IL PAESE DEI MANDARINI

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DI CARLO BERTANI

“Quando sei in mezzo agli altri, comportati come se tu fossi solo,
quando sei solo, comportati come se tu fossi fra la gente.”

Mjshamoto Mushashi, poeta spadaccino, Giappone, sec. XVIII

Sembra che il destino di chi scrive sul Web sia quello di ricevere insulti: passino le e-mail dei buontemponi, ma d’essere apostrofato nel modo che leggerete da una ricercatrice universitaria (o, almeno, così sembrerebbe) era un’esperienza che non m’attendevo.

Perché capitano queste cose? Forse succedono quando si smarrisce il senso delle proporzioni e, soprattutto, non si conoscono né l’educazione né le regole essenziali della comunicazione.

Non mi piace approfittare delle disgrazie altrui, ma quando si viene apertamente provocati ed insultati non c’è scelta. So che il miglior samurai è quello che vince senza combattere: purtroppo, certa gente non lascia altra scelta che la katana. Leggete:Scrive Sonia:
Buongiorno, che cosa rispondiamo all’articolista che butta fango sulla sequestrazione geologica e Boschi? Attendo risposta. Sonia.
Dott.ssa Sonia Topazio
Capo Ufficio Stampa
Ufficio di Presidenza
Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia
Via di Vigna Murata, 605
00143 Roma

La buona Sonia è pagata per gironzolare sul Web e scoprire cosa pensa la gente dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: quando trova qualcosa d’interessante è suo dovere riferire. Punto.

Un “Capo Ufficio Stampa” – forse – dovrebbe sapersela cavare da solo, ma si sa che l’assunzione di responsabilità – nel Bel Paese – è un comportamento assai raro.

Ciò che più stupisce è la risposta di “chi di dovere”:

Cara Sonia

Quel tipo che ha scritto quelle stupidagini ignoranti è un blogger ignorante di nome Carlo Bertani (di cui ti allego foto per tua conoscenza del soggetto). Dalle cose che scrive nel suo blog (www.carlobertani.it ) non credo che sia una specialista del settore, forse sarà politicamente impegnato, ma fa molta confusione sulla politica energetico-ambientale e non credo abbia nessun Curricul Vitae per dire quello che dice sulla sequestrazione geological di CO2 nel sito blog don chisciotte. Purtroppo ora va di moda fare i blogger invece che stare sui banchi delle università a studiare. E’ una vera iattura del protagonismo giovanile e non giovanile (vedi Beppe grillo) moderno. Lui mi legge per conoscenza e spero abbia il buon senso di chiedermi articoli e pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali prima di riscrivere qualcosa pubblicamente sull’argomento. Aspettiamo un paio di settimane se si fa vivo e ci chiede una mano a capirci qualcosa e siccome sto già preparando un articolo a mezzo stampa sul blog di beppe grillo potrei sputare veleno anche sul suo blog ignorante (VAI ALL?UNIVERSITA’! VAI ALL’ESTERO A STUDIARE COME ABBIAMO FATTO NOI RICERCATORI!) come irresponsabile ignorante che se ne approfitta della povera gente che ha la sola III media e non si può pagare le scuole e l’università per fare i soldi con un blog ……. si informasse dagli scienziati che ci lavorano da anni prima di parlare sul sito don chisciotte di politica energetico ambientale. E non mi spreco neanchè a scrivergli sul blog perchè lui sennò ci guadagna pure.

Un saluto

Fedora Quattrocchi

Passino gli errori ortografici che nemmeno prendo in considerazione – pur tuttavia, che un simile “pozzo di scienza” non sappia che “curricul” non esiste nella lingua italiana, bensì è “curriculum”, ed è un termine mutuato dal latino, insospettisce – ma ciò che fa rabbrividire è che si scrivano simili comunicazioni e siano poi inviate in copia all’interessato. Notare: senza nessuna indicazione di mantenerla privata. Insomma: io t’insulto quanto mi pare, tu fai come credi. Ed io lo fo.

Per iniziare, riflettiamo che Sonia e Fedora non conoscono nemmeno l’ABC della comunicazione, perché una simile missiva – resa pubblica – si trasforma immediatamente in un colossale autogol, non importa quale fosse il motivo del contendere, i torti e le ragioni, le motivazioni del comunicato: nel momento stesso nel quale si usano certi toni e determinati aggettivi, la brutta figura è certa. Chi vorrà, potrà leggere l’articolo incriminato “Un mondo all’Idrogeno” e stabilire in tutta coscienza chi conosce l’educazione e chi no.

Affermano di frequentare i consessi scientifici internazionali: My God, se gli inglesi sono ancora inglesi, dopo una simile caduta di stile non le lasceranno più sbarcare sull’isola.

M’interessa assai poco entrare nel merito della contesa – come si può rispondere a chi non sa che insultare? – mentre mi ha incuriosito parecchio quella strana “appendice” d’inviare anche la mia foto. Della serie: toh, Sonia, guarda con che razza di sordido individuo abbiamo a che fare!

Che si può fare con una foto (del tutto anonima!)? Me lo sono chiesto e non ho trovato altra risposta: probabilmente, le due fattucchiere l’hanno appesa al muro e la stanno infilzando con gli spilloni. Altrimenti, a che serve?

Posso comunque soddisfare meglio le loro esigenze, inviando un lavoro ben fatto e già pronto per la pubblicazione.
Secondo Fedora sono affetto da “protagonismo giovanile” mentre Beppe Grillo è oramai preda di quello senile. Ringrazio per il generoso apprezzamento sulla mia età, ma ho 56 anni, insegno quasi da 30 e fra pochi anni andrò in pensione: purtroppo, non ho più l’età per giocare al calcio, una delle cose che più mi divertiva.

Sui miei supposti guadagni parla chiaro la mia dichiarazione dei redditi: dove Sonia e Fedora si siano sognate che io guadagni con un blog non lo so (anzi, se hanno qualche consiglio da darmi…), ma le redazioni dei siti che mi pubblicano potranno confermare che scrivo per passione e non per denaro.

Abbandoniamo però Sonia e Fedora – perché non meritano tutta quell’attenzione – per soffermarci un po’ di più su una montagna di cose che evidentemente non conoscono, ad iniziare proprio da quel mondo dell’energia che sostengono di frequentare come l’interno delle loro borsette.

Tutta la vicenda nasce da un’idea dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, che ritiene di fornire un contributo alla riduzione del tasso di CO2 nell’atmosfera “sequestrando” l’anidride carbonica nelle miniere in disuso.

Ora, lo scrivente non ha contestato nel merito l’idea, ma ha chiarito – secondo i dati forniti alla stampa dall’Istituto stesso – che quel “sequestro” condurrebbe a risultati talmente minimi da essere tragicamente insignificanti.

Le 4.000 tonnellate (una media fra le 3 e le 5.000 dichiarate) che si prospettano per l’impianto di Ribolla rappresentano lo 0,3% della CO2 che emettiamo annualmente in Italia per la produzione energetica. Se i dati sono altri chiariscano, invece d’insultare, perché io ho semplicemente fatto riferimento al comunicato stampa emesso dallo stesso INGV in data 14 novembre 2006 e firmato proprio dalla dott.ssa Sonia Topazio.
Per il resto non intendo ripetermi, e confermo ciò che ho scritto nell’articolo: ricordo solo che, alla recente Conferenza di Parigi, molti scienziati hanno dichiarato che le riduzioni del 5% prospettate dal Protocollo di Kyoto sono da considerare già oggi tragicamente insufficienti, ed alcuni giungono a chiedere una riduzione delle emissioni del 70%, praticamente inattuabile nel breve periodo.

Infine, ricordiamo che il 90% del sequestro della CO2 avviene principalmente negli oceani ad opera del fitoplancton: decine di miliardi di tonnellate d’anidride carbonica sono annualmente metabolizzate nei mari, e non sappiamo quali potranno essere gli effetti dei mutamenti climatici in atto sul meccanismo – estremamente complesso – del sequestro naturale della CO2.

A fronte di questi numeri, il milione di tonnellate annuo di un impianto industriale per il sequestro della CO2 mi sembra ben poca cosa: a mio parere, bisognerebbe spendere risorse ed energie per cercare di non produrre anidride carbonica (se non credono a me, possono almeno credere a Rubbia), e non cercare dei dubbi palliativi.

Un giornalista, però, non è tale se non riesce – come si usa dire nel settore – a “fare il giro” attorno alla notizia, a scovarne gli aspetti che appaiono meno evidenti.

L’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia non è certo un abituale frequentatore del settore energetico: se si esclude l’impianto geotermico di Larderello, che fornisce circa l’1% della produzione elettrica, non ci sono contatti fra i due mondi.

Potrebbero essercene qualora s’iniziasse a meditare su come sfruttare le caldere dei vulcani a magma basico come l’Etna, una via esaminata in Islanda ed in pochi altri luoghi, ma – per ora – su questo fronte tutto tace.

Per il resto, l’Istituto da decenni veglia sui vulcani e – più in generale – sulla sismicità dell’Italia e sugli aspetti ad essa connessi. Perché questo improvviso interesse al sequestro della CO2?

Perché l’Italia – nonostante le roboanti affermazioni di principio – è rimasta molto indietro nell’attuazione del Protocollo di Kyoto: s’era impegnata a ridurre del 6,5% le sue emissioni di gas serra in circa un decennio ed invece, praticamente nello stesso lasso di tempo, le ha aumentate della stessa quantità.

I giudizi che l’UE dà all’Italia in questo campo sono sempre molto “mediati”, ma la sostanza è la stessa: il vostro sistema energetico è troppo legato all’uso dei combustibili fossili. Ciò che fa la differenza è la presenza, all’estero, del nucleare che in Italia non c’è: se gli italiani decisero vent’anni fa di non continuare su quella via, era compito della classe politica esplorare le alternative possibili.

La classe politica ha però moltissime cose da fare – la più importante, sembra, quella di recarsi in TV per litigare come ad una partita di calcio e cercare d’acchiappare voti – e di tempo per risolvere i problemi gliene resta ben poco.

Purtroppo c’è ben poco da fare: oramai, il malcostume della lite è la regola – come possiamo non ricordare gli exploit di Sgarbi, della Melillo, della Mussolini, di Calderoni e di tanti altri di fronte a milioni d’elettori? – e la necessità di programmare interventi di largo respiro ne soffre. Si legifera quasi soltanto per decreto, un metodo che gli estensori della Costituzione assegnarono prevalentemente alla gestione delle emergenze, e sembra oramai di vivere una sorta di “continua emergenza legislativa”.

Pare che la nobile arte della politica – ovvero ponderare con calma le cose e poi assumersi la responsabilità di scegliere – si sia trasmutata in un incontro di boxe utile solo a mettere al tappeto l’avversario. A margine, possiamo notare come la risposta della dott.ssa Quattrocchi sia pienamente “in linea” con quella impostazione di bassa lega, nell’educazione e nei rapporti interpersonali.

Se Bruxelles tuona, a Roma non si ride: si può far finta di nulla e recarsi dall’Insetto per litigare sul velo o sulla Finanziaria, ma quando si devono ottemperare degli impegni presi i nodi vengono al pettine. Insomma: giunti ad Aprile, o ci si mette a studiare per tamponare almeno qualche falla, oppure ci si deve rassegnare a ripetere l’anno scolastico.

In sostanza, non si può far finta di niente quando si sono aumentate le emissioni di CO2 del 6,5% invece di diminuirle, ed allora si cerca conforto nel mondo scientifico.

Chiunque abbia un’idea per risolvere la situazione può permettersi di bussare ai portoni che “contano” e sa già che, se riuscirà a convincere il politico di turno, otterrà qualche sacco di dobloni per finanziare le sue ricerche.

Quei soldi, nella ricerca, forniranno alle varie baronie la possibilità d’assumere personale (magari indicato dal politico stesso, oppure vogliamo sostenere che il nepotismo e le raccomandazioni sono della favole?) e d’ampliare la propria base di potere all’interno dell’Ateneo o dell’Ente.

Al politico di turno non interessano le valutazioni scientifiche sul progetto – nella maggior parte dei casi non saprebbe nemmeno apprezzarle – e s’affida a dei collaboratori, dei consulenti, dei portaborse, che domani potranno sempre bussare alle porte di qualche direttore di un centro di ricerca: un posto da “addetto stampa” si trova sempre, come un titolo di cavaliere non si nega a nessuno. L’importante, per il nostro uomo politico, è che ci siano titoli di merito (quelli che tanto contano per la dott.ssa Quattrocchi), per avere la famosa “pezza giustificativa” nei confronti dei politici dell’opposto schieramento.

A questo punto, rimane il problema di trovare i soldi e per questa ragione sostenevo la discriminante – che ho indicato come rivoluzionaria – fra chi progetta di ricavare energia senza produrre gas serra e chi, invece, avalla quel sistema accontentandosi di ridurne (almeno, sulla carta) gli effetti.

Perché questa distinzione?

Poiché per i primi non ci saranno finanziamenti, mentre per i secondi la via è quasi senza spine. Altrimenti, come spiegare la cacciata di Rubbia? Perché il solare termodinamico e l’eolico non decollano? E la fusione fredda?

I rapporti di potere fra le lobby energetiche e la politica sono più trasversali di quanto possiamo immaginare: qualcuno crede veramente che gli attacchi portati all’eolico da Vittorio Sgarbi e da Carlo Ripa di Meana (presidente di Italia Nostra!) siano dettati dalla pura e semplice salvaguardia del territorio? Perché, allora, i tralicci, le antenne telefoniche e televisive non “deturpano”?

Qualche intervento è possibile, ma lo Stato – già alle prese con bilanci sempre in rosso – può fare ben poco: a parte la leva fiscale – con la quale si sta cercando giustamente d’incentivare l’uso dei collettori solari per l’acqua sanitaria – non ha altri mezzi.

La grande stagione della modernizzazione del Paese – reti elettriche, stradali, ferroviarie, ecc – avvenne principalmente durante il Fascismo e poi nella cosiddetta “Prima Repubblica”, quando lo Stato aveva mezzi propri per indirizzare gli interventi: pensiamo, ad esempio, all’IRI.

Sappiamo com’è andata a finire: ciò che procurava guadagni (la Società Autostrade, ad esempio) è finito ai privati mentre i settori “in rosso” sono rimasti pubblici.

Oggi, quindi, soltanto chi ha consistenti capitali ha il potere della scelta (che è quasi sinonimo di “politica”), non tanto i nostri “dipendenti” che soggiornano a Roma. E chi li ha? Come se li procura?

Non è un mistero che le holding dell’energia hanno tratto enormi benefici dei continui rialzi del prezzo del greggio, soprattutto giocando sui tempi, come le associazioni dei consumatori – spesso inascoltate – hanno indicato.

Siamo soltanto un “popolo da 3° media” – come afferma la dott.ssa Quattrocchi – ma ci siamo accorti che, quando il greggio sale, i prezzi della benzina alla pompa schizzano in poche ore. Al contrario, quando scende…beh…ci vuole del tempo…dobbiamo verificare…portate pazienza…e pagate!

Questo meccanismo è vecchio come il mondo (del petrolio): durante la crisi petrolifera degli anni ’70, un caro amico era secondo ufficiale su una superpetroliera. Ascoltate quello che mi raccontò:

“Avevamo caricato greggio a Bandar Abbas (oggi Bandar Khomeini) e dovevamo scaricarlo a Pascagoula (Texas). Appena superato lo stretto di Torres, la compagnia ci impose di ridurre la velocità della nave a 5 nodi (contro gli 8 della velocità di crociera): attraversammo tutto il Pacifico, scapolammo Capo Horn e poi su per l’Atlantico mettendoci un mese in più del previsto. Ovviamente, allo sbarco, il prezzo era sensibilmente cresciuto.”

E dove le distanze erano poca cosa – come dalla Libia alla Sicilia – come si faceva ad aspettare? Lo raccontò un (allora) futuro premio Nobel – Dario Fo – che in quegli anni portava in giro uno spettacolo dove affermava che i petrolieri italiani “facevano fare tre giri della Sicilia alle petroliere prima di sbarcare il greggio”. Nessuno lo querelò, e lo crediamo bene.

La ciliegina sulla torta, per suggellare con un matrimonio la lunga convivenza fra il potere politico e le holding energetiche, lo pose l’ex Ministro Tremonti inventandosi la “tassa sul tubo” nella Finanziaria per il 2006.

Si rese però subito conto che, nello Stivale, ci sarebbe stata un’immediata corsa a nascondere tubi e condotte sotto gli Alberi di Natale: scherzi a parte, siccome si trattava di un onere che veniva accollato tout court ad ENI ed ENEL, lo trasformò più semplicemente in un prelievo sui bilanci delle due società.

Ora, vi sembra una cosa seria ripianare i conti in rosso dello Stato – generati anche dalle sciagurate cartolarizzazioni di Tremonti – con un prelievo “secco” sui loro bilanci?

Perché non prelevare anche dalla FIAT…oppure dal salumaio sotto casa: se passa il concetto che lo Stato può prelevare denaro con un provvedimento legislativo dalle casse delle società, siamo ad un passo dalla proprietà statale dei bilanci, e dunque delle imprese.

Si potrà obiettare che ENI ed ENEL sono in parte possedute dalla mano pubblica, ma sono anche quotate in borsa: gli azionisti non hanno avuto proprio nulla da dire?

Continuando il nostro racconto, siamo riusciti ad identificare chi ha i soldi – e quindi il vero potere decisionale, ossia le holding energetiche – chi deve agire come “cinghia di trasmissione” fra quei soldi e lo sviluppo tecnologico – la classe politica – e chi deve poi operare per ottenere dei risultati, ovvero gli istituti di ricerca.

Per questa ragione, la dott.ssa Quattrocchi pare ossessionata dai “soldi”: “e non si può pagare le scuole e l’università per fare i soldi con un blog” e poi “E non mi spreco neanchè a scrivergli sul blog perchè lui sennò ci guadagna pure”: i soldi sono quello che contano…quei soldi che, con l’idea del “sequestro” della CO2, siamo ad un passo dall’ottenere, copiosi, dai nostri contatti. Anch’io sono nato povero – Fedora – figlio d’operai, ma non me ne faccio un cruccio e, anzi, per molti aspetti ne vado fiero: cerca di superare il trauma, dopo si vive meglio.

Cosa le preoccupa? Ascoltiamo ancora Fedora: “e non credo abbia nessun Curricul Vitae…”. Ciò che le due fattucchiere cercano, mentre infilano gli spilloni, è la rassicurazione che nessun altro possa metter loro i bastoni fra le ruote. Ritengono di dover rispondere – come sarebbe logico attendersi – citando a loro volta dati non ancora dichiarati dall’Istituto, provando che la loro idea era giusta, che avrebbe condotto ad un importante passo in avanti nel contenimento dei gas serra?

No, manco per idea: l’unica cosa che c’interessa è sapere se questo tizio è in grado di portarci via l’arrosto dal piatto, nient’altro. Poi, magnanimamente, offrono: “spero abbia il buon senso di chiedermi articoli e pubblicazioni scientifiche nazionali ed internazionali prima di riscrivere qualcosa pubblicamente sull’argomento”.
Ringrazio sentitamente, ma per scrivere il mio prossimo libro – che uscirà a breve e tratterà proprio del mutamento climatico – ho fatto abbondante provvista di pubblicazioni scientifiche da fonti che ritengo autorevoli: l’ICCP, il MIT, Stanford, l’ENEA…sono 176 Mbyte di documenti ufficiali. Anzi, se vogliono approfittare…

No, Sonia e Fedora non escono bene da questa vicenda…ma è l’istituzione universitaria (minuscolo) che non “esce bene” nel Bel Paese. Perché?

Poiché dovrebbero essere proprio loro il catalizzatore dello sviluppo tecnologico ed industriale, mentre il paese sotto questo aspetto langue: riteniamo che il Ministro dell’Università e della Ricerca abbia molto, sì, molto lavoro da fare…soprattutto se le “risorse umane” sono queste.

Vogliamo citare qualche esempio?

La Germania – più per motivazioni geopolitiche che per scelte ambientali – ha puntato sulle rinnovabili: i risultati? Delle 26 aziende che producono aerogeneratori, 25 sono tedesche. I maggiori produttori di pannelli fotovoltaici sono Siemens e Wuerth, entrambi in Germania (mi riferisco, ovviamente, alla loro dislocazione, mentre i pacchetti azionari potrebbero mutare nel momento stesso nel quale scrivo queste righe).

In Germania, ci sono circa 350.000 lavoratori che producono nuova tecnologia energetica: Friburgo – come molti sapranno – è la città più avanzata al mondo per progettazione architettonica “plasmata” su modelli di risparmio energetico.

La piccola Finlandia decise d’investire fino al 9% del PIL nella ricerca ed i risultati non si fecero attendere: uno dei tanti brevetti finlandesi riguarda l’identificazione dell’Helicobacter mediante la semplice analisi del sangue: fine delle gastroscopie. Ovviamente, possiamo immaginare quali saranno le ricadute economiche del brevetto.

La Spagna – paese cattolico come l’Italia – ha spalancato le braccia a Rubbia quando l’Italia lo ha cacciato, e se verranno dei frutti saranno spagnoli. Addirittura la piccola Cuba ha il brevetto su un vaccino per l’epatite C.

In Francia hanno puntato prevalentemente sull’elettromedicale & connessi ed annessi: chi è andato a farsi curare in Francia sa di cosa parlo, ma non trascurano certo altri settori (come quello militare ed aerospaziale). Hanno creato nei pressi di Antibes un centro di ricerca – Sophia Antipolis – che dovrà essere la punta di diamante della ricerca francese.

Quali furono i requisiti per scegliere la località? Tre: la presenza di un importante aeroporto internazionale – Nizza – poiché i ricercatori devono spostarsi agevolmente nel pianeta. Una natura incontaminata, perché – da alcune ricerche effettuate – risultava che i ricercatori maturavano più in fretta i risultati delle loro ricerche se vivevano in un ambiente ridente e solare. Oddio, forse non era il caso di spendere tanti soldi per saperlo: bastava chiedere alla prima persona che s’incontrava in strada se si riesce a pensare meglio in una soleggiata casetta ad Ischia oppure nella nebbia del petrolchimico di Marghera.

L’ultima condizione era quella del basso costo delle aree fabbricabili, poiché si presume che alla ricerca s’affianchino piccole aziende per la fase di prima industrializzazione dei progetti.

Anche l’Italia pensò di copiare il modello: osserviamo come lo “interpretò”:

La località scelta fu Genova: c’era l’aeroporto. Ora, il Cristoforo Colombo è sì un aeroporto internazionale, ma nulla di paragonabile a Malpensa, Pisa o Fiumicino. Chissà perché molti liguri preferiscono partire da Nizza.

La seconda – ovvero la natura incontaminata – sarà probabilmente surrogata con gioiosi quadri ad olio dipinti da artisti di strada (per non spendere): dove si siano sognati la natura incontaminata a Genova – se vogliamo paragonarla alla Provenza francese – ce lo devono spiegare.

Da ultimo la barzelletta: Genova e la Liguria sono – per questioni meramente orografiche – fra le aree fabbricabili più care d’Italia.

Perché fu scelta Genova? Perché – all’epoca dei fatti – la Liguria era governata da una giunta di centro-destra ed a Roma c’era Berlusconi: dunque…

A questo punto, verrebbe la voglia di gettare come al solito la croce sulla sola classe politica e chiudere la faccenda, ma anche i baroni universitari hanno le loro magagne, perché nessuno ha posto dubbi su quelle scelte. Basta avere nomine, cattedre e posti: del resto, che ci frega?

Vogliono, lor signori, spiegarci qual è la trasparenza delle nomine? I molti casi di malasanità non hanno proprio nulla a che vedere con quelle nomine? Non è, per caso, che al bravo medico viene preferito il figlio del notabile, del politico, dell’accademico?

Noi – che siamo abituati a pensar male – ancora ricordiamo il caso dei due medici italiani che scoprirono un’importante proteina anti-cancro e che, per pubblicare la loro ricerca, dovettero emigrare a New York. Il motivo? A Roma, il loro compito era quello di studiare, mentre le ricerche venivano firmate da un loro collega che era, guarda a caso, il figlio del direttore dell’Istituto. Ci fu una rumorosa polemica, querele e smentite, ma tutto finì come finisce con la giustizia italiana che – come affermò Curzio Malaparte – “equivale all’onore delle puttane”.
Vogliamo parlare della fusione fredda e del prof. Del Giudice – Università di Milano – che ha pubblicato le risultanze, molto positive, delle sue ricerche e che ancora attende i finanziamenti (5 miliardi di vecchie lire) per passare alla fase “ingegneristica” del progetto? Riflettiamo che non s’investe una cifra pari ad una modesta vincita al Superenalotto per consentire al promettente lavoro di un ricercatore – che, evidentemente, non ha “santi in paradiso” – di prender forma.

Se la protervia delle baronie è nota, la viltà dei tanti ricercatori lo è un po’ di meno. Perché – invece di denunciare le vessazioni alle quali sono sottoposti – chinano la testa e cercano protezione (politica e non) dal potente di turno? A forza di chinare il capo, il giogo diventerà sempre più basso e si giungerà a strisciare: contenti loro…

Da ultimo l’informazione, scientifica e non.

Personalmente, a scuola ho a disposizione le collane di Science e Nature, ma mi sono stufato di perdere del tempo a leggerle. Tutte le ricerche pubblicate sono sponsorizzate dalle holding della Chimica, dell’energia, della Farmacologia: come ci si può fidare di queste ricerche?

Per citare un solo esempio, tutte le ricerche sugli OGM sottolineano come gli OGM conducano ad un consistente risparmio nell’uso di fitofarmaci, potenzialmente dannosi se sparsi nell’ambiente, e questo è vero.

Dall’altra, però, nessuno si prende la briga d’investigare su quali potranno essere – nel lungo periodo – gli effetti di quei geni introdotti senza la “supervisione” della natura, che provvede – tramite l’evoluzione – a selezionare le specie.

S’afferma che negli USA non si notano “evidenti problemi legati agli OGM”. Non si racconta, però, che pochi decenni non sono nulla al confronto dei tempi nei quali la natura produce degli effetti: in buona sostanza, quei ricercatori finiscono per scambiare le loro risultanze di laboratorio (ossia degli ambiti ristretti) con l’enormità (tempo e spazio) della biosfera. Il loro conto in banca – rifornito da quelle holding – non avrà nessun legame con le loro scelte, con la filosofia dei loro progetti?

Se la filosofia ci ha abbandonati e non riesce a fornire risposte valide (pensiamo a casi come la donazione degli organi, l’eredità biologica ed altri) i ricercatori non possono ritenere d’avere completo “campo libero” nella sperimentazione: o diventano loro stessi filosofi – e dunque s’attengono a qualche forma di codice d’autoregolamentazione – oppure seguono i soli desiderata delle holding finanziarie e ci fanno correre pesanti rischi. Per questa ragione temono l’informazione.

Proprio per questo coacervo di ragioni, diventa essenziale – per la sua funzione di divulgazione e di critica – il ruolo dell’informazione, che la dott.ssa Quattrocchi ritiene debba essere ristretta al solo ambito accademico. Eh, lo crediamo bene, sarà poco educata ma mica è fessa.

Fedora pare dimenticare che è anch’essa una nostra “dipendente”, come i politici ed anche – purtroppo – i giornalisti. Eh sì, perché, se lo Stato (cioè noi) spende ogni anno un miliardo di euro per sostenere la stampa (contributi per la carta e sovvenzioni ai giornali di “area politica”), tutto quel mondo entra in un colossale cortocircuito.

Le holding pagano, i politici distribuiscono, i ricercatori non si chiedono nessun “perché” e chi – infine – dovrebbe controllare e fare della sana critica tace perché ricattato con i finanziamenti statali. Ecco come siamo messi.

Un giornalista inglese si meravigliava – prima delle recenti elezioni politiche – per i molti giornalisti e direttori di testate presenti nelle liste dei partiti. Da noi, in Gran Bretagna – affermava forse ingenuamente – i giornalisti sono visti dai politici come il “fumo negli occhi” e nessuno li vedrebbe di buon occhio sedere accanto alla Camera. Una sana separazione dei poteri.

Di chi è dunque la colpa per il malsano andazzo? Dei Mandarini, ovviamente.

Il più antico paese del pianeta – mai colonizzato – è la Cina. Come trascorse, in completa solitudine, i millenni il Celeste Impero? Fra mille traversie, invasioni, congiure, guerre, dinastie…ma sempre retto dalla casta dei Mandarini. Chi erano costoro?

Sono un fenomeno quasi unico nel pianeta, per durata nei millenni: una casta di funzionari addetti all’amministrazione del paese – dei dotti filosofi potremmo affermare – che si formava con l’approfondito studio dei “tre libri”, ossia l‘I Ching, il Nei Ching ed il Tao te Ching. Confucio – nel VI secolo A. C. – definiva quei testi come “molto antichi”.

In sostanza, lo studio di quei libri forniva una formazione filosofica che trascendeva il tempo: l’Universo è in continuo mutamento ma rimane – per gli aspetti essenziali – immutato. Uno dei tanti aforismi apparentemente antitetici ai quali la cultura orientale ci ha abituati.

Proprio grazie a quella cultura, la Cina ha saputo sopravvivere ai molteplici ed inevitabili sconquassi generati dal naturale volgere degli eventi: passarono le dinastie, passarono i mongoli, Gengis Khan…fino ai boxer ed all’invasione giapponese.

Se da un lato la Cina è sopravvissuta, ciò non significa che abbia vissuto.

I cinesi furono grandi inventori: dalla polvere da sparo alla metallurgia, che praticavano su vasta scala quando da noi era considerata un’arte “d’elite”. Nonostante ciò, la Cina – soltanto mezzo secolo fa – viveva in condizioni pressoché feudali.

L’apparente contraddizione si spiega solo meditando sull’altra, sempre apparente, dicotomia: l’universo che muta in continuazione e rimane immutato. In altre parole, panta rei.

Ebbene, se c’è un paese che ha vissuto e tuttora vive una profonda lacerazione fra una visione di casta (come quella cinese dei Mandarini) ed un’altra (che potremmo meglio identificare con la Riforma di Lutero) questo è proprio l’Italia.

Non ripeterò ciò che ho approfondito meglio in altri articoli – ossia come la completa repressione delle tesi luterane nel paese del papato sia stata una sciagura – ma dobbiamo riflettere che “l’intellighenzia” del Bel Paese è una classe di funzionari molto simile ai Mandarini cinesi.

Come i Mandarini, disprezza tutte quelle attività che non sono strettamente legate alla conferma di una cultura statica (e dominante). Nella precedente legislatura, molti magistrati nominavano il loro Ministro – Castelli – come “l’ingegner Castelli”, inferendo al termine un valore spregiativo. Non sarò certo io a difendere od approvare l’operato di Castelli, ma in un paese normale nessuno si sognerebbe di spregiarlo soltanto perché non ha alle spalle degli studi giuridici.

Seguendo le orme dei Mandarini, considera la cultura come un patrimonio statico al quale attingere e basta: il latino continua ad essere il marchio del vero sapere, il resto sono quisquilie. Ci si nutre di detti e proverbi dell’età classica per avallare comportamenti che – Catone e Seneca – forse avrebbero censurato.
Così, di fronte alla staticità del nostro vivere – che ci sta attanagliando, al punto che non facciamo più figli – ripetiamo che è giusto “mutare tutto per non cambiar nulla”, e via con “Il Gattopardo”. La classe politica non ci convince? Malatempora currunt.

Sono sicuro che – nelle infinite discussioni sui PACS – qualcuno avrà sentenziato: mater certa est, pater non semper.

Potremmo continuare per righe e righe, ma il lettore consapevole avrà certo compreso: non si tratta di un attacco alla cultura classica, ma dell’uso strumentale che se ne fa per scopi che…servono soltanto alla sopravvivenza dei Mandarini! Difatti, la Cina – da quando non è più retta da quella casta – ha iniziato a dimostrare le sue capacità: in modo contraddittorio, con molte carenze sui diritti umani, ma ha liberato le energie positive della sua gente.

Potremmo creare una sorta di gioco a premi per stabilire chi sono i “Mandarini” italiani: Andreotti? Certo. Prodi? Quasi certo. Berlusconi? Prima dovremmo spiegargli la differenza fra un Mandarino ed un mandarino. Rutelli, Fini e Fassino studiano da Mandarini: il primo, purtroppo, dopo la vicenda dei PACS si è visto posticipare la presentazione della tesi alle calende greche.

D’Alema è forse cascato nella “pozione” dei Mandarini da piccolo, mentre Mussi li mangia per diventarlo: per questa ragione è sempre così rubizzo. Pisanu è senz’altro un “Mandarinu”, mentre De Michelis è solo un’arancia, di quelle che si portano in carcere.

Non voglio proseguire, perché immagino che il gioco sia così divertente che ciascuno vorrà continuarlo per conto proprio.

I Mandarini portavano, come segno distintivo di casta, degli abiti con lunghe maniche: ciò testimoniava che non dovevano usare le mani per lavorare.

Purtroppo – dai politici ai giornalisti, dai baroni universitari ai dirigenti pubblici – siamo perseguitati da una pletora di insipienti, statici, penosi ed insipienti Mandarini. Una raffica di “culi pesanti” e scarsamente “pensanti”. Girano come polloni di zucca da un’istituzione all’altra, da un Ente al successivo incassando laute prebende, stratosferiche liquidazioni ed…altro!

Non contenti, possono andare in pensione quando vogliono, godono da anni di una legge tipo “PACS” – quella che vorrebbero negare agli altri – che vale solo per la casta dei parlamentari e dei giornalisti. Hanno “legato” le retribuzioni dei parlamentari e dei dirigenti statali a quelle di magistrati, alte sfere militari, ecc, così viaggiano sempre tutti insieme verso rosei futuri. Il “tetto” previsto in Finanziaria – di 500.000 euro l’anno per le retribuzioni dei dirigenti pubblici – con un “emendamento” è salito a 750.000, con possibili “deroghe”.
L’unico obiettivo che perseguono costantemente è la sopravvivenza della loro specie: non c’è centro-destra o centro-sinistra che li smuova, perché il Celeste Impero Romano continua a sopravvivere, immutato nel suo continuo cambiare. Basta essere uniti nel gestire il potere: qualcuno si lamenta? Non ci pare, noi non abbiamo udito nulla: l’importante è che ci votino.

Purtroppo, negli ultimi anni, è avvenuto un fatto nuovo: si può comunicare senza censura, senza direttori (ir)responsabili, senza imprimatur ecclesiastici, privi dell’avallo delle gerarchie accademiche. E’ il grande rischio che Fedora paventa, la fine dei Mandarini: il Web.

Sono questi dannati blogger che ci rubano il mestiere – osano discutere di cose per le quali non hanno titolo! – e quale sarebbe il “titolo” per avere diritto di parola, in democrazia, Vostra Grazia?

Peccato che qualcuno un po’ più conosciuto di Fedora – mi riferisco a Arthur Sulzberger, l’editore del New York Times – l’8 febbraio 2007 abbia comunicato che fra cinque anni, probabilmente, non esisterà più l’edizione cartacea della testata ma solo quella Web. Repubblica, ha ammesso che la raccolta pubblicitaria va meglio per l’edizione Web che per quella cartacea.

La strenua difesa di Fort Apache alla quale assistiamo – dai primi talk show “liberi”, come quelli di Funari e le prime edizioni di Samarcanda, per finire ai funerei ed ingessati dibattiti odierni, infarciti di politici e di loro accoliti, dai quali la gente comune è rigorosamente esclusa – è soltanto il segno del cedimento, dell’ultima linea difensiva dei Mandarini che sta franando. Fedora può tranquillamente credere che Beppe Grillo sia malato di demenza senile, ma nessuno sa chi è Fedora Quattrocchi, Beppe Grillo, beh…

La transizione al Web rappresenta – storicamente – lo stesso passo che avvenne con l’invenzione della stampa: anche a quel tempo il potere ritenne di poter contenere il fenomeno, mentre quella invenzione mandò all’aria secoli di potere cristallizzato, dogmi, credulonerie, falsità.

Oggi, una scienza cristallizzata e tragicamente estranea al vivere sociale – come lo furono le strutture ecclesiastiche del tempo – si scaglia contro il Web, contro la discussione, la critica: in altre parole, contro la vera democrazia partecipativa. Il motivo?

Perché a forza di vivere separata nella torre d’avorio è finita per diventare essa stessa un dogma, pari a quelli che uno dei suoi massimi esponenti – Galileo – contribuì ad abbattere, ed oggi – per il timore di dover affrontare un vero confronto sui grandi temi, epistemologici ed etici – tenta un’estrema e scomposta difesa chiudendosi a riccio.

Non penso che ci sia altro da aggiungere in merito a Sonia e Fedora: faccio semplicemente notare che ho cancellato i loro indirizzi di posta elettronica dalle e-mail – potevo non farlo – poiché non sarebbe stata una bella cosa se qualcuno avesse considerato di ripagarle con la stessa maleducazione.
Per quanto mi riguarda, la questione è chiusa e non intendo più occuparmene perché ho molte altre cose da fare, ma voglio aggiungere un’ultima notazione: lungo tutto il testo, mi sono riferito ad esse chiamandole confidenzialmente Sonia, Fedora, oppure le dott.sse Topazio e Quattrocchi. Perché?

Poiché non ho avvertito la necessità d’usare altri appellativi: signori forse si nasce, signore, beh…non saprei…

Carlo Bertani
[email protected]
www.carlobertani.it
10.02.2007

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