DI PAOLO BECCHI E GIOVANNI ZIBORDI
liberoquotidiano.it
Lo scopo di questo articolo è confrontare il tanto rumore per nulla delle manovre economiche attuali, con quelle del passato, quando il governo italiano consentiva all’economia di funzionare davvero, grazie al fatto che teneva basse le tasse e faceva investimenti pubblici.
La manovra finanziaria attuale lascia perplessi dal punto di vista economico perché alla fine il risultato da quel punto di vista è praticamente irrilevante. Vale a dire non è costruita pensando alla crescita del Paese. L’economia italiana negli ultimi dieci anni ha perso il 9% del Pil, con la recessione del 2008/9 e poi quella del 2012, una perdita che ha recuperato solo in una piccola parte. E la nuova manovra, nella sua ultima formulazione, non indica un concreto cambio di direzione. Insomma, doveva essere una manovra espansiva e invece così non è.
Il deficit che prevede la manovra è quasi uguale a quello previsto l’anno scorso, alla fine consiste solo di 8-9 miliardi circa che vengono presi da alcune parti del bilancio (meno detrazioni fiscali, dismissioni, pace fiscale…) per spostarli su (forse) un milione di persone che riceveranno intorno a 700 euro da aprile, più (e questo è più probabile) 400mila prepensionamenti.
PROGRAMMI A DIETA
In campagna elettorale i programmi di Lega e 5Stelle prevedevano, considerando tutte le diverse proposte, circa 130 miliardi di manovra, che si sono ora ridotti a 8 o 9 miliardi (lo 0,5% del Pil). Indipendentemente da come saranno usati questi miliardi sono comunque irrilevanti per la crescita economica.
Basti pensare che negli ultimi anni le banche hanno tagliato 200 miliardi di credito all’insieme delle imprese italiane e anche quest’anno stanno tagliando di nuovo decine di miliardi. La crescita del Pil sarà quindi probabilmente zero nel 2019 se va bene, cioè se il resto del mondo non va in recessione.
In passato, nonostante corruzione, sprechi e inefficienze, pensioni baby e Cassa del Mezzogiorno, l’economia italiana cresceva e molto. Non lo ricordiamo più, ma ad esempio, negli anni Settanta il reddito pro capite aumentò del 24% in termini reali, cioè al netto dell’inflazione (che all’epoca era sopra il 10% medio). E negli anni Ottanta la crescita reale del reddito fu del 28%, con la lira che si svalutava. La differenza principale con quei tempi in termini di politica economica è che non esistevano molti “vincoli di bilancio”, meno che mai esisteva il “vincolo esterno”. Lo Stato teneva le tasse più basse e i deficit più alti e faceva anche spese per investimenti, che qualche volta, bisogna pur dirlo, si risolvevano in sprechi nel Mezzogiorno, ma “il tutto si teneva insieme”. Il debito
pubblico non era un vincolo perché fino agli anni Ottanta, esisteva un sistema per finanziare il deficit tramite Bankitalia, che è stato in vigore per più di un secolo, sistema per il quale almeno metà del deficit veniva finanziato con moneta e non con debito. Per più di un secolo il 53% del deficit era finanziato con moneta.
La differenza con il sistema attuale finanziato al 100% con debito è che se hai ad esempio un deficit di 50 miliardi nel 1980 e lo finanzi con moneta l’anno dopo non ci sono conseguenze, ma se finanzi i 50 miliardi con debito l’anno dopo paghi 2 o 3 miliardi di interessi, che si cumulano nei decenni a venire e i 50 miliardi di debito del 1980 possono diventare oggi 150 miliardi. L’aritmetica dice che ad un tasso di interesse del 3% la cifra iniziale raddoppia ogni 24 anni.
MONETA PARALLELA
Ebbene, lo Stato italiano dagli anni Ottanta ha pagato un tasso di interesse (reale, al netto dell’inflazione) medio intorno al 3% per cui un debito di 50 nel 1980 oggi nel 2018 appunto è diventato 150 (arrotondando). Questo è in sostanza il modo in cui si è creato il debito pubblico attuale di oltre 2.300 miliardi, perché il segreto che non si menziona mai è che gli interessi cumulativi pagati dal 1980 in poi sono stati di 3.500 miliardi. Una cifra pazzesca. Nessuno mai lo dice, ma senza gli interessi il debito pubblico oggi sarebbe zero.
Per un secolo intero lo Stato italiano aveva largamente evitato il problema dell’accumulo degli interessi all’infinito emettendo periodicamente moneta, che non andava restituita con gli interessi. Questo sistema funzionava bene e andrebbe in qualche modo ripristinato. Non possiamo farlo con l’euro, perché la Bce ha smesso di fare quello che ha fatto sino all’altro giorno, vale a dire comprare Btp, e ha smesso perché la Germania ha detto “ora basta”. E questo la dice lunga su come funzionino le cose nell’Ue. Ora, poiché a quanto pare non si vuole più uscire dalla gabbia dell’euro, perché “non è nel contratto”, allora bisogna pensare almeno ad una forma di moneta parallela. La moneta fiscale va in questa direzione, come pure i minibot che sono persino presenti nel contratto di governo. Se vogliamo evitare una decrescita infelice dobbiamo puntare almeno su questo. Tutto il resto è noia.
Paolo Becchi e Giovanni Zibordi
Fonte: https://www.liberoquotidiano.it
27.12.2018