FONTE: ZEROHEDGE.COM
Dopo le minacce di Trump, l’Air Force americana ha espressamente affermato di essere “pronta a combattere sùbito”, attaccando coi bombardieri B-1 se così venisse ordinato:
“Combattiamo come ci alleniamo: più ci interfacciamo con i nostri alleati e più saremo pronti a combattere”, ha detto un pilota di B-1 del 37th Expeditionary Bomb Squadron. “Il B-1 è un bombardiere di lunga gittata, adatto al mare e che può superare l’estensione del Pacifico”.
Il pilota sembra saperla lunga. Il Pentagono ha infatti presentato un piano per un attacco preventivo: questa è infatti considerata l’opzione “meno peggio”.
“Non esiste una buona opzione”, ha dichiarato a NBC News un funzionario senior dell’intelligence coinvolto nella pianificazione, “tquesto è il male minorey“.
L’idea è di usare i bombardieri B-1 Lancer situati sulla base aerea di Andersen a Guam, riferiscono ex ed attuali funzionari militari.
“Facendo questa scelta eviteremmo un’escalation”, dice l’ammiraglio James Stavridis, ex Supreme Allied Commander Europe ed ora analyst NBC.
Perché i B-1?
Perché hanno il maggior carico utile interno di qualsiasi bombardiere attualmente a disposizione degli Stati Uniti. Un paio di essi può trasportare in tre baie diverse un mix di armi – fino a 168 bombe da 225 chili – o, cosa più probabile, il nuovo Joint Air-to-Surface Standoff Missile – Extended Range (JASSM-ER), un missile altamente preciso con un raggio di 926 chilometri, che consentirebbe di agire da ben al di fuori del suolo nordcoreano.
C’è un’altra considerazione importante: secondo un ufficiale militare, “è stato scelto il B-1 anche perché non può trasportare armi nucleari: un segnale verso Cina, Russia e Pyongyang di non voler provocare un’escalation”.
Il piano spiega perché nelle ultime settimane coppie di B-1 abbiano condotto 11 prove pratiche di missioni simili, nel mentre che Trump e Kim si scambiavano insulti via media. La NBC rileva che, in una missione effettiva, i bombardieri non nucleari sarebbero supportati da satelliti e droni e sarebbero circondati da aerei da combattimento, anche elettronico.
Ci sono attualmente almeno sei bombardieri B-1 nella base di Andersen, che si trova a circa 3.200 km dalla Corea del Nord. Su comando, questi punterebbero circa due dozzine di “siti missilistici, centri di prova e strutture di supporto nordcoreani”.
Due funzionari americani hanno detto ad NBC News che i bombardieri non erano l’unica opzione disponibile. NBC sottolinea che “l’attacco proverrà da cielo, terra e mare – senza dimenticare la dimensione cyber”.
Come abbiamo scritto ieri, colpire la Corea ovviamente provocherebbe una risposta immediata, che potrebbe coinvolgere obiettivi sia vicini (tipo Seul) che lontani (tipo la base Andersen).
“L’uso dei B-1 per sganciare bombe e distruggere le infrastrutture coreane provocherebbe un’escalation”, dice Stavridis. “Kim Jong-un sarebbe costretto a rispondere: potrebbe distruggere la Corea del Sud, Guam e tutto quel che c’è in mezzo… Per come siamo ora, questi sono scenari da evitare”.
“La diplomazia rimane il piano-a”, ha dichiarato il generale Terrence J. O’Shaughnessy, comandante delle forze aeree nel Pacifico, dopo la serie di test coi B-1 di fine maggio. “Tuttavia, dobbiamo mostrare, al nostro paese e a quelli alleati, di essere pronti al peggio. Se richiesto, saremo pronti a rispondere con rapida, letale e travolgente forza”.
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Se però alla fine si avverasse il worst case scenario e si arrivasse ad una guerra convenzionale, ecco le conseguenze previste da Capital Economics.
– Le forze convenzionali della Nord Corea, che comprendono 700.000 uomini armati e decine di migliaia di pezzi di artiglieria, potrebbero causare danni immensi all’economia sudcoreana. Se il Nord riuscisse a lanciare una bomba nucleare sul Sud, le conseguenze sarebbero ancor più devastanti. Molti dei principali obiettivi sudcoreani si trovano infatti vicino al confine: la capitale Seul, che rappresenta circa un quinto della popolazione e dell’economia del paese, si trova a soli 56km dal confine nordcoreano e sarebbe un obiettivo primario.
– Esempi del passato mostrano quale grande impatto le guerre possano avere sull’economia. Quella in Siria ha portato ad un calo del 60% del PIL del paese. Il conflitto militare più devastante dalla seconda guerra mondiale, la Guerra di Corea (1950-53), causò 1,2 milioni di morti sudcoreani e vide il valore del PIL del paese crollare di oltre l’80%.
– La Corea del Sud rappresenta circa il 2% della produzione economica mondiale. Un calo del 50% del suo PIL farebbe fuori direttamente l’1% del PIL mondiale. Ma ci sarebbero anche effetti indiretti. Quello principale è la perturbazione che potrebbe causare alle catene di approvvigionamento globali, che sono state rese più vulnerabili dall’introduzione di sistemi di consegna just-in-time. Anche mesi dopo che le inondazioni in Thailandia erano diminuite nel 2011, le fabbriche di elettronica ed automobilistica in tutto il mondo continuavano a segnalare carenze.
– L’impatto di una guerra in Corea sarebbe molto più grande. La Corea del Sud esporta prodotti intermedi tre volte tanto la Thailandia. In particolare, è il più grande produttore di display a cristalli liquidi al mondo (il 40% del totale globale) e il secondo più grande di semiconduttori (quota di mercato 17%). Ha anche una florida industria automobilistica ed è sede di tre tra i maggiori costruttori navali al mondo. Se la produzione sudcoreana venisse gravemente danneggiata da una guerra, ci sarebbero mancanze a livello mondiale. I problemi durerebbero parecchio tempo – basti pensare che ci vogliono circa due anni per costruire da zero una fabbrica di semiconduttori.
– L’impatto della guerra sull’economia statunitense sarebbe probabilmente significativo. Nel ’52, al culmine della Guerra di Corea, il governo U.S.A. ci spendeva l’equivalente del 4,2% del proprio PIL. Il costo totale della seconda Guerra del Golfo (2003) e delle conseguenti è stato stimato in un trilione di dollari (il 5% del PIL annuale americano). Una guerra prolungata in Corea farebbe lievitare notevolmente il debito federale, che al 75% del PIL è già abbastanza rischioso.
– Le ricostruzioni post-guerra sarebbe altrettanto costose. Le infrastrutture, comprese elettricità, acqua, edifici, strade e porti, dovrebbero essere rifatte. Data la grande riserva cinese di acciaio, alluminio e cemento, probabilmente l’inflazione non salirebbe e ci sarebbe invece una spinta alla domanda mondiale. Gli Stati Uniti, alleato chiave della Corea del Sud, sosterrebbero i costi più di tutti. Gli U.S.A. hanno speso circa 170 miliardi di dollari per ricostruire dopo le guerre in Afghanistan ed Iraq. Considerato che l’economia sudcoreana è circa 30 volte tanto queste due combinate, se Washington dovesse spendere proporzionalmente la stessa somma si indebiterebbe di un ulteriore 30% del PIL.
Nel caso in cui invece la Corea del Nord riuscisse a lanciare con successo un ordigno nucleare, la devastazione sarebbe naturalmente di ben altro ordine di grandezza.
Fonte: www.zerohedge.com
Link: http://www.zerohedge.com/news/2017-08-10/pentagon-unveils-plan-pre-emptive-strike-north-korea-b-1-bombers
10.08.2017
Traduzione di HMG per www.comedonchisciuotte.org