Ippopotami

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di Nestor Halak
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Qualche volta mi viene da riflettere sul destino della mia generazione, noi che avevamo pochi anni nel 1968, e dodici anni sembrano pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più, direbbe De Gregori. Avevamo tutta la vita davanti, ed era una vita facile, in continuo miglioramento, non per nulla eravamo la meglio gioventù del primo mondo, sdolcinata, lisergica e progressista ed il futuro era nostro: lo dicevano tutti. Eravamo cresciuti in quell’atmosfera di mini minor e mini gonne dove niente poteva peggiorare e i figli erano più ricchi ed evoluti dei padri ed i nipoti sarebbero stati più ricchi ed evoluti ancora. Noi il 68 non l’abbiamo fatto: ci siamo cresciuti dentro. Ne abbiamo ricavato una sorta di imprinting.

Ricordo la mia classe di liceo. I più ambiziosi sono diventati pezzi grossi, i più pigri, dopo qualche viaggio-studio a Londra, ufficialmente per imparar la lingua, meglio se in autostop ,  si sono accontentati di qualche lavoro improbabile (purché pagato s’intende), preferibilmente un sine cura in qualche noiosa gerarchia, ma sempre ben sicuri del loro diritto, certi delle meravigliose sorti e progressive che gli si aprivano davanti, immuni dal bisogno e affrancati dalla contingenza, rampolli dell’Europa in giro per i boulevards. Quand’era Europa. Letargica e benestante come la Germania di Bonn. Ve la ricordate la ostpolitik? Willi Brandt? Ve lo ricordate inginocchiato ad Auschwitz? E come eravamo fichi viaggiando oltrecortina con pochi danari in tasca sulle nostre Dyane colorate. Oggi le auto vanno dal bianco al nero: cento sfumature di grigio. Agli americani, poveracci, poteva capitare di essere spediti a far la guerra in Vietnam o di indebitarsi per studiare, ma a noi, che avevamo più chilometri che anni, era richiesto solo di contestare tutto, con fiero cipiglio, chi mai ci avrebbe potuti toccare?  Perciò anche quando finiva l’università, ci adeguavamo con calma, sempre un poco svogliati, alle nostre vite nuove, continuando a parlare di karma e di massimi sistemi.

Eppure già alla fine degli anni ottanta Paolino, gran paraculo, era diventato funzionario a Bruxelles,  guadagnava cifre francamente vergognose e Paolone (dottore in logica matematica, PhD all’UCLA, mica robetta eh, tutta merce fina!), se ne lamentava con invidia dato il suo stipendio da ricercatore. Molto tempo dopo, negli ahimè belanti anni venti del terzo millennio, ho provato a chiedergli, oramai professore cattedrato, cosa ne pensasse della pandemia (s’era all’inizio, ma io già non ci credevo), e lui mi ha sciorinato numeri a frotte, anche immaginari, concludendo che il “distanziamento sociale” (si era mai sentita prima questa locuzione? Comunque sia a quel punto della storia la citavano tutti), era l’unica mossa possibile. Roba da non riconoscerlo. Una volta non avrebbe mai ammesso che la pioggia poteva non essere causata dal governo. Vabbè, avrà ragione, mi sono detto, io non ho logaritmi da opporgli.

Avrei voluto chiedere anche il parere  di Patrizio, brillante avvocato di Diritto comunitario, qualunque cosa significhi, specializzato in roba come “brevetti e tutela della proprietà intellettuale e immateriale in ambito europeo”,  che si arrabattava avvocatescamente in Belgio, cinico, avventuroso e romantico, dimentico a tratti di certe vicende anni settanta, di una seduta spiritica che gli prevedeva un futuro di galeotto, di un incendio di moto a Porta Romana e del tentativo di spegnerlo col giubbotto. Si dava pena di giustificare il suo mondo, per noi alieno, con rare apparizioni da divo stile Lourdes. Per quanto mi riguarda,  sarebbe stato un parere di gran peso il suo, forse l’unico di gran peso, ma oramai non gli posso più chiedere nulla: è morto. Non si può dire che abbia realizzato il suo giovanile die young, ma certo non è sopravvissuto a se stesso, come sta accadendo a  noialtri (this is the end, the end, my only friend!).

Cristina, anche lei docente universitaria in forza di titoli, esami e raccomandazioni (se noi sei addentro alle segrete cose, manco lo sai che c’è un concorso all’università), ma anche di meriti, non dico di no, l’aveva sempre detto senza dirlo (non sarebbe stato educato), che  Patrizio sarebbe finito male (troppo eccentrico, non abbastanza normale). Se non era già morto, morirebbe, per dirla con Pavese. Ma se è per questo, tutti noi finiremo male. Certo che lui era apparso alla Madonna (motto di Carmelo Bene), ma devo ammettere che l’ultima volta che l’ho visto vivo farneticava nel suo Parkinson e gettava monete di la dalle porte per poterle attraversare. Sapete che in Belgio cucinano delle ottime cozze? Pure aveva ancora il telescopio nel su giardino di Ath, come quelle notti al quartiere in costruzione in collina, cinquant’anni prima, e non ditemi che è poco aver voglia di guardare le stelle alla sua età. Se Bocca di Rosa metteva l’amore, lui metteva la meraviglia.

Volevo dunque provare a chiedere a Paolino, quello di prima, il funzionario UE, cosa ne pensasse davvero della pandemia e dei vaccini, ma poi l’ho visto in TV con tutti i titoli alla Fantozzi: Grand. Uff.; Duca Conte; Gran Figl. De Putt. eccetera,  parlare  sornione  ad una conferenza (in inglese naturalmente), e così non ho osato. Ma in fondo, cosa mai avrebbe potuto dirmi di differente dalla Von der Layen? Forse potrei chiedere a Stefano, stanziato nelle sue evanescenti, ma periferiche,  alte sfere di gentiluomo di campagna di solida tradizione? Con uno dei vini più famosi del mondo a sostentarlo pinguemente (le palle sui vini vanno ancora molto)? Forse lui ne sa qualcosa? A domanda risponde che ha tratto gran giovamento da una cura di magnesio contro l’emicrania.  Sì, ne ho tratto giovamento anch’io. Ma cosa possiamo dire di sicuro in proposito? Siamo certi che ci sia davvero correlazione?

In una vecchia canzone Vecchioni chiamava ippopotami personaggi siffatti, gente che la sfanga comodamente, dimenticando ciò che è opportuno dimenticare e omettendo ciò che non è carino ricordare. Discendono il fiume se c’è la corrente, si stancano poco pochissimo o niente. D’inverno in montagna, d’estate in riviera, li  vedi passare vestiti da sera. Una volta gli ippopotami litigavano con le iene, ma anche quelle per loro oramai sono bestie per bene. E poi è una libera scelta e va rispettata, perché l’acqua che hanno bevuto è acqua passata.

Ippopotami, sia pure, ma cos’è questa novità di chiuderci in casa? Impedirci di viaggiare?  Costringerci a trattamenti medici pericolosi contro la nostra volontà? Vi pare bello, etico, civile? Questo non era nei patti, è un colpo basso! Da giovani volevamo fare la rivoluzione per molto meno, ma adesso che si è fatto tardi  cosa volete da noi? Pretendiamo di no, ma siamo anziani! Siamo stati a Santorini nel ‘74 ed abbiamo dormito nei sacchi a pelo in quell’aiuola al Pireo che conosciamo tutti: cosa volete dalla nostra vita? Vi aspettate che ci impressioni Burioni? Ma per carità! Sicuramente beveva vino anche lui nelle osterie di fuori porta (questa è roba di Guccini: oh quanto eravamo poetici, ma senza pudore e paura / e i vecchi imberiaghi sembravano la Letteratura). Che fa, se la tira solo perché è un “virologo” salottiero? Ma dai, di lauree ne abbiamo a iosa, sappiamo come funziona! Cristina amava tanto Mimì Metallurgico ma, alla fin della fiera, ha sposato un primario ospedaliero. Si tratta di gente che quando piscia sa quel che ha in mano.

Il tecnico della caldaia, invece, è uno che ci crede. Persino alla mascherina, intendo (e non è per nulla facile credere nella mascherina), tanto che ho dovuto metterla anch’io. Mi contraddiceva sostenendo che l’abbonamento per la revisione annuale non è solo un balzello in più, per giunta a favore di privati che probabilmente ungono qualche ruota per ottenerlo, ma serve per la sicurezza. Certo, certo, la sicurezza. Cosa non si vende oggi con la scusa della sicurezza! Cosa non si commette con la scusa della sicurezza! Il governo lavora per il nostro bene e si preoccupa per la nostra salute, certo: si vede bene. Sarà forse che è parte in causa (più il padrone della ditta più che il tecnico, direi, ma evidentemente lui non direbbe). Noi vecchi miscredenti, non gli crediamo per principio ai tecnici delle caldaie. Figuriamoci, neanche crediamo a noi stessi. Dei racconti di Stefano (il gentiluomo di campagna, grande affabulatore), usavamo dire: ma è vero, o te l’ha detto lui? Alternative inconciliabili.

No, è inutile tentare, Patrizio è morto e le sedute spiritiche non vanno più di moda, Paolino, (il funzionario UE), in grazia del mestiere, non può dirmi la verità, perciò chiedergliela non sarebbe cortese. Ma capitemi: chiudermi in casa, impedirmi di viaggiare, di andare in pizzeria, persino di prendere un caffè in un bar, impormi con legge e ricatto un “vaccino” nel migliore dei casi inutile, a me, ex primo mondo, ex meglio gioventù, a noi, che abbiamo girato l’Europa e l’America e adesso siamo stanchi, ma vi pare educazione? Cari nipotini dei fiori, bravi ippopotami, mi sa che stavolta non ce la caveremo tanto facilmente: quello che ai nostri padri è toccato in gioventù, a noi toccherà in vecchiaia. Il nostro mondo è cominciato a crollare nel 90, noi contavamo su un lungo addio, molto lungo. Patrizio ha chiuso i conti nell’agosto del 2020, proprio alla fine della sua epoca, mentre c’ero io, non lui, nel luogo dove avevo immaginato che li avrebbe chiusi. Ma in fondo trent’anni non sono pochi, una mezza vita, prima o poi doveva finire.  Adesso la frana si fa incontenibile.  Up patriots to arms enagagez-vous la musica contemporanea mi butta giù.

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