. Le rivelazioni arrivano dal panorama della defense che in Italia, dove la legge proibisce reclutamento e addestramento di mercenari, si muove spesso lungo il confine tra la formazione di vigilantes e il fanatismo. Su tutte arrivano poi le ronde nere della Guardia nazionale fondata da Gaetano Saya.

Cinquantamila uomini, dislocati nelle più diverse regioni del territorio italiano sarebbero già pronti. Nel caso in cui la polveriera Maghreb dovesse deflagrare definitivamente, con conseguenze drammatiche anche sul nostro Paese, alcuni eserciti paralleli, assolutamente privati e finora rimasti nell’ombra potrebbero cavalcare l’onda dei disordini e condurre l’Italia sull’orlo del golpe, fomentando anche l’onda dei movimenti autonomisti, che potrebbero entrare comunque in azione al primo scoccare di una scintilla.
Non si tratta di fantapolitica, ma di segnalazioni circostanziate, con tanto di documenti, arrivate alla Voce da luoghi e personaggi diversissimi, affidabili e certamente non in contatto fra loro. I segnali, poi, sono anche altri. Un esempio su tutti: il sondaggio lanciato a metà marzo dalle colonne del quotidiano Libero: “In caso di attacco straniero all’Italia, ti arruoleresti?”, in cui prevale una maggioranza di sì. Cerchiamo allora di vederci chiaro, mettendo insieme gli elementi raccolti e raccontando due diversi scenari, collegati ad altrettanti personaggi.

RONDA SU RONDA

Si parte con l’approvazione della legge numero 94 del 15 luglio 2009: fortemente voluta dalla Lega e dai duri e puri dell’allora Alleanza Nazionale, è la norma varata nell’ambito del “pacchetto sicurezza” che prevede, oltre a regole più restrittive per gli extracomunitari, anche l’istituzione delle cosiddette ronde, gruppi di cittadini che, a metà strada fra volontari della protezione civile e rudi vigilantes, in coordinamento con sindaci e prefetture, ma senza poter fare uso di armi, esercitano funzioni di sorveglianza sui territori cittadini. Questo, almeno, lo spirito della legge. Che però, oltre agli sparuti gruppi di cittadini “inkazzati” che escono in perlustrazione la sera nelle cittadine del nord, ha dato il via anche alla nascita di gruppi seriamente intenzionati ad armarsi e scendere in campo con ben altre finalità. Il tutto, per giunta, starebbe avvenendo grazie ad una “mediazione” molto particolare: «alcuni segmenti della Lega Nord – rivela una fonte vicina a questo milieu – non sono estranei ad una rete capillare di pseudo logge massoniche sparse su tutto il territorio nazionale che puntano proprio sugli “eserciti rondisti” per realizzare, in determinate condizioni, i loro intenti secessionisti». Funzionali a tali scopi sarebbero poi, nell’ambito dello stesso scenario, taluni movimenti autonomisti, soprattutto quelli attivi al sud. «C’è un autentico piano eversivo – dice ancora la nostra fonte – che si basa sulla presenza di eserciti privati, finora rimasti sotto traccia, pezzi della Lega e frange consistenti dei movimenti sudisti in odor di autonomia».

L’ORA DI SAYA

In testa ai rondisti dall’arma facile ci sarebbero alcuni uomini “carismatici”, come un personaggio già noto alle cronache giudiziarie: il neofascista (ma lui preferisce definirsi nazionalista) Gaetano Saya. Chi è davvero Saya? Un pericolo pubblico per la democrazia? O solo un pataccaro capace di suggestionare gli istinti più feroci? Facciamo un passo indietro.
È il primo luglio del 2005 quando la procura della repubblica di Genova, che sta indagando sull’arruolamento di Fabrizio Quattrocchi, morto in Iraq, dispone l’arresto di Gaetano Saya e dell’allora suo braccio destro Riccardo Sindoca. L’accusa è quella di aver dato vita ad un Sismi parallelo, il Dipartimento studi strategici antiterrorismo (Dssa) costituito da sedicenti agenti segreti dediti ad attività investigative non ufficiali sul terrorismo di matrice islamica. Associazione per delinquere finalizzata all’usurpazione di pubbliche funzioni, illecito utilizzo di dati ed informazioni riservate attraverso l’illegale consultazione delle banche dati del ministero dell’Interno: questi i reati a vario titolo ipotizzati per Saya e per gli altri 22 indagati, molti dei quali risultati appartenenti a Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Polizia Penitenziaria.
Operanti in nove regioni italiane, i “miliziani” della Dssa secondo gli investigatori puntavano ad accreditarsi presso importanti organismi nazionali ed internazionali, tra i quali probabilmente anche servizi segreti stranieri, per ottenere finanziamenti. I falsi 007 non esitavano ad effettuare pedinamenti o indagini e ad utilizzare illecitamente distintivi e palette in uso alle forze dell’ordine. Un filone dell’inchiesta arriva fino a Milano, dove la Dssa aveva appena aperto una sede a supporto del quartier generale di Roma.

UN CERTO ABU OMAR…

Questa la versione ufficiale dei fatti, la cronaca giudiziaria che abbiamo letto sui giornali. Ma ci sarebbe un piccolo particolare: lo scoppio contemporaneo sulla stampa del caso Abu Omar, vale a dire il rapimento dell’Imam di Milano ad opera della Cia e di una parte dei Servizi italiani. Il 1 luglio 2005, come abbiamo visto, scatta l’arresto ai domiciliari per Saya. E il giorno dopo l’agente Betulla, Renato Farina, scrive su Libero: «Gaetano Saya e il Dssa hanno fatto parte del gruppo operativo della Cia che ha sequestrato Abu Omar». Farina, oggi deputato del Pdl, ha patteggiato la pena per le accuse di favoreggiamento a suo carico, riconoscendo fra l’altro di essere a libro paga del Sismi di Nicolò Pollari.
E qui si arriva al punto. Perché, secondo alcune fonti riservate, Saya era stato già in precedenza convocato da emissari di Pollari, compresi alcuni noti giornalisti i cui nomi vennero fuori proprio nel periodo degli scandali al Sismi. «Nel corso di un appuntamento in zona via Sicilia, poco distante dalla redazione di Panorama, a Saya fu fatto credere che, con i suoi squadroni, avrebbe realmente avuto un ruolo nella vicenda dell’Imam». A fine giugno 2005 il Corriere della Sera titolava già “I pm di Milano: arrestate gli agenti della Cia”. E poche ore dopo scatta il piano: tirare in ballo Saya e creare un polverone mediatico, proprio mentre gli uomini dei Servizi statunitensi lasciavano in segreto il nostro Paese.
«Si trattava in realtà di una trappola – dice la nostra fonte – l’ennesimo depistaggio per deviare il corso delle indagini su Abu Omar, una nuova tappa dello scontro in atto al Sismi fra i “pollariani” e i nemici del generale. Ma tanto servì ad attribuire a Saya e ai suoi una visibilità che altrimenti non avrebbero mai avuto».
Sei anni dopo, con le inchieste giudiziarie ancora pendenti sul suo capo (mentre Sindoca è stato prosciolto), Saya torna in campo più roboante che pria. Lancia anatemi via web al pubblico ministero milanese Armando Spataro (che a suo carico ipotizza i reati di apologia del fascismo e ricostituzione del partito fascista, mentre è caduta l’accusa di associazione per delinquere) e si proclama capo della GNI, Guardia Nazionale Italiana, ala militare del Movimento Sociale Italiano Destra Nazionale, capitanato da Maria Antonietta Cannizzaro, moglie del “conducador” di stampo mussoliniano. Nel frattempo, infatti, il governo ha varato il famoso pacchetto sicurezza del 2009 e sdoganato, indirettamente, i “rondisti” Saya e C. Proprio all’indomani della nuova norma, Saya presenta in pompa magna a Milano le sue Ronde nere. Poche ore dopo scattano le indagini dei pm Spataro e Manlio Minale.
Passano alcuni mesi e i fascistoni ci ricascano: ad aprile 2010 in provincia di Genova viene fermato un «imprenditore campano cinquantenne» per uso illecito di palette della polizia, sirene ed altri elementi distintivi delle forze dell’ordine. L’uomo, sorpreso, si dichiara appartenente all’Msi Destra Nazionale della Cannizzaro. Non vengono rese note le sue generalità, si sa soltanto che si occupa di macchinette per i videopoker. Attività che in Campania è notoriamente appannaggio esclusivo dei clan camorristici o di personaggi ad essi collegati.

PATACCARO A CHI ?

Siamo così arrivati ai giorni nostri, alle turbolente atmosfere di guerra dietro l’angolo del Mediterraneo e a tutta quella serie di assetti privati in divisa che starebbero già vagheggiando il ruolo di contractors e relativi appalti da miliardi. In testa, a quanto pare, anche gli uomini al comando di Saya. La notizia arriva da fonti molto vicine alle “camicie nere” del neofascista (ma in pubblico si proclama “nazionalista”) di origine messinese, il quale si sposterebbe oggi con maggior frequenza dalla base romana alla sua terra natale per via della intensa frequentazione con una esponente delle forze dell’ordine (questa sì, autentica), specialmente dopo la separazione consensuale dalla compagna Maria Antonietta, cui rimane legato dalla comune militanza politica.
Lei intanto, la “generalessa” Cannizzaro, ama farsi ritrarre in divisa al comando dei suoi “militi”, o in abito di gala mentre scende da auto blu di grossa cilindrata (Mercedes, Bmw, Porsche o giù di lì), tutte rigorosamente con sirena lampeggiante e, possibilmente, autista al seguito. «Quello dei bolidi circolanti – spiega un fuoriuscito dallo staff “presidenziale” – è uno status symbol che, nel partitino della Cannizzaro, risulta dilatato oltre ogni misura. Sono oltre una decina, come è possibile controllare al Pubblico registro automobilistico, le vetture di questo genere intestate al Msi ed utilizzate da altrettanti dirigenti, dalla Calabria al Lazio fino alla Lombardia e altrove». Nel “pacchetto”, aggiunge il nostro interlocutore, ci sarebbero anche contravvenzioni per una cinquantina di migliaia di euro, tutte ferme nei cassetti ed in attesa di condono “dall’alto”.
Ma da dove arrivano, al partitino della Cannizzaro, i denari necessari a mantenere un apparato così faraonico? Lei, la signora, nata a Messina, un diploma di ragioniera esibito su Facebook a corredo dell’album fotografico tra glamour e kapò, l’ambizione dichiarata di diventare “infermiera professionale”, mentre indossa staffe, stivaloni e berrettacci neri con l’effigie dell’aquila reale, si attrezza nel miraggio degli squadroni a contratto, e intanto non disdegna la vendita di distintivi, divise ed altri gadget in odor di neonazismo. «La stessa cosa – dichiara a mezza bocca un ex iscritto – che fa Saya. Vuoi entrare in massoneria? Ecco: una sostanziosa quota d’iscrizione, un bel cappuccio in testa e giù nello scantinato con lui a lume di candela. Per entrare nella Guardia Nazionale Italiana invece – precisa ancora il nostro uomo – è prevista una cifra simbolica. Solo che poi devi comprare la divisa, gli stivali e tutto il resto. E da chi li acquisti? Da lui, naturalmente…».
Insomma, nell’estrema destra di Saya, Cannizzaro e C. non si butta via niente: dagli orpelli venduti alle centinaia di giovani che fanno richiesta per entrare nelle “truppe nere” destinate a “ripristinare l’ordine nel Paese”, fino alle ben più ambiziose mire di “esercito privato”, bell’e pronto in caso di conflitto o destabilizzazione. Durante la parata milanese dello scorso anno i “legionari” agli ordini di Saya erano circa 1.200. Oggi il numero sarebbe decuplicato.
«Questi dieci-ventimila uomini – taglia corto un anziano militare – sparsi lungo la penisola, pronti ad entrare in azione al momento opportuno, non sono oggi ufficialmente armati, ma non possiamo escludere che siano addestrati, anche perché tra le loro fila ci sono molti simpatizzanti attivi attualmente in seno alle forze dell’ordine o all’esercito. Il vero pericolo insomma è che, in un momento di difficoltà per il Paese, possano trovare qualcuno disposto a finanziarli ed armarli». Resta il fatto che la Guardia Nazionale Italiana si proclama apertamente al fianco del Pdl e di Silvio Berlusconi. E che il simbolo scelto per il Partito Nazionalista Italiano, annunciato da Gaetano Saya, è composto da una serie di SS di nazista memoria ripetute infinite volte dentro un cerchio nero. Quanto al rapporto col premier, dopo le ripetute avances andate a vuoto del partito della Cannizzaro, pare siano state respinte al mittente anche le profferte di Saya, latore di presunti “dossier” sui finiani durante la lacerazione del Pdl.

LA SERA ANDAVAMO DAL PAPA

Negli anni “d’oro” della Dssa, quando le frequentazioni altolocate servivano a circondarlo d’un’aura imperscrutabile di onnipotenza, Saya amava circondarsi di una leggenda, le regolari visite dal papa. L’auto sulla quale viaggiava per gli spostamenti in Vaticano era guidata all’epoca da un conducente speciale: Marcello Sanna. Il quale, oltre ad essere un fervente adepto della Dssa, nella vita faceva il capo operaio presso una casa di cura molto particolare con sede in zona Castelli romani.
La clinica esiste tuttora ed è un autentico colosso della sanità privata. L’Istituto Neurotraumatologico Italiano, reparti per vip a Grottaferrata e direzione generale nel centro di Roma, è stato fondato da Guelfo Galileo Faroni, oggi presidente onorario ultranovantenne del gruppo, amministrato dalla figlia Jessica Faroni, medico e da un paio d’anni presidente dell’Aiop nel Lazio, la sigla associativa delle case di cura private.
Solo un caso, il fatto che a far da chauffeur a Saya per le “visite al papa” («in realtà andavano a trovare un usciere dei Palazzi Vaticani, licenziato appena si è scoperta la messinscena», dice uno dei nostri informatori) fosse un dipendente dei Faroni? Magari c’è qualcosa d’altro, o forse no. Ma qualcuno, in ambienti investigativi della capitale, ricorda che l’istituto dei Faroni fu lambito dallo scandalo su “lady Asl”, la zarina della sanità regionale Anna Iannuzzi condannata nel 2007 per aver creato “un buco” da 80 milioni di euro nelle casse della sanità laziale con la complicità di medici, funzionari e politici di primo piano.
«Le indagini a tutto campo sul caso Lady Asl – viene ancora sottolineato – furono condotte da poliziotti che qualche volta si trovarono fra le mani documenti scottanti. Di certo, parecchi fra loro sono stati repentinamente destinati a missioni estere, dal Kosovo all’Albania, ed hanno dovuto lasciare quelle inchieste sulla sanità». Fra le circostanze che stavano venendo alla luce – ricorda qualcuno – anche la frequente presenza di pezzi grossi dei Servizi italiani, o di loro “ospiti”, per degenze di lusso nella clinica dei Faroni.

SCATTA LA DEFENSE

Fin qui le gesta di Saya e dei suoi. Ma non è finita. Perché un altro gruppo attivo nella capitale potrebbe – secondo alcune fonti – essere da tempo al lavoro sullo stesso terreno: quello della security capace di trasformarsi, all’occorrenza, in un esercito bell’e pronto per l’uso. Nessuna violazione, almeno in apparenza, della legge italiana, che proibisce l’addestramento di mercenari. Ma solo la solita, “innocente” formazione di body guard, vigilantes, buttafuori e dintorni,
Il personaggio intorno a cui ruoterebbero simili attività, come tutti i Rambo di professione, ama circondarsi d’una fama leggendaria: tanto per cominciare, racconta d’aver avuto una love story con Nicole Kidman, «dopo la fine della relazione fra la diva e Tom Cruise», chiosano un paio di siti gossippari sul web. Non sappiamo se lui, il quarantasettenne Antonio Marrapese originario di Capua, provincia di Caserta, abbia realmente fatto breccia nel cuore della bellissima Nicole, ma di sicuro può contare su alcune amicizie di peso. Non si spiega diversamente, per esempio, l’autentico redazionale sulla sua biografia pubblicato sotto forma di articolo (con tanto di firma: Romano Pietro) dal Corriere della Sera il 28 agosto del 2009 a pagina 43. L’incipit parla già da solo. «Dalla società del metronotte alla security international company. È lo slogan della Defensecurity, l’azienda creata da Antonio Marrapese. Casertano di origine, formazione internazionale, rappresentante legale per l’Italia di Defence security training service corporation (la numero due al mondo nel settore della sicurezza dopo il gigante Blackwater), Marrapese, un imprenditore molto riservato che non vuole diffondere sue immagini, conta esperienze nella tutela di capi di Stato e, più di recente, in Iraq e in Afghanistan». Blackwater, lo ricordiamo, è il principale contractor per la fornitura di uomini ed eserciti armati sui territori di guerra, dall’Iraq all’Afghanistan.

Proprio ad agosto 2009 la società di Marrapese faceva intanto il suo ingresso nel salotto buono di Confindustria e il Corriere, per celebrare degnamente l’evento, non trovava di meglio che auspicare l’arrivo della «autorizzazione di polizia che le permetterà di scendere in campo», sottolineando al tempo stesso che «nel frattempo è scattato il reclutamento di 3.500 uomini, da completare entro il 2011, quando si prevede un fatturato di 190 milioni. Per la fine dell’anno – viene precisato più avanti – l’organico sarà di mille unità», tutte superpagate, dal momento che «gli stipendi alti sono al centro della politica aziendale di Marrapese».
Iscritta come soggetto estero alla Camera di Commercio di Roma, la Defense Security Service Corporation, con sede legale a Panama, declina un oggetto sociale “rude” (anche con la lingua italiana), ma piuttosto eloquente: «Gli scopi generali della società si basano nel fare tutte le cose che più avanti si espongono nello stesso modo che le persone naturali possono fare in qualsiasi parte del mondo». E cosa fanno, in qualsiasi parte del mondo, le “persone naturali”? «La gestione ed organizzazione di corsi di addestramento di attività relative alla protezione delle persone e dei suoi beni, servizi di antisequestro, ricerca di persone scomparse, servizio antiguerriglia e servizio antiterrorismo».

Alla Defense di Marrapese, stando alle brochure informative, sul “Security Training” non si trascura alcun particolare: si va dalla Analisi degli attentati alla Gestione della minaccia, dalle Strategie e tattiche di scorta protettiva alle Armi e balistica, dalle Tecniche di tiro da combattimento alle Tecniche di individuazione di ordigni esplosivi o di microspie, fino alla Pianificazione scorte nei paesi ad alto rischio, con un accento particolare posto sull’esigenza di «ottenere il riconoscimento giuridico nei paesi dove non è previsto, in special modo in Italia».

Esistono realmente, da qualche parte dell’Italia o all’estero, eserciti di giovani addestrati all’uso delle armi e pronti ad imbracciarle al momento opportuno? Molti, fra coloro che sono dentro al rischioso mondo della security, sono pronti a giurarci. Quanto a Marrapese, un paio d’anni fa aveva dettato la sua autobiografia anche ad un giornale non ufficiale dei sindacati di polizia. E da lì scopriamo che all’estero la sua società gli eserciti privati li fornisce ufficialmente e già da tempo («Come sono armati i contractors e quali Rules of Engagement hanno?», gli chiede l’intervistatore. Risposta: «Veniamo armati direttamente dai governi per i quali lavoriamo»). E poi un particolare di non poco conto circa la sua formazione: «Antonio Marrapese ha passato 18 mesi in un campo di addestramento sul lago della Sirte ad imparare i primi rudimenti sulle armi, l’esplosivistica, l’interrogatorio ed il controinterrogatorio».

Insomma, con la guerra che infiamma oggi proprio il Golfo della Sirte, l’uomo giusto al posto giusto.

Rita Pennarola
Fonte: www.lavocedellevoci.it/
Link: http://www.lavocedellevoci.it/inchieste1.php?id=395
4.04.2011bn

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