Di ACCATTONE IL CENSORE, Comedonchisciotte.org
Sono tra i fortunati che ha potuto vedere dal vivo Pierre.
L’occasione fu una fiera politica dei primi anni novanta, dove avevo fatto capolino per insopprimibile tedio, in una di quelle giornate in cui si cammina in circolo senza riuscire a evadere dal perimetro della propria angoscia. Pierre era lì e anch’egli si aggirava, attorno allo stambugio dove avrebbe dovuto leggere le carte, se qualcuno si fosse mai presentato. I capelli lunghi, la barba ispida e una disperazione limpida, distillata, che non poteva che affratellarmi. Era un viso, il suo, in grado di proferire soltanto gemiti, così lontano dal personaggio televisivo che già impersonava sulle emittenti private romane. Il Pierre sempre sopra le righe, che si esibiva in una scenografia debordante di sturalavandini e pompette per enteroclismi, con improvvisi cachinni e arrampicate della voce, tesa nello sforzo improbo di imitare per tutta la durata della trasmissione un timbro femminile.
Non era ancora la autoproclamata “Sultana” e il suo volto un campo di addestramento per chirurghi estetici alle prime armi, sul quale neanche un cerone distribuito generosamente come mani di vernice riusciva a mitigare le cicatrici.
Era nato, forse, in Algeria, la terra de “Lo straniero” di Camus, romanzo sull’indifferenza del mondo; sconosciuto il nome di battesimo, mentre quello d’arte si ispirava, probabilmente, all’omonima canzone dei Pooh, tra le prime a parlare di diversità e disagio.
E Pierre trattava la sua alterità con l’autoironia dolente di chi realmente aveva sofferto – e soffriva – la propria condizione; la sua maschera era in realtà il miglior nascondiglio per la sensibilità bruciante di un essere umano che sperimenti nei recessi dell’animo la reiezione autentica, aliena a ciniche strumentalizzazioni politiche e false ostentazioni da gay pride.
Dai piccoli – in principio – teleschermi, coi suoi lazzi imboniva quotidianamente la speranza ad un mondo che ne ha costante bisogno; capace di tenere desta l’attenzione per ore intere, come soltanto gli istrioni baciati dal talento – e che meritano miglior fortuna- sanno fare; tuttavia, chi andava oltre le apparenze coglieva nel suo sguardo gli estenuanti espedienti, l’emarginazione, la solitudine, il giorno senza sole dei circensi. Si aveva sempre l’impressione che camminasse su un filo invisibile, tirato tra perette, matterelli e vasi da notte – evocazione sui generis della ineffabile metafisica di De Chirico- cercando, in un tenero e vano equilibrismo, di non mettere un piede in fallo e precipitare nell’abisso che lo aspettava, almeno quello a braccia aperte.
Il suo zenit e insieme canto del cigno, fu quando mise a cuccia, con inedita e autorevole compostezza, l’arrogante sufficienza di Alberto Matano – fortunato contraltare e antagonista- durante una patetica e moraleggiante “inchiesta” sui compensi truffaldini e i raggiri operati dai cartomanti (tali sono le gemme del nostro coraggioso giornalismo).
Ascoltando i fasulli discorsi dei nostri senatori, nel giorno della sceneggiata della caduta di Draghi – oltre alla consapevolezza che in una terra dove non esiste il sentimento del bene comune, solo i peggiori possono fare politica – più pungente si fa la nostalgia di persone autentiche come Pierre: libere, iconoclaste, irriverenti, pure.
Il mio sogno sarebbe stato quello di proporlo come capo del governo e ottenere un plebiscito. Chissà se, vinte le remore e la timidezza, avrebbe accettato: l’Italia è ormai matura per passare dalla repubblica al Sultanato e dalla democrazia alla cartomanzia, che, in periodi di incertezza, ha almeno il vantaggio di dare qualche indicazione per il futuro.
A simbolo di partito Pierre avrebbe certamente eletto uno sturalavandini; “Facciamo pulizia” a motto universale e “Uniti per i tarocchi” nome della coalizione in grado di condurci verso fulgidi destini.
Forse non aveva doti profetiche e nei panni di Sibilla lasciava a desiderare, ma come tutte le persone acute aveva il dono di comprendere la realtà, carisma del politico di razza: il suo leitmotiv: “Se nun c’avete i soldi nun ce venite” catturava l’essenza del mondo disegnato dal liberismo e anticipava la futura riforma della Sanità.
Tra le sue ultime apparizioni pubbliche, si ricorda un raduno sciamanico sulla via Pontina. Fino alla fine a suo agio tra i rifiuti, anche umani.
In conclusione, soltanto una prece: quando utilizzate questo umile e simbolico utensile, lo sturacesso, pensate per un momento a Pierre, che avrebbe detto: “Fate questo in memoria di me”.
Di Accattone il Censore, Comedonchisciotte.org