di Aníbal Malvar – Público – 6.1.2021;
Se nella vecchia Europa e nella Grande America godiamo di una qualche indiscutibile virtù questa è la nostra beata ingenuità a credere alla nostra stessa propaganda. Siamo giornalisti talmente bravi che ci inganniamo da soli, vendiamo epidemie marcate Eau de Démocratie e viviamo e moriamo pieni di orgoglio, appestando spudoratamente altri esseri umani, animali e vegetali. Non posso pensare in modo meno furioso a noi stessi quando sento il nome di Julian Assange, quando vedo il volto sfigurato e alienato di Julian Assange.
Ma in questo caso non si tratta di mettere gocce di plutonio arricchito nel caffellatte; con il permesso di Eduardo Inda (*) abbiamo assassinato il più importante giornalista del XXI secolo con metodi più lenti, crudeli e inquisitori. L’Inquisizione, cari amici, non è morta. Quello che succede è che ora, invece di torturare, bruciare e uccidere in nome di Dio, lo si fa in nome della democrazia.
Abbiamo assassinato Julian Assange, come Galileo, per averci mostrato che la terra gira intorno al sole, che siamo meno democratici dei farisei, che uccidiamo i bambini per divertimento, da aerei dotati di schermi tipo Nintendo, che ci spiamo e boicottiamo tra paesi che si suppone siano alleati, siamo crudeli bugiardi dalle gambe corte e con una carta dei diritti umani che equivale alla lettera a Babbo Natale (**): una fandonia.
Tutto questo lo sapevamo già grazie a film, libri e alcuni (pochi) giornali. Vederlo però nella realtà, rinunciando al patto di finzione che tanto ci rassicura, non lo potevamo sopportare.
Specchio, specchio, come diceva la strega di Biancaneve. Così abbiamo deciso di uccidere Rosencrantz e Guildenstern, e oggi Julian Assange è solo un morto che respira. Abbiamo ucciso il messaggero come se ciò potesse cancellarne il messaggio.
La ormai santificata Angela Merkel è il paradigma di questo autoinganno costante e con vittime reali. I documenti di Wikileaks provano che era stata oggetto di spionaggio. Inoltre, che gli Stati Uniti si infiltrarono nelle sue riunioni confidenziali, nei suoi vertici presidenziali e sicuramente nella sua camera da letto (***). Ma la cancelliera tedesca, una vittima, non ha pronunciato una parola in difesa della libertà di colui che le rivelò la verità. Saranno pure dei bastardi, ma sono i nostri bastardi. La frase di Franklin Delano Roosevelt ci descrive splendidamente.
I processi farsa contro Julian Assange hanno sempre più confermato la veridicità delle sue indagini giornalistiche. Hanno ribadito che ha ottenuto tutte le informazioni attenendosi a qualsiasi codice deontologico. Hanno persino smontato in modo inequivocabile quelle denunce di stupro in cui non c’erano mai state le vittime querelanti, l’ultima piroetta legale architettata dal governo vassallo svedese.
Come se non bastasse hanno messo in moto i più costosi macchinari hollywoodiani per macchiare la figura del giornalista più perseguitato del XXI secolo (con il permesso, sempre, di Eduardo Inda). Il film “Il quinto potere” è un racconto ingannevole che ritrae Assange come una sorta di egocentrico maniaco senza scrupoli, infantile ed incapace di amare, antidemocratico e depresso. Il giorno in cui l’ho visto, tutta la mia ammirazione per l’attore Benedict Cumberbatch è finita nel cesso. Nessun artista degno di questo nome accetterebbe mai di partecipare a quella spazzatura, in cui le caratterizzazioni deformanti si sovrappongono a ciò che è veramente importante: lo storico e intramontabile messaggio che Assange e i suoi collaboratori ci hanno lasciato. Non mi stupisce che la Dreamworks abbia scelto il regista Bill Condon (****) per questo film, poiché è un film concepito come profilattico cinematografico per proteggerci da gravidanze di verità indesiderate.
Non mi resta che parlare dei giornalisti, di quel giornalismo che non ha fermato le rotative in onore del più coraggioso dei nostri compagni. Tutti noi che ci dedichiamo a questo sappiamo che la libertà di espressione nei nostri paradisi democratici ha dei limiti economici, giudiziari e persino estetici. In altre parole, non è una vera libertà. Ma, con Assange, ci stanno intimorendo ed insultando. Già sappiamo fin dove possiamo spingerci nello sforzo di raccontare la verità in Europa e negli Stati Uniti. E, a quanto vedo, continuiamo a non fare nulla di incisivo. Anche se siamo sottopagati, si sta più caldi nella casa del giornalista che nella cella disumana dove teniamo chiuso Assange. Sì: anche noi giornalisti lo teniamo prigioniero. Viva la democrazia, e viva l’Inquisizione, che paga i nostri conti e le nostre miserie.
Link: https://blogs.publico.es/rosa-espinas/
Traduzione di Ivana Suerra per ComeDonChisciotte
Note:
(*) Noto giornalista spagnolo.
(**) Il testo originale ha “los magos zoroástricos de oriente”, cioè i Re Magi; infatti “Los Reyes” è l’equivalente ispanico della nostra Epifania.
(***) Il testo originale ha semplicemente “cama”, cioè letto (camera da letto è “dormitorio”) ma, insomma…, siamo seri.
(****) In spagnolo “condón”, profilattico.