Di Manuela Bassetti, per ComeDonChisciotte.org
Libertà! – questa è la parola, il cui grido sta riempendo le piazze di tutta Italia. Dopo un anno e mezzo dallo scoppio della crisi da Covid-19, il nostro Bel Paese sembra iniziare a uscire dallo stato di torpore in cui era avvolto. Come una creatura insonnolita che comincia a sbattere gli occhi, sollevare la testa, guardarsi attorno, ancora frastornata ma ogni secondo che passa sempre un po’ più vigile, ecco che anche l’Italia comincia a fare sentire la sua voce in merito alle restrizioni imposte a colpi di lockdown, zone colorate, obblighi vaccinali e soprattutto il famigerato green pass.
Nel corso del 2020, le voci che si sollevavano contro la gestione della cosiddetta “pandemia” da Coronavirus erano veramente poche, isolate, disperse in un oceano di persone terrorizzate, annichilite, rifugiate dietro uno strato impenetrabile di protezioni, dalla mascherina, alla visiera, fino ai guanti in lattice. Nel corso del 2020, queste poche coraggiosissime voci, tra cui quella ammirevole del dottor Mariano Amici, hanno provato a sfidare un sistema apparentemente inespugnabile, una roccaforte strenuamente sostenuta dalla propaganda martellante e soffocante del mainstream. Hanno dovuto lottare contro insulti, infamie, calunnie, minacce di denunce e di radiazioni dall’albo professionale. Hanno rischiato di perdere il lavoro e forse anche qualcosa di più, perché la Storia ci insegna che chi si schiera dalla parte della Verità e della Giustizia troppo spesso finisce per correre dei rischi molto alti.
Eppure, queste poche coraggiosissime voci non si sono piegate, ma hanno continuato a parlarci, aiutandoci a strappare il famoso velo di Maya che ci copriva gli occhi, impedendoci di vedere al di là della narrazione ufficiale, al di là dei numeri gonfiati, al di là delle autopsie negate, al di là dei protocolli di non-cura (vigile attesa e tachipirina!).
Ogni giorno queste voci ci hanno invitato a conoscere il vero volto della Matrix, a scegliere tra la rassicurante menzogna della pillola blu e la sconcertante verità della pillola rossa. E ogni giorno, anche se lentamente, in modo quasi impercettibile, sempre più persone hanno scelto la pillola rossa, hanno scelto (per parafrasare il film dei fratelli Wachowski) di restare nel Paese delle Meraviglie e di scoprire quanto è profonda la tana del Bianconiglio. Ovvero cominciare a mettere insieme tutte le contraddizioni, le dissonanze, le ambiguità della narrazione ufficiale per riuscire a vedere oltre.
A distanza di mesi, questo popolo di risvegliati ha iniziato a uscire allo scoperto, a smettere di avere paura di manifestare il proprio dissenso per quanto sta accadendo non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
Se fino a poco tempo fa molte persone avevano timore a esprimere le proprie perplessità sulla gestione della crisi da Coronavirus, spaventate all’idea di essere bollate con l’infamante appellativo di negazioniste, oggi sta crescendo la volontà di riunirsi, di invocare il rispetto della dignità umana, della libertà inviolabile, dei diritti costituzionali ormai brutalmente calpestati come se fossero un optional e non l’essenza stessa della nostra democrazia, ormai agonizzante ma pur sempre attraversata da un flebile soffio vitale.
Ascoltando la storia di queste persone, spesso si scopre che alla base del risveglio della coscienza si trova una sorta di punto di rottura, un momento in cui ciascuna di queste persone è riuscita a intuire un frammento di quella verità che si cela dietro il volto imperturbabile, paternalistico e falsamente filantropico della Matrix.
Questo punto di rottura può assumere mille sfaccettature: un incontro, una lettura, uno spezzone televisivo, un commento sui social, un’intuizione personale. Ma ad esso segue quasi sempre un percorso di consapevolezza, di approfondimento, di ricerca di ulteriori frammenti di verità. C’è chi ha cominciato a cercare questa verità nella dimensione spirituale, chi in quella religiosa, chi nella letteratura scientifica, chi nell’arte e nella cultura, ciascuno in base alla propria sensibilità, alla propria storia di vita e alle proprie inclinazioni.
Al di là delle strade percorse, quello che è importante è il fatto che nelle persone sia nata tale rivoluzione interiore, tale spinta ad andare oltre: sia addentrandosi dentro se stessi, verso una più profonda conoscenza di sé e del proprio legame con gli altri e con la realtà circostante, sia espandendosi al di fuori di se stessi, nella costruzione della relazione con l’altro, nella vicinanza intellettiva ed emotiva con altri esseri umani. Forse per la prima volta nella storia dell’umanità, rivoluzione significa innanzitutto abbattimento della distanza sociale – il recupero dell’incontro, del dialogo, del contatto, non solo mentale ma anche fisico. Per la prima volta da quando l’uomo ha cominciato a camminare sulla Terra, rivoluzionari diventano i gesti dell’abbraccio, della stretta di mano, fino al semplice sedersi accanto e sorridersi senza una mascherina che impedisce di comunicare attraverso il linguaggio del non verbale, ovvero il linguaggio più diretto, sincero e spontaneo di cui siamo tutti portatori.
E allora, da medico e psicoterapeuta, mi chiedo se coloro che faticano ad abbandonare l’uso della mascherina, coloro che si sentono a proprio agio ormai mostrando di sé soltanto la fronte e gli occhi, non abbiano forse anche un po’ paura di tornare a rivelare il proprio volto inteso come specchio della propria vita interiore. La paura di tornare a mostrare tutta la possibile gamma di emozioni che trapelano innanzitutto dal viso, rendendoci a volte, come si suol dire, dei libri aperti.
Coperti dalla ormai famosa stoffetta azzurra, possiamo illuderci di mantenere segrete le nostre emozioni, le nostre vulnerabilità, i nostri pensieri non detti, perché sappiamo bene, come giustamente scriveva Friedrich Nietzsche, che si può mentire con la bocca, ma con l’espressione che si ha in quel momento si dice pur sempre la verità.
In un sistema globalista che spinge sempre di più l’umano verso il transumano e il postumano, verso una robotizzazione dell’esistenza, compresa quella psichica e mentale, non stupisce che spronare a nascondere il volto, insegnare alle persone a non esternare spontaneamente i propri stati d’animo, filtrare ogni comunicazione facendola passare sempre e soltanto dalla via del logos (il tempio della ragione e del controllo) diventa un mezzo per spegnere gradualmente una parte fondamentale della nostra umanità: il sentire profondo, il condividere le emozioni, il riconoscersi nel volto dell’altro.
A livello neurobiologico il nostro cervello è dotato di una rete di neuroni, chiamati neuroni a specchio, i quali hanno la straordinaria capacità di aiutarci a leggere gli stati emotivi dell’altro, proprio grazie alla codifica di segnali corporei quali lo sguardo, il tono della voce, l’atteggiamento della bocca, ma anche il rossore, il pallore, il serrare le mascelle, il mangiucchiarsi le labbra, il sorridere sotto i baffi, il trattenere uno sbadiglio. E poi ancora una smorfia di disappunto, un’arricciatura del naso, un’imprecazione sussurrata, un brillio degli occhi, un lampo di sfida, un broncio infantile, un sorriso malizioso, uno sbuffo, un tremore delle labbra, una gioia radiosa che illumina le guance.
Quanti di questi dettagli si perdono con l’uso prolungato e incongruo delle mascherine? Quante volte impediamo al nostro cervello di comprendere l’altro nella sua pienezza? Quanto volte dobbiamo affidarci soltanto all’ambiguità e alla limitatezza delle parole, che per quanto importanti non riescono a dirci tutto dell’altro, della sua interiorità? Di quanta esperienza priviamo i più giovani, i quali proprio grazie a questi meccanismi di riconoscimento reciproco possono sviluppare risorse sociali fondamentali, come l’intelligenza emotiva e l’empatia?
Esiste in psicopatologia una condizione, chiamata alessitimia, in cui il soggetto non è in grado di comprendere le proprie emozioni né d’interpretare le emozioni sperimentate dagli altri. Il soggetto alessitimico vive in uno stato di nebbia, di confusione emozionale: sente dentro di sé delle forze che si agitano ma non è in grado di dare a queste forze un nome, non riesce a cogliere se si tratta di rabbia, di tristezza, di angoscia, di euforia.
Parimenti, il mondo emozionale dell’altro gli resta inaccessibile, non riesce a capire cosa sta provando chi gli sta di fronte, non riesce a decifrare tutti quei segnali che normalmente ci permettono di comprendere se chi abbiamo davanti a noi sia contento, infelice o in collera. Per questo motivo il soggetto alessitimico è portato a compensare questa sua lacuna diventando dipendente dagli altri oppure è portato a proteggersi da questa confusione scegliendo l’isolamento sociale.
In entrambi i casi, la costruzione di un popolo alessitimico porterebbe dei grandi vantaggi al sistema globalista: da un lato lo renderebbe facilmente manipolabile, portandolo a diventare sempre più dipendente da strumenti falsamente semplici e rassicuranti come la tecnologia e la realtà virtuale, dall’altro enfatizzerebbe la tendenza all’isolamento e all’alienazione, fino alla creazione di tanti piccoli robottini facilmente controllabili, tesi a soddisfare i propri bisogni interiori in modo acritico e immediato attraverso l’uso (o abuso) dell’e-commerce, delle piattaforme online, dei servizi in streaming.
Riappropriarsi della propria espressività, dell’incontro autentico con l’altro, della scambio di emozioni e di pensieri anche attraverso il linguaggio del non verbale, significa dunque riappropriarsi della libertà, dell’essenza di ogni essere umano, della vita nel senso più profondo e più nobile del termine.
Nell’era della tecnologia e della scienza, la vera rivoluzione è iscritta nel volto scoperto degli uomini e delle donne, degli anziani e dei bambini.
Manuela Bassetti,
Medico psicoanalista
Pubblicato da Raffaele Varvara per ComeDonChisciotte.org