IL TERZO SEGRETO DI FATIMA DEL 41BIS

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Di Comidad

Quando si dice la famosa “eterogenesi dei fini”, l’accidente per cui si fa una cosa con uno scopo e si ottiene invece l’effetto contrario. Il governo Draghi aveva comminato il regime carcerario del 41bis all’anarchico Alfredo Cospito per alimentare una pseudo-emergenza-terrorismo in modo da spingere il business del controllo digitale. I meschini volevano solo organizzarsi in santa pace il loro solito saccheggio del denaro pubblico, invece si ritrovano a dover fronteggiare uno sputtanamento in grande stile del 41bis. Certo, c’è ancora molta ingenua confusione da parte di chi crede di dover “denunciare” che il 41bis è tortura; come se non lo sapessero già tutti, come se la tortura non fosse stata sin dall’inizio l’elemento più attrattivo e appetitoso per le masse nello spot con cui è stato venduto il 41bis. Lo scopo ufficialmente dichiarato del 41bis era quello cautelativo, cioè di isolare il boss criminale dai suoi legami associativi; ma lo scopo “ammiccato” era ancora più importante, poiché sin dall’inizio si è fatto intendere all’opinione pubblica forcaiola che l’intento prioritario del 41bis sarebbe stato quello vendicativo, di infliggere sofferenza aggiuntiva rispetto alla detenzione, anche per spingere al cosiddetto “pentimento”. Il 41bis ovviamente è “tarato” sullo standard etico comune, quello secondo cui ci si difende accusando gli altri; tutto salta quando invece ci si scontra con lo standard etico di chi è pronto ad addossarsi anche colpe non proprie pur di non fare il delatore o non farsi strumentalizzare per incastrare altri; quanto alle “sofferenze aggiuntive”, c’è anche chi è pronto ad infliggersele da solo pur di non cedere a ricatti e minacce.

Il dato increscioso del 41bis non sta perciò nello scoprire per l’ennesima volta che l’umanità è disumana e che la tortura è sempre rimasta in vigore, bensì in qualcos’altro. La dissimulazione di questo “qualcos’altro” è stata operata con vari pretesti. Per giustificare il regime del 41bis a Cospito, si è detto dapprima che Cospito si rivolgeva ai suoi sodali per inviare messaggi sovversivi; quindi si ammetteva che col 41bis si colpivano delle opinioni, visto che un anarchico non comanda su niente e nessuno. Allora contrordine: dal “Forca Quotidiano” tuonano che le opinioni non c’entrano, che Cospito sta al 41bis a scontare i crimini che gli vengono attribuiti: la “gambizzazione” (secondo il neologismo BR) di un vip dello smaltimento delle scorie radioattive, ed il tentativo di far strage di allievi carabinieri con un petardo. L’indignazione per l’attentato al dirigente di Ansaldo Nucleare, attribuito a Cospito, sarebbe stata un po’ più credibile se ci si fosse indignati anche di fronte alla negligenza per la quale un signore che gestiva nientemeno che energia nucleare e scorie radioattive, non fosse neppure monitorato dai servizi segreti nostrani. Ansaldo Nucleare fa parte del gruppo Leonardo-ex Finmeccanica che, all’epoca dell’attentato ad Adinolfi, era amministrato e presieduto dal manager Giuseppe Orsi. Pochi mesi dopo quell’attentato Orsi incappò in un processo da cui uscì assolto, ma che lo neutralizzò per sei anni. Messo da parte Orsi nel 2013, da quel momento la presidenza di Leonardo è sempre toccata ad ex dirigenti dei servizi segreti.

Ma, a parte questi dettagli, il dato notevole è che, secondo Marco Travaglio e soci, galere ed ergastoli sono da considerare alla stregua di gite scolastiche, e soltanto col 41bis si comincia a fare un po’ sul serio. Tutta questa manfrina inoltre ha poco senso, dato che Cospito non chiede il ritiro del 41bis per sé ma l’abolizione per tutti. Stando così le cose, non era il caso che, pur di giustificare il 41bis a Cospito, il Gran Confessore Massimo Giletti bruciasse, a mo’ di kamikaze, un agente provocatore piuttosto versatile come Gianluigi Paragone.

Continuare a puntare i riflettori su Cospito serve a far finta di ignorare ciò che lo stesso Cospito ha invece messo in evidenza. Il problema è che il 41bis avrebbe dovuto rimanere nell’alone vago e indefinito della leggenda, dello spot pubblicitario, e non rivelarsi nei suoi dettagli concreti. Dai cialtroni Donzelli e Del Mastro abbiamo appreso anzitutto che il 41bis non è affatto un regime di isolamento, ma prevede persino incontri tra i boss mafiosi. Per premio Donzelli e Del Mastro sono stati messi sotto scorta; un onore che pare spetti di diritto a tutti quelli che fanno cazzate, mentre si lascia esposto alle cattiverie del mondo uno che maneggia energia nucleare e scorie radioattive. La vita è ingiusta. Poi vi lamentate del fatto che presunti “amici di Cospito” vadano in giro ad incendiare qualche auto e spaccare qualche vetrina. Non sprecate preziose forze dell’ordine a fare da balia a Donzelli e Del Mastro, così sarete in grado di schierare per le strade molti più agenti, che potranno mettere a ferro e fuoco intere città, visto che quelle mezze seghe di anarchici non ci riescono.
I maggiori guai per il 41bis vengono però dai giornalisti, i quali ormai sono talmente disabituati a capire l’importanza delle notizie, che finiscono per rivelare delle enormità senza neppure rendersene conto. Il mese scorso il quotidiano “il Giornale” ci ha infatti comunicato che il Ministero della Giustizia non ha mai fornito un elenco ufficiale dei detenuti al 41bis, per cui sia il numero di quei detenuti (pare oltre settecentosettanta), sia i loro nomi, derivano solo da ipotesi giornalistiche.

Quando si sottolineano certi dettagli scabrosi, arriva sempre l’imbecille professionista ad accusarti di fare dietrologie ed ipotesi di complotto, mentre in realtà si sta parlando proprio della sua imbecillità che gli impedisce di notare ciò che c’è davanti, in piena evidenza. Il problema infatti non è ciò che sta dietro il 41bis, bensì consiste proprio nel fatto che potrebbe esserci di tutto, visto che il ministero non si prende la responsabilità neppure di dirci chi siano i detenuti sottoposti a quel regime carcerario. Ci avevano dichiarato che il 41bis serviva come misura cautelativa, poi ci avevano ammiccato che in realtà era tortura; adesso scopriamo che c’era un “terzo segreto di Fatima”, cioè che il 41bis è un contenitore carcerario di totale arbitrio e mancanza di trasparenza, come la Bastiglia dei tempi di Luigi XVI. Anche a difesa dell’odierna Bastiglia, ci sono tantissime Lady Oscar, come Travaglio, Giletti e Paragone. La differenza invece è che mentre nella Bastiglia del 1789 ormai c’erano rimasti solo quattro detenuti, col 41bis ci stiamo avviando verso il migliaio.

Ma di cosa ci preoccupiamo? Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (il DAP) è lo specchio delle virtù, infatti da decenni è oggetto di denunce per procedure torbide nell’assegnazione degli appalti. La Procura di Roma segue sempre lo stesso rituale: avvia l’indagine e poi dà tempo al tempo per insabbiare tutto. Nel 2014 Alfonso Bonafede chiese addirittura l’istituzione di una commissione d’inchiesta parlamentare per indagare sulle magagne del DAP. Ma poi Bonafede è diventato ministro della Giustizia ed ha deposto queste velleità. Eppure ce ne sarebbero delle belle, in quanto pare che si “mangi” persino sul business dei pasti ai detenuti. Il DAP ha addirittura assegnato alla stessa azienda di ristorazione sia l’appalto per i pasti ordinari ai detenuti, sia per lo spaccio a pagamento di cibo all’interno delle carceri. Si è così delineato un evidente conflitto d’interessi, dato che quanto peggiore è il cibo fornito nei pasti ordinari, tanto più si sarà costretti ad acquistare cibo allo spaccio. Il DAP però assicura che non c’è conflitto d’interessi, perché, anche se l’azienda è la stessa, si tratta di due contratti diversi (sic!). Di fronte ad una tale sottigliezza giuridica, nessuno potrebbe mai dubitare che il DAP faccia un uso meno che limpido dell’oscurità del 41bis.

Sin dalle sue prime versioni alla fine degli anni’80, il regime carcerario del 41bis ha sempre incontrato consenso e popolarità, ed il fatto che sia una particolarità italiana, lo ha reso anche un motivo di orgoglio nazionale. L’oligarchia italica ha costruito il suo specifico percorso di grandeur, di ascesa di status internazionale, attraverso la dimostrazione e l’esibizione della propria capacità di controllo sociale, di trasformare tutto un popolo in una cavia. La peculiarità dell’imperialismo italiano è appunto quella di porsi come partner e sponda di imperialismi maggiori; quindi un modello imperialistico non basato principalmente sulla guerra verso l’esterno ma sulla guerra civile, sul regolamento di conti permanente.

Il Risorgimento, il fascismo e l’antifascismo hanno tutti fondato la propria epopea sulla conflittualità interna; anche l’emergenzialismo Covid ha rappresentato uno dei momenti più esaltanti per lo status internazionale dell’oligarchia nostrana, dato che in Italia si è inventato il lockdown, ed in più siamo stati l’unico Paese che ha adottato misure come il green pass per accedere ai luoghi di lavoro, l’obbligo vaccinale e la gogna per i cosiddetti no-vax. Questa euforia di grandeur degli oligarchi ha coinvolto la gran maggioranza della popolazione. In questa epopea della guerra civile, nell’ultimo mezzo secolo sono rientrati soprattutto l’antiterrorismo e l’antimafia, quindi il 41bis è diventato un fiore all’occhiello del nostro prestigio internazionale ed il suo fascino si impone trasversalmente agli schieramenti ideologici di destra o sinistra. Ogni tanto qualche ONG dei diritti umani fa finta di criticare, ma proprio il minimo necessario.

Il “forca-pacifismo” (forca all’interno, pacifismo all’esterno) è un anomalo prodotto ideologico tipicamente italico, ed infatti l’establishment nostrano non è riuscito ad allestire una gogna per putiniani altrettanto efficace della gogna per no-vax. Oggi chi parla contro la guerra è più popolare di chi ne parla a favore, e i più popolari tra i pacifisti sono anche dei forcaioli. Di solito ottusi quando trattano di questioni interne, i forcaioli hanno invece compreso che in questa guerra non si confrontano ideologie o modelli sociali (democrazia o autocrazia o qualche altra fesseria), bensì interessi imperialistici, cioè affari e zone d’influenza; il che comporta rischi molto peggiori della cara vecchia Guerra Fredda dal 1949 al 1989. Il forca-pacifismo italico sconta però una contraddizione insormontabile che lo condanna all’inettitudine pratica: non ci si può opporre all’attuale bellicismo dell’establishment poiché si condivide lo stesso modello di controllo sociale interno dell’establishment. In altri termini, una società “tracciata” e militarizzata in nome dell’antiterrorismo e dell’antimafia, finirà automaticamente per essere piegata ad usi e fini militaristici, anche se non vorrebbe.

Di Comidad
23.03.2023
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