Guerra, impero e razzismo nell’Antropocene

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DI NAFEEZ AHMED

medium.com

L’economia biofisica e la mentalità militare dell’iperrealtà industriale

Pubblicato da INSURGE INTELLIGENCE, un progetto di giornalismo investigativo finanziato dal crowdfunding per le persone e il pianeta

Questo articolo è stato originariamente commissionato dalla rivista spagnola Papeles, dove è programmata la pubblicazione di un’edizione in lingua spagnola leggermente ridotta.

L’Antropocene. Una nuova epoca geologica proposta, che designa il passaggio a un’era planetaria dominata dagli impatti umani, trasversalmente ai processi geologici della Terra. I geologi contestano la durata, la precisione, la pertinenza e persino l’accuratezza del concetto. Ma il termine è entrato sempre più nel lessico scientifico, poiché un numero crescente di esperti in una miriade di discipline riconosce che, per la prima volta nella storia, il futuro dell’intero pianeta – per generazioni se non millenni a venire – è ora fondamentalmente determinato dalle attività della specie umana. Ma l’Antropocene è molto più di un semplice cambiamento climatico. Si tratta di un intero sistema di vita, il cui progetto è massimizzare l’estrazione delle risorse a spese degli “Altri” sacrificabili. È intimamente legato a un sistema globale di razzismo che emerge dall’eredità dei secoli di colonialismo. Ed è inseparabile dalla incessante sequenza di guerre industriali, culminata nell’odierno stato permanente della “guerra al terrore” senza fine.

Riscaldamento globale indotto dall’uomo – terraformazione della Terra fino a renderla irriconoscibile

È l’impatto senza precedenti del cambiamento climatico antropogenico che, forse, ha avuto il ruolo più importante negli sforzi per definire l’Antropocene come una nuova era distintiva nella storia della Terra. Molteplici avvertimenti supportati da un consenso globale degli scienziati del clima hanno messo in guardia negli ultimi decenni che le attività umane, attraverso il crescente consumo di risorse di combustibili fossili – la combustione di petrolio, gas e carbone – stanno destabilizzando il ciclo naturale del carbonio della Terra.

Per centinaia di migliaia di anni, il pianeta ha mantenuto un equilibrio, uno spazio di “azione sicura” che offre un ambiente ottimale per l’insediamento umano e di altro tipo, in cui la quantità di carbonio emessa e assorbita dagli ecosistemi planetari rimane stabile.

Ma dalla Rivoluzione Industriale, poiché la civiltà umana si è inesorabilmente espansa, consumando nel frattempo maggiori quantità di energia da combustibili fossili, le associate emissioni di biossido di carbonio (CO2) sono aumentate esponenzialmente – sopraffacendo la capacità di assorbimento del pianeta. Il risultato è stato un aumento costante delle temperature medie globali.

Gli scienziati avvertono che l’aggiunta extra di CO2 nell’atmosfera, intrappolando un maggiore calore, sta a sua volta determinando scompiglio crescente per il clima, il meteo e i sistemi ecologici della Terra. Mentre la civiltà umana continua la sua espansione, mentre continua a bruciare quantità crescenti di combustibili fossili, la comunità delle scienze del clima avverte che al di sopra di un certo livello di CO2 e riscaldamento globale, gli ecosistemi planetari si modificheranno a un punto di non ritorno, in una nuova era pericolosa – al di fuori dei limiti delle precedenti centinaia di migliaia di anni, al di fuori di qualsiasi cosa gli esseri umani abbiano mai vissuto.

Se continuiamo su questo percorso di business-as-usual, le proiezioni conservative suggeriscono che ci stiamo dirigendo verso un punto qualunque di un aumento della temperatura media globale tra i 3 e i 6 gradi Celsius.

Altri, come Schroders, la società di investimento globale, hanno suggerito che potremmo dirigerci verso un pianeta [con aumento di temperatura media di] 8° C, a causa dell’attuale tasso di consumo di combustibili fossili – la proiezione della temperatura a 8° Cè stata suggerita anche da uno studio finanziato dall’US Department of Energy’sClimateChangeResearchDivision, che ha evidenziato il potenziale impatto dell'”amplificazione dei feedback loops”, innescato dall’alterazione dei processi del sistema terrestre, che potrebbero scatenare un’ulteriore concentrazione di gas serra.

Tra i 4 e i 6 ° C, la maggior parte degli scienziati del clima concordano sul fatto che ci sarebbe un tale livello di caos che il pianeta diventerebbe in gran parte inabitabile. La variazione è complicata e dipende da un concetto chiamato “Sensibilità del sistema terrestre”: la sensibilità degli ecosistemi del pianeta al cambiamento di CO2. Ma anche a una stima prudente della sensibilità, un pianeta [con aumento medio della temperatura di] 3° C, al quale probabilmente ci stiamo dirigendo, dovrebbe essere considerato “estremamente pericoloso”; e un aumento della temperatura media globale entro la soglia di 3-4 gradi, creerebbe probabilmente condizioni che rendono sempre più insostenibili le infrastrutture di base della civiltà umana.

Nei limiti in cui i governi stanno prendendo sul serio questa minaccia, lo stanno facendo in gran parte al fine di valutare le implicazioni per la propriaazione – e al fine di considerare come sostenere la condizione di business-as-usualnel mezzo della crescente instabilità. Questo è il contesto in cui molti studi hanno concluso che la nostra attuale traiettoria dei cambiamenti climatici aumenterà le possibilità di conflitto. Per la maggior parte, le agenzie di sicurezza nazionali occidentali che hanno esaminato la questione, concordano sul fatto che mentre il cambiamento climatico non produce automaticamente guerra, agisce come un “amplificatore” che aumenta la possibilità di guerra, a causa dei suoi impatti in termini di scarsità d’acqua, degenerazione dei sistemi alimentari fondamentali, scarsità delle forniture energetiche convenzionali e l’impatto imprevedibile di eventi meteorologici estremi. Talvolta tali impatti possono devastare le infrastrutture e portare al collasso dei servizi pubblici. In questi contesti, lo scoppio di guerre e conflitti che si diffonde è ampiamente riconosciuto come un probabile sintomo del cambiamento climatico su una via di business-as-usual.

Il problema è che questo di solito porta a una scarsa riflessione sulla necessità di cambiare il sistema umano che sta producendo questa traiettoria – invece, ci viene ampiamente detto della necessità di una maggiore espansione dei poteri di sicurezza per rispondere al caos di un impatto climatico mondiale: l’intensificazione dello stesso sistema che ha prodotto il problema.

Sul polo opposto dello spettro, abbiamo un chiaro negazionismo di stato, radicato nell’obiettivo di proteggere il sistema di sfruttamento infinito di combustibili fossili, a qualsiasi costo immaginabile. Si sta affermando che l’amministrazione Trump, a marzo 2019, stava prendendo in considerazione la creazione di un panel della Casa Bianca per contestare le risultanze di svariate valutazioni militari e di intelligence statunitensi sui gravi rischi per la sicurezza,rappresentati dai cambiamenti climatici. Il che è interessante, dato che il Pentagono emette più emissioni di combustibili fossili tanto quanto 140 Paesi distinti.

Eppure, la preoccupazione per la guerra che emerge dalla visione limitata della “sicurezza nazionale”, attraverso la quale lo sguardo umano è ossessionato principalmente dalle minacce fisiche agli interessi degli Stati-nazione, è in definitiva controproducente, sintomatica della frammentaria struttura cognitiva in cui le istituzioni regolate dagli uomini sono attualmente in grado di pensare e agire – si concentra con miopia su come sostenere la sopravvivenza delle normali attività dello Stato e gli interessi che fanno pressione al suo interno, sottovalutando il globale carattere esistenziale della crisi come una minaccia per tutte le specie.

All’estremità peggiore della scala, la guerra sarebbe l’ultimo dei nostri problemi: abbiamo il rischio di una Terra “serra”. Uno studio nei Proceedings of the National Academy of Sciencesha scoperto che il rischio di un pianeta inabitabile non è semplicemente una possibilità lontana, che potrebbe essere innescata a diversi gradi di aumento della temperatura in un futuro remoto – potrebbe essere innescata nell’imminente; ed è possibile che potrebbe essere già stata innescata all’attuale livello di un aumento approssimativo della temperatura di 1° C al di sopra della media preindustriale, che l’ex capo scienziato del clima della NASA, James Hansen, ha sostenuto sia il limite superiore sicuro, oltre il quale ci spostiamo in un clima pericoloso e più imprevedibile con alcune conseguenze che potrebbero essere irreversibili.

Ma il cambiamento climatico è solo uno degli aspetti della crisi. Il nostro modello di civiltà, che ha aumentato in modo esponenziale il consumo di energia e risorse come motore trainante, ha visto le attività umane, lo sfruttamento e la generazione di rifiuti accelerare in tutto il pianeta. Ciò ha provocato una crescente crisi della biodiversità che ha portato a cambiamenti potenzialmente irreversibili per i suoli e gli oceani, alla base delle estinzioni di massa delle specie.

Civiltà umana e guerra alla vita

Circa 15 anni fa, il Millennium Ecosystem Assessment dell’ONU ha fornito una delle prime e più incriminanti intuizioni sulla distruzione provocata dagli umani, la quale definisce l’Antropocene. Il report ha indicato la metà del XX secolo come un punto di svolta evidente in una nuova era, in cui l’agricoltura industriale in rapido aumento ha accompagnato un crescente collasso della biodiversità.

Il consumo di cibo, acqua e carburante non è solo aumentato esponenzialmente, ma ha sconfinato in modo esponenziale negli habitat, più nei soli 50 anni precedenti che in tutta la storia umana. Il tasso di estinzione delle specie era “fino a mille volte più alto che nella documentazione fossile”, quando “ogni mille specie di mammiferi, meno di una si estingueva ogni millennio”. La valutazione delle Nazioni Unite ha previsto che il tasso continuerà a salire e che sarà “dieci volte più alto” nel prossimo futuro.

La situazione ora è molto peggiore del previsto. Quest’anno, l’Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services dell’ONU ha concluso che un milione delle 8 milioni di specie animali e vegetali del pianeta rischia di estinguersi nel prossimo futuro, a causa dell’espansione delle società umane che hanno determinato il cambiamento climatico, la perdita di habitat, la pesca eccessiva, l’inquinamento e le specie invasive.

Numerosi studi hanno messo in guardia sul fatto che la nostra attuale traiettoria si sta dirigendo verso il collasso della nostra presente forma di civiltà. Un modello sviluppato con finanziamenti della NASA indicava che l’attuale modello di crescita infinita della civiltà umana avrebbe probabilmente portato a rendimenti decrescenti e all’aggravamento della stratificazione economica, che alla fine sarebbe culminata in un collasso. Tutte le civiltà, [come] il modello sembrava mostrare, tendono a seguire una traiettoria di crescita che consiste in una crescente intensificazione della complessità, per cui livelli maggiori di complessità vengono continuamente rinnovati per risolvere i problemi.

Con ogni nuovo livello, vengono generati problemi più complessi, che richiedono un ulteriore livello ancora più complesso di problem-solving per affrontarli, che a sua volta genera ulteriori problemi. Il ciclo, che attinge al lavoro dell’archeologo Joseph Tainter, che ha studiato svariate civiltà passate, suggerisce che qualsiasi civiltà finirà per collassare sotto il peso insostenibile della propria complessità a causa dell’eccessivo consumo di risorse e della cattiva distribuzione interna della ricchezza – a meno che il consumo e la distribuzione non inizino a essere rettificate in tempo.

Questo particolare modello era abbastanza semplice, in quanto si concentrava su un numero minore di variabili per analizzare la plausibilità generale dell’ipotesi di base. Alcuni anni dopo, un di gran lunga molto più complesso modello scientifico, con migliaia di input di dati, è stato sviluppato dal Global Sustainability Institute dell’Università Anglia Ruskin, con finanziamenti del British Foreign Office. Il modello suggeriva che, quando si avanza su una traiettoria business-as-usual, la civiltà umana sarebbe probabilmente collassata intorno al 2040, nel mezzo di un’eruzione di crisi climatiche, energetiche, alimentari e idriche convergenti che avrebbero devastato le principali economie in un’epidemia di rivolte per il cibo. Potrebbe verificarsi una guerra convenzionale – ma comunque, il pianeta probabilmente vivrebbe una proliferazione di disordini civili all’interno, tra e trasversalmente ai confini.

Quest’anno, un’analisi dello scenario, sostenuta dall’ex capo dell’esercito australiano, ha attinto alla letteratura scientifica sottoposta a revisione paritaria, per delineare una traiettoria di business-as-usual plausibile, basata su ciò che sappiamo di come gli ecosistemi planetari possono rispondere alle emissioni di CO2 indotte dall’uomo. L’ipotesi ha preso sul serio le prove scientifiche di un potenziale scenario terrestre “serra”. Ha suggerito che entro il 2050 le società umane avrebbero dovuto affrontare il “caos assoluto”, a causa di crescenti impatti climatici sugli ecosistemi chiave, con due miliardi di persone che soffrono di scarsità d’acqua e un altro miliardo che richiede la rilocazione solo per sopravvivere. Le prospettive metterebbero a dura prova la capacità della civiltà umana di funzionare e aumenterebbero le possibilità del suo collasso. Gli autori di quest’analisi hanno invitato il settore della sicurezza nazionale [e] le agenzie di guerra, a rispondere in modo più appropriato a questi rischi, sostenendo una mobilitazione globale in stile Seconda Guerra Mondiale per la transizione verso una civiltà post-carbonio.

Benché forse sia ben intenzionato, il report non riconosce che le agenzie di guerra potrebbero essere strutturalmente incapaci di intraprendere una simile reazione, proprio a causa della loro incertezza nelle istituzioni, prigioniere dello stesso sistema di combustibili fossili – e che una simile trasformazione potrebbe concepibilmente mettere in pericolo la loro ragione di essere.

Un’altra valutazione, sotto forma di un briefing scientifico commissionato per confluire nel report dell’Sustainable Development dell’ONU,ha scoperto che uno dei fattori chiave dietro al crescente rischio di collasso è la natura stessa del modello di crescita infinita del capitalismo, come attualmente strutturato. Più intensifichiamo il nostro consumo di risorse, materie prime, minerali ed energia, più stiamo utilizzando le risorse più economiche e abbondanti, e quindi maggiori sono i costi della produzione continua. Attingendo al lavoro pionieristico dell’ambientalista Professor Charles Hall, lo studio ha promosso un focus sul “ritorno energetico sull’investimento [energetico]” (EROI) dei sistemi energetici nazionali e globali per misurare quanto sono realmente efficienti (EROI misura la quantità di energia utilizzata per estrarre energia). La risposta? L’efficienza sta diminuendo per motivi in ​​gran parte geologici. Poiché i costi aumentano a causa della necessità di maggiori quantità di energia e di meccanismi di sfruttamento più complicati, i profitti alla società diminuiscono. Poiché stiamo usando quantità sempre maggiori di energia e risorse solo per estrarre più energia e risorse, il surplus che ci rimane per sostenere il finanziamento dei beni e servizi pubblici necessari per mantenere una civiltà funzionante sta diminuendo. Ciò non significa che stiamo esaurendo l’energia, ma significa che all’aumentare dei costi energetici e ambientali dell’estrazione di energia, abbiamo effettivamente sempre meno risorse per investire di nuovo in beni sociali chiave.

Gli economisti francesi Victor Court e Florian Fizaine hanno dimostrato in un recente studio sull’EROI globale che abbiamo superato i massimi livelli di efficienza. La quantità di energia che possiamo estrarre dai combustibili fossili, rispetto all’energia utilizzata per estrarla, era una volta redditizia – intorno a 44:1 negli anni ’60. Da allora è inesorabilmente diminuita, nel complesso a poco più di 30, accompagnata da un rallentamento a lungo termine del tasso di crescita dell’economia globale, da un calo della produttività e da un’espansione del debito. A questo ritmo di declino, entro il 2100 si prevede di estrarre lo stesso valore di EROI dai combustibili fossili come nel 1800. Mentre alla fine del secolo potrebbe essere prodotta più energia totale effettiva, l’energia in eccesso disponibile potrebbe essere ai livelli del diciannovesimo secolo, se continuiamo su un normale percorso di dipendenza dai combustibili fossili.

Questa difficoltà sta già determinando i disordini sociali, la polarizzazione comunitaria e la rinascita del populismo in una situazione in cui, né i governi né le platee più ampie comprendono davvero perché le economie continuano a sperimentare disfunzioni croniche, instabilità e crescita tiepida.

Il report alle Nazioni Unite prevedeva che questa traiettoria significa che l’attuale sistema economico, dipendente dalla crescita infinita per sopravvivere, semplicemente non può essere sostenuto. Senza un cambio di rotta,fa presagire quindi un futuro di disordini crescenti. Inevitabilmente, ci sposteremo verso un nuovo e diverso tipo di economia: se non sarà così, dovremo affrontare un rischio accentuato di tensioni sociali, che potrebbero precipitare in un conflitto; e nel peggiore dei casi potremmo anche affrontare il pericolo di un collasso.

La guerra nello specchio della civiltà

Il rischio di collasso è intrinsecamente intrecciato con la guerra: la traiettoria di crescita della civiltà industriale non ha solo consentito le tecnologie di guerra, ma è a sua volta abilitata da esse.

All’inizio di quest’anno, il principale comitato scientifico istituito per determinare l’accuratezza e la natura della definizione di Antropocene ha approvato la sua proposta iniziale, che ipotizza il 1950 come data di inizio per la nuova era geologica.

L’approvazione è il primo stadio di un processo scientifico più lungo per indagare e testare adeguatamente quella che è ancora, in termini scientifici grezzi, una mera ipotesi. Gli scienziati hanno basato le loro valutazioni preliminari sulla metà del XX secolo, come un importante punto di svolta in una nuova era di interferenza umana con la geologia terrestre, caratterizzata dall’espansione industriale, dalla proliferazione di prodotti chimici per l’agricoltura e, soprattutto, dall’invenzione e dall’impiegodella bomba atomica. I detriti radioattivi di quest’ultima si sono inglobati nei sedimenti e nei ghiacci, diventando parte della documentazione geologica. Tutto ciò dimostra un’impronta umana senza precedenti e inconfondibile in tutto il pianeta, i cui impatti saranno visti per decenni, secoli e millenni a venire.

La guerra, quindi, è incisa nel nerbo dell’Antropocene. Mentre il ventesimo e il ventunesimo secolo possono essere considerati come esempi della dinamica intrinsecamente ecocida della crescita esponenziale della civiltà umana, hanno anche mostrato un altro aspetto parallelo: la proliferazione sistematica della guerra, la violenza di massa e molteplici forme di genocidio.

Queste caratteristiche parallele – ecocidio e genocidio; la distruzione dei nostri sistemi ambientali di supporto vitale e la nostra distruzione diretta della vita dei membri della nostra stessa specie – non coincidono casualmente, ma sono sintomi del sistema della vita umana stessa, nella sua forma attuale.

Dal 1945 in poi, la civiltà umana è stata coinvolta nello scontro di due ideologie industriali pseudo-scientifiche di crescita infinita: il capitalismo e il comunismo – il primo si basava sull’estrema privatizzazione e identificazione, il secondo si basava sull’estrema nazionalizzazione e collettivizzazione.

Entrambi i paradigmi vedevano la Terra come poco più di un deposito esterno di risorse da sfruttare ad infinitum per il consumo infinito di una specie umana, ora auto-definita dalla sua facoltà industriale, determinata dal punto di vista della tecnologia.

Entrambe hanno promesso che i loro paradigmi avrebbero preannunciato oasi utopiche di prosperità industriale per le rispettive società.

In realtà, entrambe non solo “hanno Alterizzato” la Terra stessa, come mera risorsa da consumare da parte degli esseri umani, in quanto specie predatrice, ma contemporaneamente “hanno Alterizzato” ampie sezioni di popolazioni lavoratrici all’interno e al di fuori dei propri territori delineati, in quanto poco più che strumenti con cui accelerare all’infinito la produttività industriale; ed entrambe hanno continuato a vicenda, irragionevolmente, ad “Alterizzarsi” ogni volta che si sono scontrate (e anche quando non lo hanno fatto).

Il risultato è stato che nei loro sforzi molto diversi per espandersi, entrambi i sistemi hanno provocato la morte di massa di milioni di persone su scala gigantesca.

L’Unione Sovietica e la Cina maoista hanno implementato brutali metodi di collettivizzazione, nel loro cammino verso l’accelerazione della produttività, che ha prodotto morti immediate in massa. Ciò includeva la generazione di devastanti carestie artificiali. Le politiche di Stalin hanno eliminato tra 20 e 60 milioni di persone; il “Grande balzo in avanti” di Mao ha fatto morire di fame 27 milioni di persone.

Ma anche i governi occidentali liberali hanno lasciato una scia di sangue di un tipo abbastanza distinto, nella prima grande ondata di violenza dagli albori dell’Antropocene, come finora definita in modo provvisorio.

Dal 1945 in poi, i governi occidentali sotto la guida degli Stati Uniti –ammantandosi della qualità di leader del “mondo libero capitalista” –hanno perseguito una sequenza continua di interventi militari diretti e segreti in tutto il mondo. Gli interventi militari occidentali hanno generato un continuum di violenza in oltre 70 nazioni in via di sviluppo in Asia, Africa, Sud America e Medio Oriente dalla metà del secolo ad oggi.

Lo storico britannico Mark Curtis calcola che il numero totale di morti dirette e indirette, derivato da questi interventi è di circa 8,6-13,5 milioni – una sottostima conservatrice, egli precisa. Gli interventi miravano spesso a reprimere i movimenti nazionalisti per l’autodeterminazione. Sebbene pubblicamente giustificate come azioni difensive per respingere la sovversione comunista, la valutazione di Curtis sugli archivi storici del governo statunitense e britannico ha rivelato che i pianificatori politici hanno deliberatamente gonfiato la minaccia comunista, per giustificare un militarismo volto a difendere gli interessi commerciali occidentali e acquisire il controllo delle risorse fondamentali e materie grezze. In Medio Oriente, la ricompensa più grande è stata il controllo delle riserve strategiche di combustibili fossili, la vera linfa vitale della crescita economica.

Il development economist JW Smith ha proposto una stima più alta del bilancio delle vittime, che egli colloca su per giù tra i 12 e i 15 milioni di morti direttamente a causa di interventi militari occidentali, con ulteriori “centinaia di milioni” che muoiono come conseguenza indiretta della distruzione e della riconfigurazione delle loro economie. Smith ha delineato come gli interventi occidentali hanno spianato la strada all’imposizione di nuove relazioni sociali capitalistiche, progettate per estinguere la resistenza interna e integrare forzatamente i Paesi in via di sviluppo nell’economia capitalista globale.

Nel ventunesimo secolo, questa traiettoria di guerra si è intensificata, non è diminuita. Il motore trainante rimane l’uso della forza per espandere l’accesso alle risorse e al lavoro, al fine di lubrificare le reti in continua espansione del capitale globale. È un processo ammorbidito, tuttavia, da varie ideologie dell’umanitarismo, dello sviluppismo benigno e della “sicurezza nazionale”.

Le principali azioni della “guerra al terrorismo” in Iraq e in Afghanistan, ad esempio, sono nella loro essenza guerre per le risorse.

I documenti del Foreign Office britannico dimostrano chiaramente che i pianificatori politici americani e britannici hanno considerato l’invasione e l’occupazione dell’Iraq come un modo per consolidare l’accesso a una delle più grandi riserve petrolifere del mondo, garantendo al contempo il flusso continuo verso i mercati globali, al fine di contribuire a stabilizzare l’economia mondiale. In Afghanistan, i documenti del Congresso hanno rivelato sforzi di lunga data tra Stati Uniti e Occidente per stabilire una rotta di gasdotto trans afghano, per il trasporto di petrolio e gas dall’Asia centrale ai mercati occidentali, aggirando i rivali statunitensi Iran e Russia. Negli anni ’90, gli Stati Uniti e gli Inglesi hanno persino incanalato il sostegno ai Talebani, nel tentativo fallito di stabilire la “sicurezza” necessaria per perseguire il piano.

Di seguito, le amministrazioni di Obama e Trump hanno continuato a sostenere il progetto del gasdotto che è ancora in costruzione.

Nell’Antropocene, le guerre per le risorse sono bipartisan.

Entrambi i conflitti hanno provocato enormi violenze. Sebbene le stime di decessi più ampiamente accettate nell’ordine delle centinaia di migliaia siano abbastanza terribili, le stime su scala più ampia potrebbero essere più accurate, fino a un totale di circa 4 milioni di persone uccise direttamente e indirettamente in entrambi i conflitti dal 1990.

Da allora, la guerra nell’Antropocene si è intensificata e proliferata in modi nuovi e sorprendenti, mentre i nodi più vulnerabili della civiltà umana hanno iniziato a sperimentare livelli sovrapposti di incapacità e collasso, a causa della lenta accelerazione delle crisi convergenti di clima, energia, cibo e acqua. Le insurrezioni della Primavera Araba del 2011 sono sfociate in un protratto amalgama di rivolte accorpate, guerre civili e conflitti armati che hanno abbracciato più teatri, la Siria, lo Yemen, la Libia e oltre.

La Primavera Araba è stata innescata da shock dei prezzi alimentari che, a loro volta, sono stati determinati da una confluenza di shock economico-energetici che interagiscono con una serie di shock climatici, che hanno portato a siccità e crisi meteorologiche estreme nelle principali regioni del paniere alimentare del mondo. Molti Paesi della Primavera Araba, dalla Siria all’Egitto, allo Yemen avevano ridotto i sussidi per cibo e carburante negli anni precedenti, in gran parte a causa del crollo delle entrate statali – molti di loro erano stati ex grandi esportatori di petrolio, ma a metà degli anni ’90 avevano avuto esperienza dei picchi delle loro risorse petrolifere convenzionali interne. Con il calo della produzione, così è stato anche per i ricavi delle esportazioni. Con la scomparsa dei sussidi negli anni precedenti al 2011, unita ai picchi di prezzo globali dovuti alle dilaganti speculazioni del mercato sui prezzi delle materie prime, abbinate a carenze alimentari globali, i prezzi degli alimenti di base in questi Paesi, in gran parte dipendenti dalle importazioni, sono aumentati vertiginosamente. Poiché il prezzo del pane è divenuto inaccessibile, le persone in tutta la regione sono andate in strada.

La crisi del sistema terrestre dell’Antropocene ha svolto un ruolo fondamentale nel prolungare e amplificare questa crisi in Medio Oriente, che a sua volta ha spinto la migrazione e la ricerca di asilo, dal 2011 al 2015, a un livello senza precedenti. Circa l’11,5 percento della sola popolazione della Siria è stata uccisa nel conflitto che ne è seguito. L’Occidente, la Russia, l’Iran, la Turchia, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli Emirati Arabi Uniti hanno lottato per il controllo della Siria, per una serie di motivi geopolitici, non da ultimo la sua centralità verso potenziali rotte di trasbordo di petrolio e gas verso i mercati globali. I partigiani di queste diverse forze tendono ad assolvere la loro parte(i) favorita(e) di complicità, ma vale la pena notare che prima della rivolta del 2011 il Dipartimento di Stato stava negoziando attivamente con la Siria e funzionari dell’UE per portare avanti un tracciato di gasdotto attraverso il Paese, per trasportare petrolio iracheno verso l’Europa; la Russia ha considerato nel contempo gli sforzi di Assad di capitalizzare la posizione strategica della Siria, nei confronti dei corridoi energetici della regione, come una minaccia fondamentale ai piani di esportazione del gas di Putin: la guerra ha fornito il saccheggiatore ideale, con ciascuna parte che la utilizzava per cercare di promuovere i propri interessi, [e che] il popolo siriano sia dannato.

Nell’Antropocene, i cosiddetti antimperialisti hanno pochi scrupoli nel combattere guerre per le risorse nel proprio interesse personale.

Il milione e più di migranti, arrivato sulle rive dell’Europa, lo ha fatto come risultato diretto di queste guerre. Stavano sfuggendo a devastanti conflitti geopolitici amplificati da interessi legittimi, ma che erano stati anche creati o esacerbati da gravi siccità amplificate dai cambiamenti climatici.

Secondo la coautrice di uno studio chiave sulla connessione clima-migrazione, la dott.ssa RayaMuttarak, docente senior di Geografia e Sviluppo Internazionale presso l’Università dell’East Anglia: “L’effetto del clima sul verificarsi di conflitti è particolarmente rilevante per i Paesi nell’Asia occidentale nel periodo 2010-2012, quando molti hanno subito una trasformazione politica, durante le cosiddette rivolte della Primavera Araba.”Muttarak e il suo team hanno dimostrato che i cambiamenti climatici hanno posto le basi per le tensioni latenti che hanno portato allo scoppio della guerra in Siria e, trasversalmente, a parti della regione, generando siccità che ha determinato la migrazione di massa.

La migrazione di massa innescata da questi processi, a sua volta, ha trasformato e radicalizzato la politica in tutto l’emisfero occidentale. Essi hanno foraggiato le narrazioni nazionaliste estreme, finanziate da enormi quantità di “soldi sporchi” provenienti da uno spaccato delle élite di destra transatlantiche, molte delle quali hanno interessi particolari nel perpetuare la liberalizzazione per i colossi dei combustibili fossili e altre enormi corporation.

La migrazione di massa ha quindi alimentato le paure nativiste che hanno contribuito a alimentare l’ascesa di movimenti nazionalisti estremi, che improvvisamente hanno trovato nuovi elettorati rinnovati per le loro opinioni e linee politiche, con un numero crescente di cittadini ordinari che si sentivano delusi dall’ordine prevalente, ma non avevano modo di dare un senso a ciò. Sapevano, percepivano che qualcosa era profondamente sbagliato, che il vecchio ordine stava crollando, ma la loro diagnosi era incompleta, narcisistica, frammentata e orientata ai sintomi.Come tale, ha portato a un reazionismo politico incompleto, narcisistico, frammentato e orientato ai sintomi.

La serie di vittorie per l’estrema destra che ha seguito l’eruzione della crisi del sistema Terra, in Medio Oriente tra il 2011 e il 2015, può quindi essere considerata conseguenza diretta di un’incoerente risposta conoscitiva alla crisi, che ha reagito puramente al suo principale sintomo:il disperato movimento di massa di popoli vulnerabili.

Abbiamo così assistito a una serie di cambiamenti sismici nella riconfigurazione dei sistemi politici occidentali, un rafforzamento e centralizzazione del potere, un auto-accentramento dei valori, un rifiuto difensivo della scienza e una polarizzazione delle identità, il che si è manifestato in una serie di vittorie nazionaliste estreme. Nel 2014, i partiti di estrema destra hanno vinto poco meno di un quarto di tutti i seggi al Parlamento europeo. Nel 2015, David Cameron è stato rieletto Primo Ministro a maggioranza parlamentare, una vittoria attribuita in parte alla sua promessa di indire un referendum sull’adesione della Gran Bretagna all’Unione Europea. All’insaputa di molti, i Tories avevano tranquillamente stabilito collegamenti ad ampio raggio con molti degli stessi partiti di estrema destra, che ora stavano conquistando posti nell’UE. L’anno seguente, a giugno, il referendum “Brexit” ha scioccato il mondo con il suo risultato:un voto a maggioranza per lasciare l’UE. Sei mesi dopo, il guru miliardario del settore immobiliare,Donald Trump, è diventato Presidente del Paese più potente del mondo. Come i Conservatori nel Regno Unito, anche i Repubblicani avevano forgiato connessioni transatlantiche con partiti e movimenti di estrema destra europei. Da allora, i partiti di estrema destra hanno ottenuto continui vantaggi elettorali in tutta Europa, in Italia, Svezia, Germania, Francia, Polonia e Ungheria; ora sono poco meno di un terzo dei seggi al Parlamento europeo – e si stanno rapidamente consolidando altrove, nelle Filippine, in Brasile, in India, in Myanmar e oltre.

I problemi e le tribolazioni della politica contemporanea, la crescente polarizzazione tra sinistra e destra, l’incapacità cronica di impegnarsi in modo costruttivo trasversalmente alle divisioni ideologiche, sono diventati un’iperrealtà da pantomima che ossessiona la nostra coscienza, attraverso i nostri schermi televisivi, computer da scrivania, laptop, smartphone e dispositivi indossabili.L’anello mancante è il contesto planetario – le crisi della politica contemporanea sono, in effetti, onde di marea, ma si verificano sulla superficie di un oceano in subbuglio, di cui, a tutti gli effetti, restiamo ignari.

La crisi politica è un sintomo dell’accelerazione della crisi del sistema terrestre.E come ha affermato Clausewitz, la guerra è una continuazione della politica con altri mezzi.

Colonizzazione e globalizzazione nell’Antropocene

Non tutti concordano, tuttavia, che l’Antropocene abbia avuto inizio a metà del XX secolo.Alcuni sostengono che esista un solido caso geologico per fare iniziare l’Antropocene,all’alba del moderno impero globale.

I geografi britannici Simon Lewis e Mark Maslin hanno addotto una data molto precedente per questa era inedita, che “aderisce ai criteri geologici per la definizione di un’epoca: il 1610. Questa data segna il cambio irreversibile di specie, in seguito alla collisione di Vecchio e NuovoMondo”, che ha coinciso con”un associato rilascio insolito di CO2 atmosferica, catturata nei nuclei di ghiaccio dell’Antartico”.

Questa datazione alternativa per l’Antropocene deriva dall’impatto misurabile dell’agricoltura, in relazione alla colonizzazione dell’America da parte degli Spagnoli, un evento cardine che molti storici considerano come il segno dell’inizio di una nuova e distintiva era dell’impero che ha facilitato la nascita del capitalismo globale.Il rilascio di CO2 all’epoca, visibile oggi nei nuclei di ghiaccio, derivava dalla “ricrescita della vegetazione sui terreni agricoli abbandonati, a seguito della morte di 50 milioni di indigeni Americani (principalmente per il vaiolo portato dagli Europei).L’annessione delle Americhe da parte dell’Europa era anche un prodromo essenziale della Rivoluzione Industriale, e quindi fotografa le ondate successive di cambiamenti ambientali.”

Questa datazione alternativa offre una rivisitazione avvincente dell’Antropocene, che lo associa direttamente alla violenza dell’impero, con la data del 1610 che fornisce il ponte che collega la violenza storica della scoperta coloniale con il conseguente espansionismo, per mezzo della conquista biologica.

Ciò comprendeva le carestie di massa del “libero mercato” in Irlanda e India, che sono state testimoni, rispettivamente, della morte da un milione fino a 12 milioni [di persone];così come il commercio di schiavi transatlantico che ha visto la morte di oltre 65 milioni di Africani nel corso di cinque secoli – un regime internazionale inondato di sangue che era indissolubilmente legato alla formazione di un sistema mondiale capitalista, che ha contribuito a facilitare la rivoluzione industriale britannica.

Secondo questo standard, l’Antropocene – che comprende il periodo in cui la specie umana più nel profondo e quasi permanentemente ha iniziato a trasformare la stessa geologia della Terra – rappresenta al contempo la rapida espansione dell’impero e, con essa, la costruzione sistematica di nuove categorie razziali per legittimare il sistema emergente dell’apartheid globale che ne è derivato.

In questo stesso periodo, abbiamo visto l’alba del razzismo scientifico, il concetto formale e scientificamente giustificato di razze molteplici, il retaggio grottesco per cui continuiamo a lottare oggi. L’idea che esistano diverse”razze” può essere ricondotta all’appropriazione e alla distorsione politica delle teorie neo-darwiniane dell’evoluzione, per sostenere le gerarchie razziali che posizionavano gli Europei bianchi ai vertici del progresso umano civilizzato,in questa forza inarrestabile dell’espansione industriale globale.

Il razzismo, quindi, non è discriminazione contro altre “razze”.È l’atto stesso di creare l’idea di una “razza” distintiva di persone – cioè di possedere caratteristiche comuni generalizzate, un atto inseparabile fin dagli albori dell’Antropocene, che ha visto la nascita di una civiltà definita dalla sua insaziabile famedi risorse e lavoro.

Le costruzioni polarizzate dell'”Altro” hanno svolto una funzione ideologica cruciale in tutto l’Antropocene, che ha separato gli esseri umani dagli ambienti in cui si trovano e dividendoli l’uno dall’altro in fazioni di sfruttamento del potere.E quindi non sorprende che la formalizzazione del razzismo come sistema globale sembrasse solidificarsi durante la Rivoluzione Industriale, quando il dominio della specie umana sulla Terra ha iniziato a raggiungere un’accelerazione esponenziale.

All’inizio del diciannovesimo secolo, il razzismo si manifestava in gran parte come un’ideologia religiosa legata alle interpretazioni della Bibbia, considerando i gruppi non europei intrinsecamente inferiori, a causa delle loro credenze pagane e dei loro antenati, e erano spesso presi di mira gli Ebrei. Dalla metà del diciannovesimo fino all’inizio del ventesimo secolo, il razzismo si è evoluto sulla base di teorie biologiche scientificamente giustificate che attribuivano tratti fissi, comportamenti, caratteristiche, abilità e disabilità a gruppi di persone, costruiti in base alle loro presunte caratteristiche biologiche distintive. Da allora, il razzismo ha continuato a evolversi ed è ampiamente sostenuto da una teoria culturale che proietta ancora costruzioni omogenee di diversi gruppi sociali con tratti e caratteristiche comuni,ma derivate invece dalla loro appartenenza a una cultura, etnia, nazione,lingua o fede. Spesso, il razzismo oggi si ispira a tutte queste teorie subliminali – i suoi sostenitori spesso non riconoscono nemmeno ciò che stanno facendo.

Il compianto sociologo Stuart Hall ha descritto a meraviglia la “razza” come un “significante flottante”(1). Piuttosto che essere un concetto fisso, ha spiegato, la razza è sempre stata una costruzione profondamente e intrinsecamente politica, proiettata da potenti gruppi dominanti, che giustifica relazioni di potere ineguali con altri gruppi. Come tale, è un costrutto che cambia e si adatta alle circostanze storiche. Lungi dall’essere esclusivamente determinato biologicamente, Hall ha dimostrato che il nuovo tipo di razzismo culturale va oltre la discriminazione legata al colore della pelle. Invece, si concentra sulle culture immaginate delle persone, astrazioni generalizzate sulle loro credenze e pratiche, proiettando una gerarchia di culture. Gli stereotipi “razzializzati” quindi tagliare trasversalmente le differenze di colore e categorie “non razziali” come la fede, la cultura e la civiltà possono diventare codice razzista per pratiche discriminatorie simili. Un risultato è la proiezione di una divisione insuperabile tra “Occidente” e “il Resto”, in cui gli “Occidentali” sono visti come “civili”, “affidabili”, “il conosciuto”, mentre i “migranti”, “Musulmani”, ” richiedenti asilo “,” stranieri “e così via sono considerati”incivili”,”pericolosi”e”il diverso”.

L’approfondimento e l’accelerazione dell’identità-politica sono una caratteristica distintiva della coda dell’Antropocene, poiché il progetto di crescita senza fine di massima estrazione, sfruttamento e centralizzazione delle risorse,concepisce e consolida le divisioni multiple tra gli esseri umani nel suo percorso di auto-legittimazione. E così anche gli impatti devastanti della crisi del sistema terrestre rimangono “razzializzati”, con le peggiori conseguenze che colpiscono in modo sproporzionato le nazioni più povere e più cupe del mondo.

La guerra è, forse, il sintomo superficiale più visibile della caratteristica distintiva dell’Antropocene.

Nell’Antropocene, noi tutti diventiamo Altri.

Non è ancora troppo tardi per iniziare a ridefinire attivamente il significato dell’Antropocene.

In definitiva, il carattere dell’Antropocene finora è un riflesso del sistema di civiltà umana all’interno del paradigma prevalente.Questo è un paradigma che distrugge la vita, una macchina di morte la cui logica interna culmina nella sua stessa fine.È una griglia di credenze, valori, comportamenti e forme organizzative interconnesse che funge come una barriera, non un punto di accesso, alla vita, alla natura e alla realtà.

E in tal senso, la fine di questo paradigma è assolutamente inevitabile.Ma ciò non cancella la scelta che abbiamo di fronte – che è decidere se l’umanità perirà tra le ceneri di questo paradigma, o pianterà semi di un nuovo paradigma di affermazione della vita, costruendo un sistema emergente per il fiorire di una nuova civiltà ambientale.

Se la civiltà umana deve sopravvivere, non sarà ciò che vediamo davanti anoi – eretta sul sangue di milioni [di persone]; fondata sull’esaurimento delle risorse planetarie; che schiaccia le ossa dei poveri, dei vulnerabili e dei deboli;ostinata all’auto-annientamento –è questo che fa. Questo è un paradigma ammaliato da una tecno-iperrealtà di sua propria proiezione;un simulacro utopico di crescita senza fine, che tenta disperatamente di nascondere il proprio nucleo distopico alla consapevolezza di sé.

E quindi il nostro compito è riflettere su ciò che abbiamo veramente fatto a vicenda e al pianeta; e riconoscere che questi due fenomeni fanno parte dello stesso paradigma autodistruttivo: uno che costruisce perpetuamente un’iperrealtà di divisioni, confini e frontiere, attorno a espressioni proiettate dell'”Altro”, apparentemente necessitando di comportamenti parassiti e sfruttatori. Ciò che emerge da questo riconoscimento è l’abbandono delle illusioni binarie che hanno segnato il cammino della civiltà per centinaia di anni, e quindi l’accettazione di una nuova idea di ciò che significa essere umani – recuperando l’essenza della nostra esistenza come esseri che, insieme, sono venuti da e inevitabilmente torneranno alla Terra stessa.

Nafeez Ahmed è l’editore fondatore del progetto di giornalismo investigativo INSURGE intelligence, al 100% finanziato dai lettori. Il suo ultimo libro èFailing States, Collapsing Systems: Bio Physical Triggers of PoliticalViolence (Springer, 2017). È un giornalista investigativo da 18 anni,precedentemente per The Guardian, dove ha riferito sulla geopolitica delle crisi sociali, economiche e ambientali. Riferisce ora sul “cambiamento globale del sistema” per Motherboard di Vice. Ha scritto per The Times,Sunday Times, The Independent on Sunday, The Independent, The Scotsman, Sydney Morning Herald, The Age, Foreign Policy, The Atlantic, Quartz, New York Observer, The New Statesman, Prospect, Le Mondediplomatique, tra gli altri posti. Ha vinto due volte il Project Censored Awardper la sua inchiesta investigativa; due volte è stato inserito nella lista dei 1.000 tra i più influenti londinesi del Evening Standard; e ha vinto il Premio Napoli, il più prestigioso premio letterario italiano ideato dal Presidente della Repubblica. Nafeez è anche un accademico interdisciplinare ampiamente pubblicato e citato che, all’impeto ambientale e della politica, applica l’analisi di sistemi complessi. È ricercatore presso il Schumacher Institute.

Fontehttps://medium.com/insurge-intelligence/

Linkhttps://medium.com/insurge-intelligence/war-empire-and-racism-in-the-anthropocene-133f13c3fb1

27.06.2019

 

Scelto e tradotto da per www.comedonchisciotte.org da NICKAL88

Nota a cura del traduttore

  • I significanti flottanti o significanti vuoti sono concetti linguistici in cui i significanti non hanno precisi significati di riferimento, cioè sono parole che non hanno corrispondenza con un oggetto preciso. […] Un significante fluttuante, ovvero una parola con “valore simbolico zero”, trova la sua necessità nel “permettere al pensiero simbolico di operare nonostante la contraddizione ad esso inerente”.

Il concetto di significanti flottanti viene impiegato nella critica postmodernista. Spesso è associato a parole come razza e genere, per affermare che la parola è più concreta del concetto che essa descrive, un concetto soggetto a cambiamenti molto ampi ma sempre descritto da una parola apparentemente immutabile. […]

Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Significante_flottante

 

 

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