La monarchia appartiene alla pattumiera della storia

Nessuna istituzione contribuisce a oscurare i crimini dell'impero e a sostenere il dominio di classe con la stessa efficacia della monarchia britannica

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Chris Hedges
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La servile adulazione per la Regina Elisabetta negli Stati Uniti (un Paese che ha combattuto una rivoluzione per sbarazzarsi della monarchia) e in Gran Bretagna è direttamente proporzionale alla paura che attanaglia un’élite dominante globale screditata, incompetente e corrotta.

Gli oligarchi globali non sono sicuri che la prossima generazione di burattini reali – mediocrità che includono un principe pedofilo e suo fratello, un re eccentrico e scorbutico che ha accettato valigie e borse piene di 3,2 milioni di dollari in contanti dall’ex primo ministro del Qatar, lo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, e che ha milioni nascosti in conti offshore – sia all’altezza del compito. Speriamo che abbiano ragione.

Avere una monarchia accanto è un po’ come avere un vicino di casa appassionato di clown, che ha imbrattato la casa con murales sui clown, espone in ogni finestra bambole di clown e ha un desiderio insaziabile di sentir parlare e discutere di notizie relative ai clown,” aveva scritto l’anno scorso Patrick Freyne sull’Irish Times. “Più specificamente, per gli Irlandesi è come avere un vicino di casa appassionato di clown e, in più, il proprio nonno assassinato da un clown.”

La monarchia oscura i crimini dell’impero e li ammanta nella nostalgia. Esalta la supremazia bianca e la gerarchia razziale. Giustifica il dominio di classe. Sostiene un sistema economico e sociale che scarta e spesso manda a morte coloro che sono considerati di razza inferiore, la maggior parte dei quali sono persone di colore. Il marito della regina, il principe Filippo, morto nel 2021, era noto per le sue osservazioni razziste e sessiste, che la stampa britannica educatamente giustificava come “gaffe.” Ad esempio, nel 1986, durante una visita [in Cina], aveva descritto Pechino come “orribile” e detto agli studenti britannici: “Se resterete qui ancora a lungo diventerete tutti con gli occhi a mandorla.”

Le grida dei milioni di vittime dell’impero; le migliaia di persone uccise, torturate, violentate e imprigionate durante la ribellione dei Mau Mau in Kenya, i 13 civili irlandesi uccisi nella “domenica di sangue,” gli oltre 4.100 bambini delle Prime Nazioni morti o scomparsi nei collegi canadesi, istituzioni create e sponsorizzate dal governo per “assimilare” i bambini indigeni alla cultura euro-canadese, e le centinaia di migliaia di persone uccise durante l’invasione e l’occupazione dell’Iraq e dell’Afghanistan sono sommerse dagli applausi per i cortei reali e dall’aura sacrale che una stampa ossequiosa tesse intorno all’aristocrazia. I servizi stampa sulla morte della regina sono talmente vuoti e noiosi – la BBC aveva lanciato un allarme stampa sabato, quando il principe Harry e il principe William, accompagnati dalle loro mogli, avevano ispezionato gli omaggi floreali alla nonna esposti fuori dal castello di Windsor – che la stampa potrebbe anche farseli scrivere dai creatori di miti e dai pubblicisti impiegati dalla famiglia reale.

I reali sono oligarchi. Sono i custodi della loro classe. I più grandi proprietari terrieri del mondo includono Re Mohammed VI del Marocco con 176 milioni di acri, la Santa Chiesa Cattolica Romana con 177 milioni di acri, gli eredi di Re Abdullah dell’Arabia Saudita con 531 milioni di acri ed ora Re Carlo III con 6,6 miliardi di acri di terra. I monarchi britannici valgono quasi 28 miliardi di dollari. Nei prossimi due anni, il pubblico britannico fornirà un sussidio di 33 milioni di dollari alla corte reale, anche se nel Regno Unito la famiglia media ha visto il suo reddito ridursi per il periodo più lungo fin da quando erano iniziate le registrazioni, nel 1955, e 227.000 famiglie sono senza casa in Gran Bretagna.

Per la classe dirigente, i reali valgono la spesa. Sono strumenti efficaci di sottomissione. Dopo la morte della regina, i lavoratori delle poste e delle ferrovie britanniche hanno annullato gli scioperi programmati sul salario e le condizioni di lavoro. Il Congresso delle Trade Unions (TUC) ha rinviato i lavori. I membri del Partito Laburista hanno reso un sentito omaggio. Persino Extinction Rebellion, che dovrebbe saperne di più, ha annullato a tempo indeterminato il suo previsto “Festival della Resistenza.” Clive Myrie della BBC ha definito “insignificante” la crisi energetica della Gran Bretagna – causata dalla guerra in Ucraina (che ha gettato milioni di persone in gravi difficoltà finanziarie) rispetto alle preoccupazioni per la salute della regina. L’emergenza climatica, la pandemia, la follia mortale della guerra per procura degli Stati Uniti e della NATO in Ucraina, l’impennata dell’inflazione, l’ascesa dei movimenti neofascisti e l’aggravarsi delle disuguaglianze sociali saranno ignorati, mentre la stampa vomita floridi encomi al dominio di classe. Ci saranno 10 giorni di lutto ufficiale.

Nel 1953, il governo di Sua Maestà aveva inviato tre navi da guerra, insieme a 700 soldati, nella colonia della Guyana britannica, sospeso la costituzione e rovesciato il governo democraticamente eletto di Cheddi Jagan. Il governo di Sua Maestà aveva favorito e sostenuto a lungo il governo dell’apartheid in Sudafrica. Dal 1952 al 1960, il governo di Sua Maestà aveva represso selvaggiamente il movimento indipendentista dei Mau Mau in Kenya, radunando 1,5 milioni di Kenioti in campi di concentramento, dove molti erano stati torturati. I soldati britannici avevano castrato sospetti, ribelli e simpatizzanti, spesso con le pinze, e violentato ragazze e donne. Il governo di Sua Maestà aveva ereditato una ricchezza impressionante dai 45.000 miliardi di dollari che la Gran Bretagna aveva saccheggiato dall’India, ricchezza accumulata schiacciando con la violenza una serie di rivolte, tra cui la Prima Guerra d’Indipendenza del 1857. Dal 1955 al 1959 il governo di Sua Maestà aveva condotto una sporca guerra per stroncare la ribellione indipendentista greco-cipriota e, successivamente, nello Yemen, dal 1962 al 1969. Torture, omicidi extragiudiziali, impiccagioni pubbliche ed esecuzioni di massa da parte degli Inglesi erano una routine. A seguito di una lunga causa, il governo britannico aveva accettato di pagare quasi 20 milioni di sterline di danni ad oltre 5.000 vittime di abusi britannici durante la guerra in Kenya e, nel 2019, era stato effettuato un altro pagamento ai sopravvissuti alle torture del conflitto a Cipro. Lo Stato britannico cerca di ostacolare le cause legali derivanti dalla sua storia coloniale. I suoi risarcimenti sono una minuscola frazione di quelli versati ai proprietari di schiavi britannici nel 1835, quando era stata abolita – almeno formalmente – la schiavitù.

Durante i suoi 70 anni di regno, la regina non ha mai offerto scuse o chiesto risarcimenti.

Lo scopo della gerarchia sociale e dell’aristocrazia è quello di mantenere un sistema di classi che faccia sentire inferiore il resto dell’umanità. Chi è in cima alla gerarchia sociale distribuisce gettoni per il servizio reso, tra cui l’Ordine dell’Impero Britannico (OBE). La monarchia è il fondamento del dominio ereditario e della ricchezza ereditata. Questo sistema di caste si estende dalla Casa di Windsor, con simpatie naziste, agli organi di sicurezza dello Stato e alle forze armate. Regolamenta la società e mantiene le persone, soprattutto i poveri e la classe operaia, al loro “giusto” posto.

La classe dirigente britannica per proiettare una presenza globale si aggrappa alla mistica dei reali e a icone culturali in via di estinzione, come James Bond, i Beatles e la BBC, insieme a programmi televisivi come “Downton Abbey,” dove, nella versione cinematografica del 2019, gli aristocratici e la servitù sono in febbrile attesa della visita programmata di Re Giorgio V e della Regina Mary [Maria di Teck]. Il busto di Winston Churchill è ancora in prestito alla Casa Bianca. Queste macchine del mito sostengono la relazione “speciale” della Gran Bretagna con gli Stati Uniti. Guardate il film satirico “In the Loop” per farvi un’idea di come sia all’interno questo rapporto “speciale.”

Solo a partire dagli anni ’60 gli “immigrati di colore o stranieri” avevano potuto lavorare in ruoli impiegatizi nella casa reale, anche se prima venivano assunti come domestici. La casa reale e i suoi capi sono legalmente esenti dalle leggi che impediscono la discriminazione razziale e sessuale, ciò che Jonathan Cook definisce “un sistema di apartheid che va a vantaggio della sola famiglia reale.” Meghan Markle, che è di razza mista e che aveva contemplato il suicidio durante il periodo in cui era working royal [un membro della famiglia reale che rappresenta la Regina negli impegni ufficiali, N.D.T.], aveva detto che un reale, di cui non aveva fatto il nome, si era detto preoccupato per il colore della pelle di suo figlio, non ancora nato.

Avevo avuto un assaggio di questo snobismo soffocante nel 2014, quando avevo partecipato ad un incontro della Oxford Union, il cui tema era se Edward Snowden fosse un eroe o un traditore. Ero arrivato un giorno prima per essere preparato al dibattito da Julian Assange, allora rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana e, attualmente, nella prigione di Sua Maestà, a Belmarsh. Durante la lugubre cena in smoking che aveva preceduto l’evento, ero seduto accanto ad un ex parlamentare che mi aveva posto in successione due domande che non mi erano mai state fatte prima. “Quando era arrivata in America la sua famiglia?” aveva chiesto, seguito da “quali scuole ha frequentato?” I miei antenati, da entrambi i lati della mia famiglia, erano arrivati dall’Inghilterra nel 1630. Mi sono laureato ad Harvard. Se non avessi superato il test, si sarebbe comportato come se non fossi mai esistito.

Tutti quelli che avevano partecipato al dibattito – il mio schieramento, che sosteneva che Snowden fosse un eroe, aveva vinto di misura – avevano firmato un libro degli ospiti rilegato in pelle. Prendendo la penna, avevo scarabocchiato a grandi lettere riempiendo un’intera pagina: “Non dimenticate mai che il vostro più grande filosofo politico, Thomas Paine, non aveva mai frequentato Oxford o Cambridge.”

Paine, l’autore dei saggi politici più letti del XVIII secolo, I diritti dell’uomo, L’età della ragione e Il senso comune, aveva criticato la monarchia definendola una truffa. “Un bastardo francese che sbarca con un gruppo di briganti armati e si impone come re d’Inghilterra contro il consenso degli indigeni è, in parole povere, un misero mascalzone… La verità è che l’antichità della monarchia inglese non merita di essere esaminata,” aveva scritto a proposito di Guglielmo il Conquistatore. Aveva ridicolizzato il governo ereditario. “Per la società e agli occhi di Dio vale di più un uomo onesto che tutti i mascalzoni coronati che siano mai vissuti.” E aveva proseguito: “Una delle prove naturali più strane della follia del diritto ereditario nei re è che la natura lo smentisce, altrimenti non lo metterebbe così spesso in ridicolo, dando agli uomini un asino al posto del leone.” Aveva definito il monarca “il reale bruto d’Inghilterra.”

Quando la classe dirigente britannica aveva cercato di arrestarlo, Paine era fuggito in Francia, dove era stato eletto delegato alla Convenzione Nazionale istituita dopo la Rivoluzione francese, uno dei due stranieri ad avere questo onore. Si era opposto alla richiesta di giustiziare Luigi XVI. “Chi vuole rendere sicura la propria libertà deve proteggere dall’oppressione anche il suo nemico,” aveva affermato Paine. “Perché se viola questo dovere, stabilisce un precedente che arriverà fino a se medesimo.” Le legislature non controllate, avvertiva, potevano essere dispotiche come i monarchi non controllati. Quando era ritornato in America dalla Francia, aveva condannato la schiavitù, la ricchezza e i privilegi accumulati dalla nuova classe dirigente, tra cui George Washington, che era diventato l’uomo più ricco del Paese. Anche se Paine aveva contribuito più di chiunque altro alla ribellione del Paese e al rovesciamento della monarchia britannica, era stato trasformato in un paria, soprattutto dalla stampa, e dimenticato. Aveva esaurito la sua utilità.

Al suo funerale avevano partecipato sei persone in lutto, due delle quali di colore.

Qui potete vedere il mio intervento con Cornel West e Richard Wolff su Thomas Paine.

In molti negli Stati Uniti e in Gran Bretagna c’è il patetico desiderio di essere legati in qualche strano modo alla regalità. Gli amici bianchi britannici hanno spesso storie di antenati che li legano a qualche oscuro aristocratico. Donald Trump, che aveva creato il proprio stemma araldico, era ossessionato dall’idea di ottenere un incontro di stato con la regina. Questo desiderio di far parte del club, o di esserne avallati, è una forza potente a cui la classe dirigente non intende rinunciare, anche se l’infelice Re Carlo III, che insieme alla sua famiglia aveva trattato con disprezzo la prima moglie, Diana, ne fa scempio.

Chris Hedges

Fonte: scheerpost.com
Link: https://scheerpost.com/2022/09/12/chris-hedges-monarchs-belong-in-the-dustbin-of-history/
12.09.2022
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

 

Chris Hedges è un giornalista vincitore del Premio Pulitzer. È stato corrispondente estero per quindici anni per il New York Times, dove ha ricoperto il ruolo di Middle East Bureau Chief e Balkan Bureau Chief per il giornale. In precedenza aveva lavorato all’estero per il Dallas Morning News, il Christian Science Monitor e la NPR. È il conduttore del programma The Chris Hedges Report.

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