Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org
Un mito è una storia immaginaria, priva di un’esistenza verificabile. Tuttavia storicamente non si può negarne il valore. Questo tipo di narrazione ha permesso per secoli alle popolazioni di condividere visioni complesse o di dare forma ad esperienze vissute collettivamente. Durante la Guerra Fredda, ad esempio, il mito dell’invasione degli alieni era un racconto efficace, in grado di dare voce al malessere di quel tempo: quella paura di nemici “esterni” che segretamente cercano di infiltrarsi nella società occidentale per far avanzare la loro specie e i loro interessi.
Ma quali sono le principali esperienze che stiamo vivendo ultimamente? E quale mito può descrivere questa condizione? Per scoprirlo, possiamo partire da un piccolo sondaggio e vedere se ci è mai capitato, o se ci capita tutt’ora, di vivere la stessa esperienza.
- Hai rinunciato a dialogare con persone che non condividono le tue opinioni?
- Hai perso la volontà di indagare attivamente sulle informazioni e sviluppare una tua opinione personale?
- Hai accettato l’esperienza dell’alienazione, privato di un luogo a cui senti di appartenere?
- Sei rimasto affascinato dalle infinite promesse della società dei consumi?
- Hai abbandonato le tue scintille, come l’indignazione o la speranza o la semplice fantasia, per conformarti a una realtà grigia e senza futuro?
- Ti sei mosso inconsciamente durante la giornata, in routine prive di profondità e scopo?
- Hai vissuto tra dipendenze, incurante del tuo benessere o indifferente del benessere della tua comunità?
- Sei fuggito dalla realtà e dai contatti umani per paura di incontrare verità scomode?
Se hai collezionato qualche sì alle domande precedenti, o pensi che esse si applichino alla maggioranza dei “precedentemente esseri umani” attorno a te, allora: congratulazioni! Sei stato contagiato anche tu dal mito contemporaneo dell’apocalisse zombies. Ma non temere: non è certo troppo tardi. Per trovare un rimedio basta comprendere il può possibile la situazione e per farlo in modo divertente basta analizzare quali sono le caratteristiche principali degli zombies. Eccole:
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Gli Zombies non parlano: fanno versi ma non hanno linguaggio. Probabilmente non hanno niente da dire o da comunicare, comunicando in questo modo la loro stessa vuotezza e mancanza di intelligibilità.
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Gli zombies sono “comunitari” ma privi di una capacità narrativa che gli permetta di seguire scopi comuni. Essi possiedono ancora la parvenza strutturale ed organizzativa della cultura comunitaria ma ne rappresentano una versione andata a male, priva di direzione. Si, essi sono in compagnia l’uno dell’altro ma non sono veramente assieme. Sono circondati gli uni dagli altri, ma sono fondamentalmente soli in quanto mancano di una cultura comune che li connetti.
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Gli zombies sono senza casa. Essi vanno alla deriva, non hanno proprietà privata e non appartengono veramente ad un luogo: vagano come estranei privi di una casa.
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Gli zombies mangiano cervelli senza sosta. Il loro appetito è senza fondo, puro consumismo insaziabile che ricorda le dipendenze. Il desiderio come pozzo senza fondo rappresenta la natura stessa degli zombies, la loro forza motrice. Divorando cervelli, essi divorano la cultura stessa, l’intelligibilità.
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Gli zombies sono brutti: spesso descritti come marci, puzzolenti e senza segni vitali, sono privi di qualunque forma di profondità o scintilla vitali. Non vi è proprio nulla sotto le apparenze. Essi rappresentano la bruttezza ad immagine umana: qualcosa di disumano in forma umana che abortisce qualsiasi sentimento umano sul nascere. Essi rappresentano la fine stessa dell’umanità.
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Gli zombies non sono malvagi: essi sono sì guidati dal desiderio di consumare e soddisfare la proprio dipendenza di cervelli, ma lo fanno pur sempre senza consapevolezza del male che ciò comporta, inconsapevoli nel loro agire.
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Gli zombies sono incuranti di sé stessi: non si preoccupano di difendersi dai danni; non sono in alcun modo connessi con la propria sopravvivenza. Nel perseguimento del consumo, essi distruggono sé stessi.
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Gli zombies sono intoccabili: hanno il 100% di contagio da contatto e quindi siamo certi di non volerci avvicinare in alcun modo. La metafora del tocco si riferisce tanto alla sfera dell’intimità, e quindi alla sua riduzione, ma anche alla stessa connessione con la realtà. Si dice di fatto di “essere in contatto” con la realtà quando si percepisce qualcosa di vero.
Secondo John Vervaeke, come spiega nel suo libro “Zombies in Western Culture – A Twenty-First Century Crisis“, questo lavoro può aiutarci a capire cosa ha contribuito e sta contribuendo alla mancanza di visione e significato nelle nostre vite. [1]
Il mito degli zombies vuole fare luce su una fase critica della storia umana, nella quale si sta perdendo la capacità di distinguere ciò che è reale. Una fase storica in cui gli umani stanno diventando privi delle caratteristiche stesse che li rendono umani: l’intellegibilità, la capacità di connettersi (sia con gli altri che con la realtà) e l’interiorità. Senza queste caratteristiche, è vero che siamo rovinati.
In questo periodo di transizione, il silenzio e l’accettazione del grottesco sono i nostri peggiori nemici, dei veri e propri mostri [2] che spezzano ogni possibilità tanto alla democrazia, basata sul dialogo, quanto alla giustizia, basata sul senso comune.
Un’altra caratteristica molto attuale presente nelle apocalissi zombies è la loro narrazione anti-tragica. Esse ci immergono in una storia, ma ci negano una sua chiusura: di solito la trama inizia e finisce esattamente con la stessa calamità in atto, semplicemente vista da una prospettiva più ampia. All’inizio fa sperare per la sopravvivenza dei pochi umani rimasti ma pian piano tale speranza viene soffocata dall’immensità della calamità. Ciò fa chiaramente da specchio alla più profonda disperazione, quella legata all’impotenza, alla consapevolezza di ciò che sta accadendo ma all’impossibilità di fare nulla al riguardo.
Tale sentimento di condanna inevitabile è forse il sentimento oggigiorno più pericoloso ma persino quello più diffuso, spesso travestito da indifferenza o distacco. È pericoloso perché ci fa giocare il ruolo di vittime compiacenti e istiga la nostra apatia ed arrendevolezza. È proprio questo sentimento che sta dando vita a zombie reali, in carne ed ossa, che vivono tra noi.
È pericoloso perché ci fa dimenticare che ci sono alternative. Le alternative hanno come unici limiti la fantasia e la capacità di organizzarsi. Cosa ci impedisce di renderci più autonomi ed organizzarci con altre persone in comunità monetarie indipendenti? Cosa ci impedisce di attuare la disobbedienza civile nei confronti di decisioni politiche ingiuste?
Ci sono sempre alternative. Anche in fasi storiche in cui il potere dei fenomeni mostruosi sembra schiacciante. Ci sono sempre alternative. [2]
Di Lea Ghisalberti per ComeDonChisciotte.org
03.04.2023
Lea Ghisalberti. Ricercatrice per passione e professione. Stanca del monopolio ideologico che la mentalità del profitto sta creando grazie ad ipocrisie, ingiustizie e distrazioni.
NOTE
[1] https://books.openbookpublishers.com/10.11647/obp.0113.pdf
[2] Portavoce del Consigliere Federale Svizzero Alain Berset. Il 18 ottobre 2021. Università di Zurigo: https://www.edi.admin.ch/edi/de/home/dokumentation/reden.msg-id-85623.html