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La Redazione

 

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Dalla recinzione delle terre alla recinzione della vita – 4a Parte

Scritti di donne su Natura, beni comuni, saperi femminili, cacce alle Streghe
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A cura di Redazione CDC
Il 7 Giugno 2021
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Dalla recinzione delle terre alla recinzione della vita – 2a Parte

Caspar David Friedrich, Donna al tramonto del Sole, dipinto a olio su tela, 1818 - Museum Folkwang ad Essen, Germania

Donne e Natura sono accomunate dall’oppressione e dallo sfruttamento che le società patriarcali hanno esercitato ed esercitano tuttora su di esse.

D’altro canto osserviamo che molte popolazioni che hanno organizzato la propria esistenza nel rispetto dei cicli vitali della Terra, hanno dato origine a rapporti comunitari in cui veniva riconosciuto il ruolo delle donne nella elaborazione delle strategie di sopravvivenza e rispettato il loro sapere.

Molte studiose femministe, ciascuna nel proprio campo di competenza, hanno messo in luce questi aspetti e hanno proposto nuovi modelli di conoscenza che possono rappresentare delle alternative al pensiero unico del capitalismo globale.

Dalla recinzione delle terre alla recinzione della vita – 4a parte

A cura di Anna De Nardis, ComeDonChisciotte.org

In ricordo di Joyce Lussu, maestra e amica

Parola di sociologa

Silvia Federici, docente di politica internazionale e filosofia politica, individua nella costruzione di un nuovo ordine patriarcale

un aspetto centrale dello sviluppo capitalistico (Federici, 2015, p. 165)

e nella caccia alle Streghe un momento fondante della transizione.

Nel libro Calibano e la strega, una Storia delle donne nella transizione dal feudalesimo al capitalismo, scrive:

Da qualsiasi punto di vista – sociale, economico, culturale, politico – la caccia alle streghe è stata un punto di svolta cruciale nella vita delle donne […]. La caccia alle streghe distrusse un intero mondo di pratiche femminili, di rapporti collettivi e sistemi di conoscenza che erano stati alla base del potere delle donne nell’Europa precapitalistica e la condizione della loro resistenza nella lotta contro il feudalesimo. (Federici, 2015, p. 149)

Questa campagna di terrore senza precedenti, scatenata contro le donne, ha indebolito la resistenza dei contadini europei all’attacco lanciato contro di loro dalla nobiltà e dallo Stato, in un momento in cui tutta la comunità contadina si stava disgregando sotto l’urto congiunto della privatizzazione della terra, dell’aumento delle tasse e dell’aumento del controllo statale su ogni aspetto della vita sociale. La caccia alle streghe ha reso più profonda la divisione tra donne e uomini, insegnando agli uomini a temere il potere delle donne, e ha distrutto un universo di pratiche, credenze e soggetti sociali la cui esistenza era incompatibile con la disciplina del lavoro capitalistico, ridefinendo in questo modo i principali elementi della riproduzione sociale. Al pari del concomitante attacco alla cultura popolare e del “grande internamento” dei poveri e dei vagabondi nelle case di lavoro e di correzione, la caccia alle streghe è stata un aspetto essenziale dell’accumulazione originaria e della transizione al capitalismo. (Federici, 2015, p. 211)

La sintesi delineata da Silvia Federici concorda con le linee di fondo degli studi precedentemente riportati, anche se il suo interesse è rivolto all’apporto dato dalle donne, con il lavoro di riproduzione, all’accumulazione capitalistica, e alle relative politiche di controllo esercitate dalle classi dominanti. Il quadro è inoltre arricchito dall’attenzione alle politiche coloniali, dalla ricerca delle consonanze tra gli avvenimenti europei e quelli delle terre conquistate, e da interessanti confronti con la storia contemporanea che dimostrano la continuità fino ai giorni nostri delle caratteristiche delle politiche di dominio esercitate nel passato.

Per il percorso che si va costruendo, è particolarmente interessante l’accento che l’autrice pone sul concetto di recinzione (enclosure), utilizzato non soltanto nel caso dell’espropriazione delle terre comuni, ma anche per indicare le modalità con cui il potere veniva esercitato sul corpo delle donne1, oltre che con valore simbolico, riferendosi al controllo delle relazioni sociali e al sovvertimento dei valori culturali.

Inoltre Silvia Federici sottolinea che

la caccia alle streghe ebbe luogo contemporaneamente alla colonizzazione e allo sterminio delle popolazioni del Nuovo Mondo, alle recinzioni in Inghilterra, all’inizio del commercio degli schiavi, all’emanazione di “leggi sanguinarie” contro vagabondi e mendicanti, e che raggiunse il suo apice in quell’interregno tra la fine del feudalesimo e il decollo del capitalismo quando i contadini in Europa consumavano la loro storica sconfitta. (Federici, 2015, p. 210)

La situazione descritta può essere assimilata alle conseguenze delle politiche neoliberiste attuate dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, come fa Federici in più punti della sua trattazione, sulla base delle esperienze personali realizzate in Nigeria:

Analoghi fattori sono all’origine della recrudescenza delle accuse di stregoneria, in tempi recenti, in vaste regioni dell’India e dell’Africa, dove funziona tuttora come strumento di divisione sociale. A seguito della politica di privatizzazione della terra, dell’estinguersi dei rapporti comunitari e della disgregazione del tessuto sociale, a partire dagli anni ’90, migliaia di donne, di solito vecchie e povere, sono state uccise in vari paesi africani. Nel Transvaal settentrionale, settanta donne sono state bruciate solo nei primi quattro mesi del 1994. Cacce alle streghe si sono verificate anche in Kenya, Nigeria, Ghana, Zambia, Cameroon, in concomitanza con l’imposizione da parte del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale della politica di aggiustamento strutturale, che ha inaugurato una nuova fase di recinzioni e causato un impoverimento senza precedenti tra la popolazione, da cui è scaturito anche un conflitto intergenerazionale. […]

La ricomparsa della caccia alle streghe in tante parti del mondo negli anni ’80 e ’90 è un segno inequivocabile di un processo di accumulazione originaria. Significa cioè che la privatizzazione della terra e delle risorse comunitarie, la pauperizzazione delle masse, il saccheggio e l’inasprimento delle divisioni all’interno di comunità un tempo coese sono di nuovo al centro dell’agenda mondiale. (Federici, 2015, pp. 209-301)

Da tali considerazioni nasce una nuova consapevolezza:

In questo contesto il mio lavoro sulla transizione ha assunto un nuovo significato. In Nigeria ho compreso che la resistenza all’aggiustamento strutturale fa parte di una lunga lotta contro la privatizzazione della terra e contro le “recinzioni”, non solo delle terre comuni ma anche dei rapporti sociali, che risale alle origini del capitalismo. Ho anche capito che la vittoria che la disciplina del lavoro capitalistica ha ottenuto sulle popolazioni del pianeta è molto limitata e che molti ancora vedono la propria vita in modi radicalmente antagonisti ai canoni richiesti dalla produzione industriale. […] Devo questa nuova consapevolezza anche all’incontro con Donne in Nigeria, la prima organizzazione femminista del paese, che mi ha aiutata a comprendere le lotte che le donne nigeriane stanno sostenendo per difendere le proprie risorse e per rifiutare il nuovo modello di patriarcato, promosso della Banca Mondiale, che si vuole imporre (Federici, 2015, p. 14)

Questa testimonianza, che viene avvalorata dall’analisi e dall’azione politica di Vandana Shiva, di cui daremo alcuni elementi nelle pagine seguenti, dimostra come sia attuale la connessione, individuata fin dall’inizio, tra gli aspetti che hanno caratterizzato la nascita dell’era moderna: espropriazione-recinzione delle terre, imposizione della cultura patriarcale-meccanicistica, politiche di dominio e lotta all’autonomia delle donne, esercitata anche con violenza estrema.

Seguiamo brevemente il percorso tracciato da Federici:

In Inghilterra la privatizzazione della terra fu ottenuta perlopiù per mezzo delle “recinzioni” (enclosures), un fenomeno così strettamente associato all’espropriazione del proletariato dai “beni comuni” da essere ancora oggi usato dagli attivisti anticapitalisti per indicare qualsiasi attacco ai diritti sociali. [Nel XVI secolo il termine] si riferiva principalmente all’abolizione del sistema dei campi aperti, secondo il quale i contadini coltivavano appezzamenti non contigui in campi non delimitati.

La recinzione comportava anche l’esclusione dalle terre comuni (commons) e l’abbattimento delle baracche di quei villici poveri che, pur non possedendo alcuna terra, riuscivano a sopravvivere grazie all’accesso ai diritti comunitari. Vasti appezzamenti di terra furono recintati anche per creare riserve di cervi, mentre interi villaggi furono distrutti per trasformare la terra in pascolo. Sebbene le recinzioni siano continuate fino al XVIII secolo già prima della Riforma erano state distrutte in questo modo più di 2000 comunità rurali.

Federici fa un cenno al lungo dibattito sui pro e i contro della privatizzazione della terra che continua ancora oggi,

rivitalizzato dall’assalto che la Banca Mondiale ha lanciato contro le ultime terre comunitarie del pianeta,

imponendo

ai governi dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e dell’Oceania di privatizzare le terre comuni per poter accedere ai suoi prestiti (Banca Mondiale 19892)

Prova della miseria prodotta dalla privatizzazione della terra è che […] neanche un secolo dopo lo sviluppo del capitalismo agrario sessanta città europee avevano istituito forme di assistenza sociale o si movevano in questa direzione, mentre il vagabondaggio era diventato un problema internazionale.

L’antico sistema, invece,

proteggeva i contadini dallo scarseggiare del raccolto, […] promuoveva un modo di vita democratico, basato sull’autogestione, in quanto ogni decisione – quando piantare o raccogliere, quando drenare gli acquitrini, quanti animali tenere sulle terre comuni – veniva presa dalle assemblee contadine.

Le stesse considerazioni valgono per le terre e gli altri beni comuni. […] Oltre a incoraggiare le decisioni collettive e la cooperazione nel lavoro, le terre comuni costituivano la base materiale su cui prosperavano la solidarietà e la socialità contadina. Tutti i festival, i giochi e le riunioni della comunità si tenevano nei commons.

(Tra rituali che scomparvero c’era la Rogationtide perambulation, una processione annuale tra i campi per benedire i raccolti che venne impedita dalla recinzione dei terreni3).

La funzione sociale delle terre comuni era particolarmente importante per le donne, che, avendo meno titolo per accedere alla terra e meno potere sociale, dipendevano maggiormente da esse per la propria sussistenza e la propria autonomia e socialità. […] possiamo dire che le terre comuni costituivano il centro della loro vita sociale, il posto in cui si ritrovavano, in cui scambiavano notizie, si consigliavano e in cui prendeva forma un punto di vista femminile, svincolato da quello degli uomini, sugli eventi della comunità. […]

Quando la terra fu privatizzata e i contratti individuali presero il posto di quelli collettivi, non solo morì la cooperazione nel lavoro agricolo, ma si accentuarono le differenze economiche tra la popolazione rurale […]. L’esito fu una classe contadina non solo polarizzata da profonde differenze economiche, ma divisa da un intreccio di odi e di risentimenti ben documentati nei resoconti della caccia alle streghe, che mostrano come litigi relativi a domande di aiuto, a sconfinamenti di animali o ad affitti non pagati stessero a monte di molte accuse. […]

Non appena persero l’accesso alla terra, tutti i lavoratori vennero gettati in uno stato di dipendenza mai conosciuto prima nel periodo medievale, poiché la loro condizione di senza terra diede ai datori di lavoro il potere di ridurre le paghe e allungare la giornata lavorativa. Nelle aree protestanti ciò avvenne nel nome della riforma religiosa, che raddoppiò la durata dell’anno lavorativo eliminando le festività dei santi. (Federici, 2015, pp. 95-101)

[…]

la differenza di potere tra donne e uomini e l’occultamento del lavoro non pagato delle donne, sotto la copertura dell’inferiorità naturale, hanno permesso al capitalismo di espandere enormemente la “parte non pagata della giornata di lavoro” e di usare il salario (maschile) per accumulare il lavoro delle donne. In molti casi ciò è servito anche a mutare l’antagonismo di classe in un antagonismo tra donne uomini. Per questo l’accumulazione originaria è stata soprattutto accumulazione di differenze, ineguaglianze, gerarchie, divisioni, che hanno alienato i lavoratori l’uno dall’altro e perfino da se stessi. (Federici, 2015, p. 167)

Un altro tema, che si collega al progetto di dominio della natura e alle pratiche violente contro le streghe e i poveri, è la politica di controllo dei corpi, esercitata verso i soggetti subalterni al fine di adattarli alla necessità di forza lavoro del nascente capitalismo.

Una politica realizzata con metodi coercitivi, che trova sostegno nelle concezioni dell’uomo elaborate da filosofi meccanicisti.

È nel tentativo di formare un nuovo tipo di individuo che la borghesia ha ingaggiato quella battaglia contro il corpo che è diventata il suo marchio storico. […]

Mercificando il lavoro, il capitalismo obbliga i lavoratori a sottomettere le proprie energie a un ordine esterno, su cui non hanno alcun controllo e con cui non possono identificarsi. (Federici, 2015, p. 172)

A questo scopo fu instaurato

un vero e proprio regime di terrore attuato con l’intensificazione delle pene […], l’introduzione di “leggi sanguinarie” contro il vagabondaggio, […] e il moltiplicarsi delle esecuzioni. […]

Ma la violenza della classe dominante non si limitò a reprimere le trasgressioni. Il suo maggiore obiettivo era una radicale trasformazione della persona, volta a sradicare nel proletariato qualsiasi comportamento che non contribuisse a una più intensa disciplina del lavoro. Le dimensioni di questo attacco si deducono dalla legislazione che a metà del XVI secolo fu introdotta in Inghilterra e in Francia per regolamentare la vita sociale. Furono proibiti i giochi, soprattutto quelli d’azzardo […]. Insieme ai bagni pubblici, furono chiuse le taverne. Si penalizzò la nudità, così come molte altre forme “improduttive” di sessualità e socialità. […]

È nel corso di questa vasta operazione di ingegneria sociale che cominciano a delinearsi una nuova concezione del corpo e una nuova politica nei suoi confronti (Federici, 2015, pp. 174-175)

In un’epoca in cui il basso livello dello sviluppo tecnologico rendeva necessaria la forza degli esseri umani,

il corpo sale alla ribalta […] come il maggior mezzo di produzione, la prima macchina da lavoro. Per questo nelle strategie messe in atto dallo Stato nei confronti del corpo, troviamo molta violenza, ma anche molto interesse, tanto che dallo studio dei suoi moti e delle sue proprietà prende avvio gran parte della speculazione teorica dell’epoca, sia che si proponga (con Descartes) di dimostrare l’immortalità dell’anima o di indagare (con Hobbes) le premesse della governabilità sociale.

La cornice filosofica è quella meccanicistica: nel trattato L’uomo, Descartes applicò la fisica galileiana per spiegare tutte le funzioni fisiologiche del corpo umano in termini di materia in movimento:

Queste funzioni conseguono naturalmente, in questa macchina, dalla semplice disposizione degli organi, né più né meno come i movimenti di un orologio4. Il trattato L’uomo di Descartes è un vero e proprio manuale di anatomia, sebbene si tratti di un’anatomia sia psicologica che fisica, poiché uno degli obiettivi principali dell’opera è istituire una divisione ontologica tra una sfera puramente mentale e una sfera puramente fisica. (Federici, 2015, p. 177)

Operata questa scissione,

Nella filosofia meccanica il corpo è descritto in analogia alla macchina […] e visto come bruta materialità, pura sostanza completamente dissociata da qualsiasi qualità razionale che, in quanto tale, non vuole, non conosce, non sente. Il corpo è un “puro assemblaggio di membra”, afferma Descartes nel 1637 nel suo Discorso sul metodo. […] Anche per Hobbes il corpo è un insieme di azioni meccaniche che, in assenza di potere autonomo, possono operare solo in virtù di cause esterne. (Federici, 2015, p. 179)

Si costruiscono, così, i presupposti per teorizzare il controllo totale sui corpi.

Nella visione della filosofia meccanica si percepisce un nuovo spirito borghese che calcola, classifica, distingue e degrada il corpo solo per razionalizzarne le facoltà, mirando non solo a intensificarne l’assoggettamento, ma a massimizzarne l’utilità sociale. Lungi dal proporre la rinuncia al corpo, i teorici meccanicisti cercano di concepirlo in modo da far sì che le sue operazioni siano comprensibili e controllabili. […]

In questo senso, i percorsi della filosofia meccanica hanno contribuito al crescente controllo della classe dominante sulla natura, di cui la prima e indispensabile premessa era il controllo sulla natura umana. […]

Con Descartes corpo e materia arrivano a identificarsi perché entrambi sono costituiti dalle stesse particelle e agiscono in conformità a leggi fisiche uniformi, messe in moto per volontà di Dio. Con Descartes, dunque, non solo il corpo è pauperizzato ed espropriato di ogni virtù magica, ma nella grande scissione ontologica che Descartes istituisce tra l’essenza dell’umanità e le sue condizioni accidentali, il corpo è separato dalla persona e letteralmente disumanizzato. (Federici, 2015, pp. 179-181)

Ma se il corpo è una macchina, il problema che subito si pone è come attivarla, come farla lavorare. A questo proposito, due diversi modelli di gestione del corpo emergono dalle teorie della filosofia meccanica, terreno cruciale nel XVI e nel XVII secolo per il dibattito sulla “natura umana” e la forma dello Stato. Da una parte il modello cartesiano che, partendo dall’assunto di un corpo puramente meccanico, postula la possibilità di sviluppare nell’individuo meccanismi di autodisciplina e autoregolazione consoni a rapporti di lavoro volontari e a un governo basato sul consenso. Dall’altra il modello hobbesiano, che negando la possibilità di una ragione libera dal corpo, esterna le funzioni del comando consegnandole al potere assoluto dello stato. (Federici, 2015, p. 190)

Queste descrizioni, tuttavia, non si discostano nella sostanza, perché la finalità resta il dominio del corpo:

Nel modello cartesiano della persona non vi è un dualismo egualitario tra corpo-macchina e testa pensante, ma solo un rapporto schiavo-padrone, perché il compito principale della volontà è di dominare il corpo e il mondo naturale. Si assiste infatti, nel modello cartesiano della persona, a quella stessa centralizzazione delle funzioni del comando che, nel periodo in cui Descartes scriveva i suoi trattati, stava caratterizzando la nuova forma dello stato. (Federici, 2015, p. 193)

D’altro canto,

il conflitto tra il “teismo” cartesiano e il “materialismo” hobbesiano si sarebbe risolto nel tempo nella loro reciproca assimilazione… (Federici, 2015, p. 198)

La politica di controllo del corpo è strettamente connessa con le formulazioni intellettuali e le ricadute sociali della caccia alle streghe; questo intreccio modifica radicalmente la gestione della salute. La visione meccanicistica dei fenomeni naturali, l’espropriazione di spazi di gestione nella vita delle classi subalterne, la condanna di saperi e pratiche di donne e guaritori, apre la strada al monopolio di una medicina riduzionista, appannaggio di un ceto formato di maschi, ricchi, bianchi. Federici scrive che: storicamente la strega

era la levatrice del villaggio, la medicotta, la chiaroveggente

come Gostanza, una donna processata come strega nel 1594 a San Miniato.

Non aveva alcun interesse a suscitare paura nella comunità, perché praticando le sue arti si guadagnava da vivere. Era infatti molto popolare, tutti andavano da lei per curarsi, per farsi predire il futuro, per trovare le cose perse o per procurarsi filtri d’amore. Ma non sfuggì alla persecuzione. Dopo il concilio di Trento, la Controriforma prese una posizione forte contro i guaritori popolari, temendo il loro potere e il loro radicamento nella cultura della comunità. […]

Con la persecuzione della medicina popolare, le donne furono espropriate di un patrimonio di saperi empirici su erbe e rimedi curativi che avevano accumulato e trasmesso di generazione in generazione, e la cui perdita ha aperto la strada a una nuova forma di recinzione. È nata così la medicina professionale, che ha eretto davanti alle “classi inferiori” un muro di inoppugnabile sapere scientifico, proibitivo nei costi e alieno, nonostante le sue pretese terapeutiche. (Federici, 2015, pp. 263-264)

Parallelamente la sociologa ci offre altri spunti di riflessione a partire dall’espulsione delle levatrici della pratica ostetrica: già prima del successo delle teorie mercantilistiche – afferma Federici –

si assistette all’inizio del censimento demografico e dell’intervento dello stato nella supervisione della sessualità, della procreazione e della vita familiare. Tuttavia l’iniziativa più importante promossa dallo stato […] fu l’avvio di una vera e propria guerra contro le donne, con il chiaro scopo di spezzare il controllo che esercitavano sui loro corpi e sulla riproduzione. […] Questa guerra fu portata avanti principalmente con la caccia alle streghe, che demonizzò ogni forma di controllo delle nascite e di sessualità non procreativa […] Fu così che, a partire dalla metà del XVI secolo, mentre le navi portoghesi ritornavano dall’Africa con i loro primi carichi di esseri umani, tutti i governi europei iniziarono a imporre pene più severe contro la contraccezione, l’aborto e l’infanticidio. […]

Anche il sospetto in cui caddero le levatrici in questo periodo – preparatorio all’entrata dei dottori maschi nella stanza del parto – nasceva più della paura dell’infanticidio da parte delle autorità che da una presunta incompetenza medica delle ostetriche.

Con l’emarginazione della levatrice iniziò il processo che fece perdere alle donne il controllo sulla procreazione e che le confinò a un ruolo passivo nel parto […]

In Francia in Germania le levatrici dovettero diventare spie dello stato, se volevano continuare a praticare. Da loro ci si aspettava che si riportassero tutte le nuove nascite, che scoprissero chi erano i padri dei bambini nati fuori dal matrimonio e indagassero sulle donne sospettate di aver partorito in segreto. (Federici, 2015, pp. 127-128)

Inoltre, a partire dalla fine del XVI secolo,

Sia in Francia che in Inghilterra a poche donne fu permesso di esercitare l’ostetricia, attività che fino a quel momento era stata il loro inviolabile mistero. All’inizio del XVII secolo, cominciarono a comparire i primi ostetrici maschi e nel giro di un secolo l’ostetricia passò quasi interamente sotto il controllo dello stato. (Federici, 2015, p. 238)

Pertanto, mentre si meccanizzava il parto attraverso l’uso del forcipe, riservato ai soli medici,

fra il 1630 e il 1650 vari medici oltre a Harvey scrissero trattati che gettarono discredito sulle levatrici, contribuendo al declino dell’assistenza femminile al parto. (Merchant, 1988, p. 205)

Dell’ampia trattazione che Federici svolge sulla persecuzione delle streghe, in Europa e nel Nuovo Mondo, ci interessa qui evidenziare il suo punto di vista, espresso nel giudizio:

… la caccia alle streghe fu un’iniziativa politica di vastissima portata. (Federici, 2015, p. 218)

ed alcune argomentazioni che ne offre, basate sull’analisi dei contesti economici e sociali.

L’autrice sottolinea che

in Inghilterra il maggiore il numero dei processi siano avvenuti nell’Essex, una contea in cui già nel XVI secolo la maggior parte delle terre era stata recintata, mentre non troviamo processi a streghe in quelle regioni delle isole britanniche dove la terra non era stata privatizzata. L’esempio più lampante in questo contesto ce lo forniscono l’Irlanda e le isole scozzesi occidentali, dove non si trova traccia della persecuzione, probabilmente perché in entrambe le aree prevalevano ancora sistemi di gestione collettiva della terra e legami di parentela che impedivano quelle divisioni nella comunità e quelle complicità con lo Stato che rendevano possibile la caccia alle streghe. (Federici, 2015, p. 222)

Altrettanto significativo è il carattere di quei processi:

La caccia alle streghe (come spesso la repressione politica nei periodi di intenso cambiamento e conflitto sociale) non colpiva crimini socialmente riconosciuti, ma pratiche e individui fino a quel momento accettati che dovevano essere sradicati dalle comunità con il terrore e la criminalizzazione. […] L’estrema aleatorietà dell’imputazione, il fatto che fosse impossibile provarla e che nello stesso tempo evocasse il massimo dell’orrore, significava che poteva essere usata per punire qualsiasi forma di protesta e rendere sospetti anche gli aspetti più comuni della vita quotidiana. (Federici, 2015, p. 221)

Si evidenziano così le ragioni di fondo della persecuzione:

Sebbene la caccia alle streghe colpisse una grande varietà di pratiche femminili, era soprattutto a causa della loro attività – come fattucchiere, guaritrici, incantatrici e divinatrici – che le donne erano perseguitate. Perché la loro pretesa di possedere poteri magici minava il potere delle autorità e dello stato…

È fuori dubbio, d’altra parte, che le arti magiche che le donne avevano praticato per intere generazioni non sarebbero state bollate come una cospirazione demoniaca se non si fossero articolate sullo sfondo di un’intensa crisi e lotta sociale. La coincidenza tra crisi socio-economica e caccia alle streghe è stata rilevata da Henry Kamen, il quale ha osservato che fu “proprio durante il periodo in cui si ebbe il massimo rialzo dei prezzi – tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento – che si registrò il più alto numero di casi di accusa e persecuzione contro le streghe”. (Kamen, 1975, p. 323)

Ma ancor più significativa è la coincidenza tra l’intensificarsi della persecuzione e l’esplodere delle rivolte rurali e urbane. Erano le “guerre contadine” contro la privatizzazione della terra, a cominciare dai moti contro le “recinzioni” in Inghilterra [tra il 1549 e il 1631]. […] In Francia, dal 1593 al 1595 ci fu la rivolta dei Croquant contro le decime, le alte tasse e l’aumento del prezzo del pane… (Federici, 2015, pp. 225-226)

L’autrice può quindi validamente affermare che:

Dalla caccia alle streghe alle speculazioni della filosofia meccanica […] un unico filo ha legato i percorsi apparentemente autonomi della legislazione sociale, della riforma religiosa e della progressiva razionalizzazione scientifica dell’universo. Questo filo è stato appunto il tentativo di razionalizzare la natura umana, i cui poteri dovevano essere incanalati e subordinati allo sviluppo della formazione della forza lavoro. (Federici, 2015, p. 204)

Quel filo non si è mai interrotto, ma ha portato il capitalismo patriarcale, nella sua rincorsa al profitto e al potere, a perseguire progetti sempre più aggressivi verso la Natura e verso gli strati subalterni della popolazione mondiale, come vedremo, nelle prossime pagine, con la testimonianza e le riflessioni di Vandana Shiva.

A cura di Anna De Nardis, ComeDonChisciotte.org

Anna De Nardis, saggista, già insegnante di fisica, ha unito la ricerca di modalità di indagine della natura allo studio del simbolismo religioso. È una delle maggiori conoscitrici di Momolina Marconi e della sua vasta produzione.

 

Fine Quarta Parte – Continua

NOTE

Con la barbarie dei roghi, con l’instaurazione di un vero e proprio regime di terrore, si sono erette attorno ai corpi delle donne barriere più impenetrabile di quelle che negli stessi anni recingevano le terre comunali (Federici, 2015, pp. 239-240).

2 (Federici, 2015, p. 97: nota 27)

3 (Federici, 2015, p. 99: nota 29)

4 (Federici, 2015, p. 177: nota 11)

BIBLIOGRAFIA COMPLETA

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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org

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