Il “no” supererà qualsiasi sondaggio

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DI FEDERICO DEZZANI

federicodezzani.altervista.org

Il voto sulla riforma Boschi si avvicina ed il mondo politico, premier in testa, è totalmente assorbito dalla campagna referendaria. Non spenderemo neppure una parola nel tentativo di influenzare o mobilitare gli italiani: abituati a giocare d’anticipo, diremo soltanto che il “no” alla riforma Boschi vincerà, e lo farà con un margine superiore a quello previsto da qualsiasi sondaggio: 60% contro il 40% per il “sì”. Alla base del nostro ragionamento c’è il referendum abrogativo dell’aprile 2016, che portò alle urne 16 milioni di persone, espressesi all’85% contro il governo: per Matteo Renzi, “il fuoriclasse” della politica (De Benedetti dixit) che ha trasformato il referendum in un plebiscito sulla sua persona, è impossibile anche solo pareggiare quella cifra.

Il “no”? Vincerà col 60%

Vaga, il premier Renzi, inquieto e spaesato, aspettando il fatidico 4 dicembre: l’errore di aver trasformato il referendum sulla riforma Boschi in un plebiscito, un sì o un no sull’azione di governo, gli ha tolto ormai da mesi il sonno. La sconfitta di Hillary Clinton, la candidata per cui il presidente del Consiglio (unico in Europa) si era speso pubblicamente, gli sottrae poi qualsiasi appiglio cui aggrapparsi il giorno dopo il referendum, quel fatidico 5 dicembre che segnerà, se non la fine, perlomeno una durissima battuta d’arresto alla carriera del premier.

Ci siamo divertiti a paragonare Matteo Renzi all’informatore della polizia descritto con grande maestria da Leonardo Sciascia ne “Il giorno della civetta”: il confidente Parrinieddu che, dopo aver passato una soffiata ai carabinieri, si aggira confuso e senza meta, dilaniato dal dubbio se fuggire o farsi ammazzare. “E tutta la giornata passò ora vagando per le strade ora precipitosamente rincasando, una decina di volte deciso a chiudersi in casa e altrettante a farsi ammazzare, finché nell’ultima decisione di nascondersi, sulla porta di casa, due infallibili colpi di pistola lo colsero”.

Mai paragone fu più appropriato, perché nel comportamento Renzi-Parrinieddu è ben visibile il desiderio di scongiurare disperatamente la fine ed allo stesso tempo la volontà di accelerare l’epilogo ormai scontato, così da porre fine alle sue sofferenze. Renzi vuole scongiurare a tutti i costi la fine, e quindi promette tagli dell’Iva, tagli dell’Irpef ed aumenti alle pensioni; ma allo stesso cerca quei “due infallibili colpi di pistola” che gli diano sollievo e, stando alle ultime indiscrezioni1, starebbe addirittura meditando le dimissioni prima del 4 dicembre: forse per cercare di ribaltare l’esito del referendum o forse, ed è più probabile, per alleviare il trauma della sconfitta. “Mi sono dimesso. Non mi avete fatto dimettere” sarebbe il ragionamento di Renzi se gettasse la spugna prima del referendum. “Mi sono suicidato. Non mi avete ammazzato” avrebbe detto Parrinieddu ne “Il giorno della civetta”.

In effetti, gli ultimi sondaggi resi disponibili danno scarse possibilità di vittoria al premier, poche chance di strappare quel “sì” alla riforma Boschi che consenta al suo governo (e sopratutto alla sua carriera) di sopravvivere al 4 dicembre: “Referendum, ultimi sondaggi: No ancora avanti. Ma è record di indecisi: 12 milioni” titolava l’Espresso il 17 novembre2 ; “Referendum, avanti il No. Ma sul merito italiani favorevoli” replicava il Sole 24 ore, secondo cui “nel nostro caso il No è al 34 %, il Sì al 29 % con un 37% tra incerti e astenuti”; “Ultimo giorno di sondaggi: il No ancora avanti di otto punti” sosteneva la Stampa il 18 novembre, prospettando una vittoria del “no” col 54% voti.

Da allora i sondaggisti tacciono, o meglio, continuano a sfornare (costose) simulazioni di voto, riservate però a pochi (munifici) occhi: quelli di banchieri, grandi speculatori, responsabili delle campagne elettorali, vertici dei partiti, etc. etc. Il volgo profano deve accontentarsi così di un succedaneo dei sondaggi, quelle “voci dal conclave” pubblicate sul sito Youtrend.it, secondo cui “San Norberto” sarebbe ancora in vantaggio sullo sfidante “San Simplicio”, ma in misura sempre minore (52,3-47,7), tanto che “a taluni esperti di vicende ecclesiali non sfugge tuttavia che proprio le preferenze dei nunzi all’estero potrebbero risultare decisive”:3 un voto così combattuto, quindi, da rendere decisivo il contestatissimo voto degli italiani all’estero. Sarà vero?

A pochi giorni dal fatidico 4 dicembre, si pone il dilemma se impiegare le nostre energie per influenzare (con scarsi risultati) il voto, illustrando le ragioni del “no”, oppure se adoperarle per anticipare il risultato dell’appuntamento elettorale: abituati a giocare d’anticipo ed amanti del pericolo, imbocchiamo, è superfluo dirlo, la seconda strada.

Ed andiamo ancora, in un certo senso, contro i responsi dei grandi media e dei più blasonati sondaggisti: diciamo, infatti, che il “Sì” non solo non è in recupero, ma sarà addirittura annichilito dal “no”, con una clamorosa bocciatura della riforma Boschi, 60% contro 40%. Le possibili dimissioni anticipate di Matteo Renzi, che forse dispone di sondaggi più veritieri di quelli pubblicati dalla stampa, sono quindi giustificate: per il premier si prospetta non una sconfitta di misura, ma una vera Caporetto elettorale. Un “no” che staccherebbe di 20 punti il “sì”, scuotendo l’esecutivo alle fondamenta.

Come giungiamo a questo risultato in netta controtendenza ai sondaggisti che pronosticano una vittoria del “no” di 4-8 punti?

Il principale errore che commettono gli esperti del settore, a nostro giudizio, è chiedere ad un campione di elettori come intende votare al quesito referendario: “sì, no, non so”, senza alcuna sicurezza che “quell’intenzione” si trasformi poi in una scheda depositata nell’urna o in astensione.

È come se le società di calcio, per valutare se costruire uno stadio di proprietà, sguinzagliassero i sondaggisti per la città domandando: “lei, per quale squadra tifa?”. Molto più saggio, a nostro avviso, è lavorare sulle serie storiche, sui dati cioè accumulati nel tempo: “quanti sono gli abbonati della scorsa stagione?”, “qual è il tasso di riempimento dei vecchi stadi?”, “come si è piazzata la squadra di calcio in campionato?”, sono le domande che le società di calcio dovrebbero porre.

Per anticipare l’esito del 4 dicembre, disponiamo di un preziosissimo precedente: il referendum abrogativo del 17 aprile 2016, meglio noto come “referendum sulle trivelle”.

Sebbene il quorum fu mancato (l’affluenza fu pari al 31% degli aventi diritto al voto), quasi 16 milioni di persone4 si recarono ai seggi, esprimendosi all’85,85% per l’abrogazione della legge in esame. Fu una consultazione già molto politicizzata e, particolare fondamentale ai fini della nostra analisi, “contro le trivelle” e, di conseguenza, contro il governo Renzi, si mobilitò una parte importante dello scacchiere politico che ora sostiene il “no” al referendum: M5S, sinistra PD (vedasi il governatore della Puglia, Michele Emiliano) Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, etc. etc.

Allora il premier Renzi invitò all’astensione, così da far mancare il quorum (“Renzi: l’astensione al referendum è sacrosanta e legittima”5), ma anziché cantare vittoria (“Referendum Trivelle, Matteo Renzi sfoggia la vittoria e ora punta all’en plein guardando amministrative e riforme”6 titolava pochi giorni dopo l’Huffington Post), il presidente del Consiglio avrebbe dovuto preoccuparsi di quei 13 milioni di elettori, recatesi alle urne con scarse possibilità di vittoria e, in molti casi, per dire “no” al suo esecutivo. Una forza capace di mandarlo a tappeto, se qualcuno avesse tagliato il “lacciolo” del quorum.

Il presidente del Consiglio si sarà preoccupato allora? Improbabile. Non è del personaggio (né di buona parte della classe dirigente italiana) gettare lo sguardo oltre i 30 giorni.

Il referendum sulla riforma Boschi è, in un certo senso, una “nemesi” della consultazione sulle trivelle: Renzi, infatti, si scontra grossomodo (qualcuno, ma non in molti, non seguirà infatti le indicazioni di voto dei partiti) con quei 13 milioni di “no” del 17 aprile. Il quesito decisivo è: riuscirà il premier a portare una massa di elettori capace di eguagliarli e superarli? La risposta è: in bocca al lupo!

Sappiamo che, rispetto al referendum sulle trivelle, ogni voto aggiuntivo sarà quasi certamente a favore di Renzi, che oggi chiama alle urne anziché all’astensione, ma non certo il 100% dei nuovi voti: alcuni votanti, pensiamo agli elettori di Forza Italia e della Lega Nord, forse si erano astenuti il 17 aprile perché poco sensibili al tema del trivelle, mentre si recheranno invece alle urne per il referendum votando “no”, non tanto alla riforma costituzionale, quanto piuttosto alla politica migratoria ed alle ricette economiche del governo. Ne consegue, quindi, che non ogni voto aggiuntivo rispetto al 17 aprile sarà a favore della riforma Boschi.

Si possono quindi avanzare tre ipotesi: il 70% dei “nuovi voti” sarà a favore di Renzi, 80% favorevole e, infine, (estremizzando l’analisi) ben il 90% si esprimerà per il “sì”.

Ci manca, a questo punto, solo più un dato decisivo: quale sarà l’affluenza? È quasi certo che i 13 milioni di “no” del 17 aprile torneranno alle urne: più alta sarà l’affluenza, data le nostre premesse, e maggiori saranno i voti per il “sì”, aumentando così le possibilità di salvezza per il premier. Chi consiglia Matteo Renzi ne è consapevole, perché pochi giorni fa Renzi ha detto: Serve il 60% di affluenza e 15 milioni di voti”7.

Affluenza al 60%? Considerato che nei referendum costituzionali del 2001 e 2006 si fermò rispettivamente al 34% ed al 52% è tanto. Noi comunque gliela concederemo, dimostrando però che, anche qualora si recasse alle urne il 60% di 51 milioni di elettori8, le possibilità di vittoria di Renzi sarebbero risicatissime.

Ipotizzeremo quindi tre scenari (affluenza al 50%, 55% e 60%) da incrociare con le tre sopracitate ipotesi (“nuovi voti” per Renzi al 70%,80% e 90%).

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