Di Belisario
Dopo la condanna al pagamento di 355 milioni di danni (per una “frode” curiosamente priva di un soggetto frodato) da parte del Tribunale Civile di New York, negli USA si è concluso l’ignobile spettacolo del processo penale intentato dal District Attorney di Manhattan Alvin Bragg contro Donald Trump.
Il punto di partenza del “teorema” giuridico di Bragg è il pagamento di USD 130.000, asseritamente effettuato da Trump alla pornostar Stormy Daniels per garantirne il silenzio, ma camuffato come retribuzione rateizzata dei servizi dell’ Avv. Michel Cohen.
Normalmente, si tratterebbe di una falsificazione di un business record, per lo Stato di New York un misdemeanor punibile con una mera sanzione amministrativa – salvo che la falsificazione non costituisca prova o mezzo della commissione di altri reati.
E su quali sarebbero i reati compiuti attraverso la falsificazione del titolo del pagamento, il District Attorney Alvin Bragg non ha mai avuto certezze, ma diverse elaboratissime ipotesi, alternative o cumulative: dalla frode fiscale alla violazione delle leggi sul finanziamento elettorale, fino all’appropriazione indebita per uso personale da parte di Trump di fondi donati a scopi politici. Un bel menu à la carte, della serie: scegliete il reato che più vi aggrada.
Sul piano giuridico, le ipotesi alternative di Bragg sono state demolite come astruse e improbabii da diversi editoriali in prima pagina della redazione del Wall Street Journal (1); non per nulla il presunto pagamento alla pornostar – noto da anni agli inquirenti – non era mai stato ritenuto un presupposto sufficiente per un procedimento penale, nè dalla giurisdizione federale USA e né dal precedente DA di Manhattan, Cyrus Vance.
In sintesi, anche per la redazione del Wall Street Journal – che non ha mai sostenuto Donald Trump – il processo è sempre stato innanzitutto una evidente interferenza nelle elezioni presidenziali di novembre 2024: per la sua intera durata, infatti, Trump è stato costretto nell’aula del tribunale di New York, invece che impegnato nella campagna elettorale.
Ma soprattutto, per il Wall Street Journal il processo è sempre stato una azione di persecuzione politica. E il verdetto è stato affidato ad una giuria popolare di Manhattan, area a stragrande maggioranza democratica (85%-15%).
Sia la persecuzione politica che l’interferenza nelle elezioni presidenziali non finiscono con il DA Alvin Bragg – aiutato dal DA Matthew Colangelo, che fino al 2022 era il numero 3 del Dipartimento di Giustizia guidato dall’ USA Attorney General Merrick Garland.
Infatti, il giudice di Manhattan Juan Merchan, figlio di immigrati colombiani, ha sposato in pieno l’oscena linea Bragg, chiedendo alla giuria popolare di esprimersi solo sulla falsificazione, ossia su un misdemeanor, senza necessità alcuna di concordare sull’esistenza di uno o più dei tre reati prospettati nel menù giuridico (frode fiscale, violazione legge sul finanziamento elettorale, appropriazione indebita).
Quale reato Trump avrebbe commesso attraverso il misdemeanor, lo deciderà infatti il giudice Juan Merchan!!!!
L’intera procedura, secondo il parere di decine di legali e professori universitari, rappresenta una violazione multipla dei diritti e delle garanzie costituzionali di qualunque imputato. La difesa di Donald Trump, con il sostegno di innumerevoli specialisti, ha infatti preannunciato una serie di ricorsi anche alla Corte Suprema Federale.
Come se non bastasse, il giudice Juan Merchan emetterà la sua sentenza l’ 11 luglio p.v., qualche giorno prima della convention repubblicana che nominerà Donald Trump candidato per il Partito Repubblicano!!!
Avrà il giudice di Mahattan Juan Merchan il coraggio di mettere Donald Trump in galera?
Non lo sappiamo!
Proviamo a studiare solo alcuni degli scenari possibili.
Scenario nr uno: Trump va in galera e Biden vince le elezioni – contro un candidato in galera.
Se ciò non bastasse: cosa succederebbe se dopo le elezioni Trump vincesse il processo di appello, ossia fosse assolto? Esigere l’annullamento delle elezioni non sarebbe certo una richiesta irragionevole.
Immaginiamo i toni dell’eventuale dibattito e scontro politico…….la domanda è inevitabile: perché esporre gli USA ad un simile, estremo rischio di instabilità istituzionale e politica?
Scenario nr due: Donald Trump, invece, vince le elezioni, ma mentre come Presidente potrebbe auto perdonarsi un reato federale, lo stesso non potrebbe fare per una condanna per un reato statale, quale quella di New York. Che si fa, si apre un bel conflitto di attribuzioni davanti alla Corte Suprema Federale? In teoria, una sentenza della Corte Suprema Federale potrebbe sancire l’improcedibilità della sentenza dello Stato di New York. Ma dall’altra, la competenza della giurisdizione statale di New York è temporalmente anteriore a quella federale……
Immaginiamo ancora i toni di un simile dibattito…la domanda ritorna: perché esporre gli USA ad un simile, estremo rischio di instabilità istituzionale e politica?
Tra i vari processi pendenti nei confronti di Donald Trump, quello del DA Bragg e del giudice Juan Merchan è l’unico che si concluderà con una sentenza penale prima delle elezioni di novembre, e precisamente l’11 luglio p.v.: una vera e propria spada di Damocle che continua a pendere sulla democrazia statunitense.
Ma tutta la trama dei diversi 81 capi di imputazione federali e statali pendenti su Donald Trump suona come una orchestrata persecuzione politica (2) che sta esponendo ad un gravissimo rischio la democrazia statunitense.
I rischi dell’instabilità istituzionale e politica degli USA
Il rischio di un prolungato periodo di instabilità politico-istituzionale negli USA – anche dopo le elezioni di novembre – è altissimo.
I 6 mesi che ci separano dalle elezioni appaiono estremamente delicati. Nonostante la persecuzione, i polls, infatti, continuano a dare Trump in notevole vantaggio su Biden, e specialmente negli swing States decisivi. La tentazione, estrema, di sospendere o rinviare le elezioni presidenziali USA a causa di uno stato di allerta o di crisi internazionale, non può essere completamente esclusa – è quello che “nel suo piccolo” ha fatto Zelensky, sospendendo le elezioni presidenziali ucraine; e meno che mai può essere esclusa la tentazione di impattare in modo decisivo sull’opinione pubblica statunitense attraverso una nuova crisi internazionale, ossia una degenerazione dei conflitti in corso: la guerra russo-ucraina e la guerra a Gaza.
Ora, se la guerra russo-ucraina potrebbe continuare in uno stallo, la guerra a Gaza, dopo il noto scambio bellico diretto tra Israele e Iran – scatenato, attenzione, da Israele – appare molto più esposta a sviluppi negativi. E l’attore centrale della guerra è Israele: procederà o no all’ulteriore sterminio e deportazione biblica di Rafah? Nell’ipotesi positiva, che impatto negativo avrebbe sulle già deboli chances di rielezione di Biden?
Israele: l’ulteriore spada di Damocle sulle elezioni statunitensi
Dopo l’imprevisto attacco di Hamas, Israele, approfittando della debolezza degli USA, dell’ Occidente e della Russia, sembra intenzionato a risolvere il problema di Gaza e della Palestina una volta per tutte, ossia con uno sterminio e deportazione biblica della popolazione palestinese.
Per la lobby neoglobalista che controlla sia la Presidenza Biden che la Commissione UE, l’azione di Israele rappresenta una variabile assolutamente indesiderata: la priorità nr 1 è infatti impedire a tutti i costi un’altra Presidenza Trump – come evidente dalla persecuzione in corso – e l’azione di Israele la mette certamente a rischio.
La Presidenza Biden, a 6 mesi dalle elezioni e sotto la crescente, massiccia contestazione dell’ala sinistra del Partito Democratico, appare indecisa ed imbelle: da una parte dichiara di opporsi all’ulteriore sterminio e deportazione della popolazione palestinese, ma dall’altra continua ad assicurare ad Israele la vitale fornitura USA di armamenti ed esplosivi.
Nell’attuale scenario, Israele è quindi nelle condizioni di poter esercitare un’influenza molto rilevante sulle elezioni presidenziali di novembre. Nell’ottica elettorale statunitense, l’ulteriore sterminio e deportazione biblica di Rafah rischierebbe di affossare Biden.
Le elezioni politiche statunitensi del novembre 2024 – senza dubbio tra le più importanti del dopoguerra – e la stessa democrazia statunitense sono quindi esposte a due contemporanee spade di Damocle: la persecuzione politica di Donald Trump e le scelte del Governo israeliano.
La nullità politica totale dell’ Europa e dell’ Unione Europea
La Commissione UE e la maggioranza dei Governi europei, terrorizzati dalla prospettiva del neo isolazionismo e neo protezionismo di Trump, sostengono chiaramente Biden e si limitano ad assistere, mentre i media mainstream europei cercano di svilire la persecuzione nella categoria falsa, ignorante e neo qualunquista delle “beghe giudiziarie di Trump”.
In sintesi, la democrazia è sotto attacco negli USA, ma la Commissione UE ed i Governi europei non hanno alcunchè da opinare.
Nessuno che si azzardi nemmeno ad “esprimere preoccupazione”, secondo una delle formulazioni diplomatiche più morbide dei “passi formali” che anche la Commissione UE peraltro effettua sistematicamente in decine di Paesi su varie tematiche, dai diritti umani e politici al global warming e i diritti degli Lgbt.
Un silenzio francamente agghiacciante, sia da parte dei Governi europei che a maggior ragione di un organismo – la Commissione UE – sempre con il ditino alzato urbi et orbi nel raccomandare un determinato set di valori. Cosa implica la logica di tale silenzio? La persecuzione di Trump è un dato di fatto indiscutibile, ed ugualmente l’alto rischio al quale espone la democrazia statunitense.
Parimenti agghiacciante è la posizione europea su Israele e Gaza, letteralmente a rimorchio di quella degli USA di Biden. Solo qualche Paese europeo (Irlanda, Portogallo, Spagna) aveva sostenuto le prime, vitali risoluzioni dell’ONU sulla sospensione delle ostilità, ed ha recentemente riconosciuto lo Stato Palestinese.
La Presidente della Commissione Albrecht VDL ha fin dall’inizio ribadito – andando nuovamente ben oltre il suo mandato istituzionale – la massima solidarietà ad Israele, in osceno contrasto con l’aggressivo lirismo delle sue ripetute e urlate denunce delle vittime civili in Ucraina. In sintesi, l’azione diplomatica dei Governi europei e della Commissione UE ha natura meramente osservativa e di supporto di quella degli USA di Biden.
L’Europa – i Paesi Europei e la Commissione UE – non ha la volontà di esercitare alcuna reale pressione su Israele; a rimorchio degli USA di Biden, l’Europa si limita ad osservare lo scenario, in attesa delle decisioni israeliane.
Il neoglobalismo ed il crescente GAP tra opinioni pubbliche e Governi in Occidente
La persecuzione da parte della lobby neoglobal di Donald Trump rappresenta un affronto diretto nei confronti del 53-55% dell’elettorato statunitense, ossia – secondo i polls – della maggioranza, o almeno circa la metà dell’elettorato statunitense.
In Europa, ripetuti polls hanno attestato che la maggioranza degli Europei è contraria alla politica di armamento dell’ Ucraina – ma tale politica non solo continua, ma è stata recentemente intensificata.
Sempre in Europa, è ragionevolmente deducibile che la maggioranza degli Europei sia contraria all’ulteriore sterminio e deportazione biblica di Rafah – ma i Governi europei e la Commissione UE non alzano un dito.
Ci si domanda: dove sta finendo la democrazia occidentale? Perché i Governi occidentali riflettono e rispettano sempre meno le loro opinioni pubbliche?
La risposta è una sola: benvenuti nel regno del neoglobalismo e del set di valori neoglobal imposto dalla lobby che governa l’Occidente: i Dem USA e la Commissione UE, da loro occupata a partire dalla Presidenza Obama.
La dottrina neoglobalista mira ad un nuovo ordine internazionale nel quale anche i Governi democraticamente eletti dal popolo devono sottostare ad un determinato set di valori, pena la loro esclusione dal cd contesto civile occidentale. Qualunque esponente politico o Governo occidentale sia sospetto di o si azzardi a contestare anche una parte di tale set di valori, viene infatti immediatamente attaccato e linciato a livello mediatico, e nei casi più gravi, perseguitato a livello giudiziario: è un fenomeno da decenni sotto gli occhi di tutti (Haider, Le Pen, Berlusconi, Orban, Trump).
Il percorso verso la restrizione dei poteri dei Governi nazionali democraticamente eletti è giunto al culmine in Europa, attraverso l’immenso potere conferito alla Commissione UE, il Governo europeo eletto da nessuno: siamo ormai arrivati ad un regime autorizzativo preventivo, perfino sulla spesa e sui bilanci pubblici dei Paesi Membri dell’ UE.
Conseguentemente, i dibattiti sulle grandi scelte e sulle grandi questioni non appartengono più alle comunità nazionali ed ai relativi Parlamenti nazionali: avvengono nei corridoi di Bruxelles, ben cammuffati dalla parodia pubblica delle pseudo sessioni del pseudo Parlamento Europeo (un “Parlamento” che non ha nemmeno il potere d’iniziativa legislativa, attribuito alla Commissione).
Il risultato inequivocabile è un GAP evidente di democrazia e partecipazione democratica. Chiunque voglia azzardarsi a negare tale GAP è pregato di ricordare i livelli di mobilitazione e dibattito civile e politico – tanto nelle opinioni pubbliche che nei Parlamenti nazionali europei – verificatosi negli anni 80 sulla questione dello schieramento degli Euromissili da parte della NATO.
E provare a compararlo con il livello di dibattito attuale, su scelte ugualmente se non maggiormente importanti, quali la politica di sostegno e armamento dell’ Ucraina e la politica di sostegno ad Israele.
Nelle scuole e nelle università occidentali si continua allegramente ad insegnare il faticoso e radioso percorso evolutivo e progressista della democrazia occidentale – dalla Magna Carta alle rivoluzioni inglese, francese e americana, fino alla sconfitta dei regimi fascisti nella WW2 ed al crollo del comunismo – verso Governi democraticamente eletti dai popoli e responsabili verso i loro popoli.
Peccato che tale radioso percorso in Europa si sia invertito nel 1993, con l’approvazione del trattato di Maastricht, più i trattati di Lisbona e Nizza, ed il conferimento alla Commissione UE (e con l’adozione dell’ Euro alla BCE) di una concentrazione di poteri inaccettabile e sempre più incompatibile con la democrazia e la sovranità nazionale.
Negli USA – attenzione – non è accaduto nulla di tutto questo: mentre noi Europei votiamo per l’equivalente di Governi regionali, sottomessi al Governo imperiale della Commissione UE, gli Americani votano ancora per il loro Governo Federale: la persecuzione di Donald Trump e l’attacco alla democrazia americana rappresenta in ultima istanza un attacco devastante alla democrazia occidentale. E se passerà un simile attacco negli USA, le conseguenze saranno inevitabilmente gravissime anche in Europa.
Non resta che attendere le elezioni USA
Donald Trump, che durante la sua Presidenza è stato impeached ben due volte sotto la falsa accusa di un accordo con Putin, e che si oppone a tale visione guerrafondaia, è a rischio di condanna al carcere, mentre sia i Dem USA che la Commissione UE e i Governi europei, nel terrore della sua possibile vittoria, hanno recentemente aumentato gli armamenti all’ Ucraina, fino ad autorizzarne l’utilizzo in territorio russo.
Ci vuole tanto a capire che per cercare di mantenere la supremazia planetaria messa in discussione dall’ascesa della Cina, la lobby neoglobalista che controlla gli USA e la Commissione UE sta andando diritta verso la guerra con la Russia? Intanto, è appena iniziata la destabilizzazione della Georgia…….
Possibile non notare che nella Nato e in Europa, un numero sempre più alto di psicopatici criminali ritiene di fatto possibile una guerra convenzionale contro la Russia? Eppure le vittime sarebbero rapidamente centinaia di migliaia, anche senza le armi nucleari.
I popoli europei sembrano sprofondati in una sorta di sonnambulismo, simile a quelli pre WW1 e WW2. Il probabile aumento delle forze anti UE e anti globaliste nelle imminenti elezioni UE non potrà cambiare molto, perché tali forze resteranno una minoranza e non potranno impattare sensibilmente né su un EuroParlamento privo perfino del potere di iniziativa legislativa e ne’ sulla formazione della nuova Commissione, rimessa principalmente alle decisioni del Consiglio Europeo, ossia degli attuali Governi europei (3).
Triste ma vero: non resta che attendere le elezioni USA, sperando che nel frattempo qualcuno non faccia saltare il banco.
Di Belisario
04.06. 2024
NOTE
(1) Alvin Bragg Hasn’t Proved His Case in the Trump Trial – WSJ
(3) Secondo i trattati, il candidato a guidare la nuova Commissione viene proposto da una decisione del Consiglio Europeo – ossia dagli attuali Governi – a maggioranza qualificata del 55% degli Stati Membri e del 65% della popolazione dell’UE.
Il candidato alla guida della Commissione deve poi ricevere solo l’approvazione a maggioranza assoluta del Parlamento Europeo, che alla fine deve anche approvare l’intera Commissione di 27 Commissari.