Donne e Natura sono accomunate dall’oppressione e dallo sfruttamento che le società patriarcali hanno esercitato ed esercitano tuttora su di esse.
D’altro canto osserviamo che molte popolazioni che hanno organizzato la propria esistenza nel rispetto dei cicli vitali della Terra, hanno dato origine a rapporti comunitari in cui veniva riconosciuto il ruolo delle donne nella elaborazione delle strategie di sopravvivenza e rispettato il loro sapere.
Molte studiose femministe, ciascuna nel proprio campo di competenza, hanno messo in luce questi aspetti e hanno proposto nuovi modelli di conoscenza che possono rappresentare delle alternative al pensiero unico del capitalismo globale.
Dalla recinzione delle terre alla recinzione della vita
A cura di Anna De Nardis, ComeDonChisciotte.org
In ricordo di Joyce Lussu, maestra e amica
PREMESSA
Questa pubblicazione, nata dal desiderio di colmare un vuoto, appare in un momento in cui, più che in altri tempi, è necessario riflettere con atteggiamento critico e consapevole sui rapporti che viviamo all’interno della società e sui legami che ci vincolano al mondo della Natura.
A tale scopo mi sembrano utili gli apporti, dimenticati o comunque sottovalutati, che la ricerca femminista ha offerto alla discussione dei temi dell’ambiente e della salute e, più in generale, all’esame critico dei dogmi e delle metodologie della scienza moderna.
Se da una parte l’omissione di quegli studi è imputabile al quadro generale di sostanziale subalternità al pensiero neoliberista, che fa della scienza occidentale un caposaldo della sua politica di controllo e di dominio, d’altro canto è importante che quelle acquisizioni non vengano tralasciate nelle analisi che specificano il collegamento tra l’aggressione all’ambiente e le politiche di assoggettamento dei corpi, operate dal sistema capitalistico, e l’ideologia patriarcale.
Tale relazione non appare sempre esplicitamente.
In una intervista Wendy Brown, filosofa e docente di teoria critica a Berkeley, afferma:
Il femminismo può benissimo essere neoliberale. Non ci sono garanzie che il femminismo possa mettere in questione la logica antidemocratica del neoliberalismo, oppure del colonialismo, del capitalismo, dell’eteronormatività, del “cristiano-centrismo”. Queste sfide devono essere sviluppate in modo esplicito e perseguite attivamente. (Cappuccilli, 2020)
Nella riflessione sui temi elencati va inserito anche un ripensamento sullo statuto antidemocratico della struttura della scienza adottata dal capitalismo e sulla funzione repressiva che ha avuto alla sua origine e che mantiene tuttora – allargando lo sguardo anche al di fuori dell’Occidente – nei confronti delle donne e non solo.
La storia delle donne che è venuta alla luce grazie soprattutto alle ricerche femministe del secolo scorso, si intreccia spesso con i problemi dell’ambiente e della conoscenza della Natura, come hanno mostrato, ad esempio, Carolyn Merchant, Starhawk e Vandana Shiva. Infatti il pensiero economico e politico che si è affermato con la rivoluzione industriale, oltre che sul presupposto del dominio sulla natura, è stato fondato sulla svalutazione e sulla demonizzazione dei saperi e delle pratiche trasmessi per via femminile.
Un processo analogo è stato condotto nei confronti delle culture dei popoli colonizzati, come mostra, ad esempio, Silvia Federici.
Durante la preparazione di questo lavoro ho potuto constatare come questo aspetto, sviluppato soprattutto negli ultimi decenni del Novecento, parallelamente a studi di carattere storico-epistemologico, non è tenuto nella considerazione dovuta.
Ad esempio, spiace che studiosi autorevoli come F. Capra e U. Mattei, largamente apprezzati per i loro studi di ecologia e per l’impegno a favore dei diritti, nella loro opera Ecologia del diritto (Capra & Mattei, 2017), che traccia una storia dell’evoluzione del pensiero giuridico occidentale, parallelamente a quella del pensiero scientifico, che svolge una critica del pensiero meccanicistico e riduzionista dominante, che ripropone il tema dei beni comuni come istituzione giuridica, non abbiano tenuto presente che la concezione della scienza oggi prevalente si è affermata anche in conseguenza di quella vera e propria guerra contro le donne che è stata la caccia alle streghe e che ha distrutto un patrimonio di saperi naturalistici che, a buon diritto, potrebbero essere definiti beni comuni.
Né abbiano considerato che, come scrive Silvia Federici (Federici, 2015, p. 216) furono
i giuristi, i magistrati e i demonologi, spesso incarnati in una stessa persona, che diedero il contributo più grande alla persecuzione. Furono loro che strutturarono le argomentazioni, risposero alle critiche e perfezionarono una macchina legale che, alla fine del XVI secolo, dava una forma standardizzata, quasi burocratica, ai processi […] Nel loro operare, gli uomini di legge poterono contare sulla cooperazione dei più insigni intellettuali del tempo, inclusi i vari filosofi e scienziati che sono tuttora salutati come padri del razionalismo moderno.
Eppure, i temi trattati in quell’opera intersecano, come vedremo, la storia delle donne, quando si esaminano le trasformazioni politiche e sociali che hanno accompagnato la nascita del capitalismo o quando si affrontano i temi del meccanicismo e del riduzionismo nella scienza1.
Le analisi delle studiose che verranno riproposte dimostrano che la sottrazione dei beni comuni (iniziata con la recinzione dei terreni comunitari e con la colonizzazione delle terre extraeuropee), la svalorizzazione del femminile associata alla mercificazione delle conoscenze e la lotta all’autonomia delle donne, aspetti tra loro interconnessi, caratterizzano la nascita della società capitalistica e permangono fino ai giorni nostri, insieme con quel tratto della cultura patriarcale che crea dicotomie artificiose e gerarchie fondate sulla dicotomia originaria maschile-femminile. Le lucide intuizioni che hanno stimolato quegli studi non possono che suscitare profonda ammirazione e rispetto, insieme alle biografie delle autrici, che rappresentano punti di forza per l’impegno di chi persegue un modo diverso di vivere. Spero che il loro contributo, che ho cercato di mettere in risalto, possa stimolare più ampi approfondimenti e più profonde consapevolezze.
In questo lavoro sono stata sostenuta, nell’analisi dei testi, nella scelta dell’impostazione e nella ricerca bibliografica, dall’aiuto di mia sorella Maria Teresa De Nardis che ringrazio.
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PAROLA DI SIBILLA
In una pubblicazione collettiva del 1978, L’erba delle donne, Joyce Lussu scriveva:
[Con l’avvento del patriarcato] le donne, che avevano maturato la meravigliosa intelligenza delle mani, del rapporto reale con la vita e col corpo, con la terra, con l’acqua, col fuoco, con le piante che crescono, con gli animali che nascono, con la materia che si trasforma in utilità e in bellezza, con i sentimenti di affetto e di solidarietà, furono respinte nell’ombra profonda del non-potere, del non-decidere, della non-identità. E quelle che non accettarono la sconfitta, e che non si rinnegarono vendendosi ai guerrieri o cadendo nell’apatia e nella rinuncia, sparirono nel grembo oscuro del mondo contadino…
Durante la millenaria schiavitù del mondo contadino, sono le donne che nonostante la sconfitta non hanno capitolato, ad assicurare con la loro scienza la sopravvivenza dei lavoratori, di fronte al disprezzo della classe dominante, solo avida dei frutti delle loro fatiche e indifferente ai loro dolori e alle loro necessità. […] Sono le discendenti delle donne adulte e intelligenti che avevano maturato la prima rivoluzione tecnica del neolitico, imparando ad accumulare scorte per la sopravvivenza di tutta la comunità, mentre i maschi inventavano la guerra. […]
Sono tutte le streghe contro le quali si scatena il potere maschilista, mercantile, militare che per domare le rivolte dei contadini sente la necessità di distruggere la loro cultura incentrata sulle antiche tradizioni della donna-saggezza.
La sconfitta delle jacqueries in Francia, dell’insurrezione di John Ball in Inghilterra, degli esorcisti contadini in Germania, delle comunanze rurali in Italia ha come corollario le torture e i roghi di centinaia di donne. (Lussu, 1978, pp. 14-16)
Joyce Salvadori Lussu, poetessa e filosofa, partigiana decorata
Feci in Italia tutta la campagna ’43-’45 nelle formazioni «Giustizia e Libertà» e alla fine lo stato italiano mi riconobbe il grado di capitano nell’esercito patrio e una medaglia d’argento al valor militare… (Lussu, 1976, p. 15)
e antimilitarista, interlocutrice di eminenti personaggi della politica e della cultura internazionale (ha tradotto poesie di Hikmet, Neto, Ho Chi Minh e ne ha sostenuto l’azione rivoluzionaria con il coinvolgimento personale, come l’epica liberazione di Münevver Andaç, compagna di Hikmet, prigioniera per 11 anni del regime turco in una casa di Istanbul2) è sempre stata impegnata nella lotta di liberazione delle donne.
Joyce aveva già scritto sulla caccia alle streghe nel 1976 in Padre Padrone Padreterno (Lussu, 1976, pp. 64 e segg.), un saggio in cui intreccia il racconto della sua formazione personale con l’esposizione della sua visione storica. Il tema veniva così introdotto:
Nel XIV secolo la crescita delle città, dove si accumulano ricchezze immense attingendo alle riserve agricole e succhiando il sangue alle campagne, comincia a far sentire i suoi effetti sul mondo contadino. […] I raccolti diminuiscono, gli insediamenti rurali si impoveriscono o vengono abbandonati, sopravvengono le grandi carestie e le grandi pestilenze. […] La decadenza dell’agricoltura e le calamità che ne conseguono creano all’interno delle società europee vasti strati di emarginati e di vagabondi […] che si legheranno ai contadini nei loro movimenti insurrezionali3. Dalle jaqueries francesi iniziate nel 1356 alla grande guerra contadina della prima metà del 1500, che dalla Germania scende in tutto il Veneto, da Fra Dolcino in Piemonte alle rivolte del contado dell’Italia centrale nel ’400 alle sommosse della Puglia e del napoletano, il mondo contadino tenta di uscire dalle intollerabili strettoie di un sistema che lo sfrutta all’ultimo sangue, e viene ferocemente represso dagli Stati impegnati in interminabili guerre di devastazione da quella dei Cento anni a quella dei Trent’anni.
È in questo quadro che comincia la caccia alle streghe. […] Le depositarie dell’antica cultura comunitaria, dei culti rurali della fertilità e della riproduzione, le guaritrici e le ricercatrici di erbe medicinali e di droghe che aiutavano i contadini a sopravvivere, le veggenti e le mediatrici col sovrannaturale animistico, si prestavano allo scopo [della ricerca di un capro espiatorio], purché si bollassero come eretiche e si accusassero di commercio col diavolo. […]
La classe dominante non ammetteva concorrenza in quella che era una delle chiavi di volta del suo potere: la mediazione con invisibili superpoteri, la gestione della divinità. Peggio ancora quando questa concorrenza proveniva da donne, la cui subordinazione all’uomo era un altro pilastro dell’autorità. […]
Oltretutto i sabba, riunioni segrete in luoghi difficilmente accessibili, diventavano poli di attrazione per i ribelli e i contestatori; le prime congiure (cum jurare, giurare insieme) di contadini nel Trecento (come le Leghe del Falco e dell’Elefante nel Trentino) si organizzano durante i sabba […] Qualche volta a queste leghe partecipava anche il basso clero delle zone rurali, come gli otto preti fatti giustiziare tutti in una volta dal vescovo di Trento Bernardo Clesio, nel 1525, durante la guerra contadina4. […]
La caccia alle streghe è un attacco frontale contro le residue autonomie che alimentavano le ribellioni del mondo contadino. Nei paesi cattolici, basati sull’economia agricola, si risolve con la nuova politica di massa della chiesa, l’”evangelizzazione” delle campagne. Nei paesi protestanti, avviati a una intensa industrializzazione grazie allo sfruttamento coloniale delle “razze” subalterne, dura più a lungo: per trasformare i contadini della metropoli in proletariato industriale è necessario sradicare le sue tradizioni, la sua cultura autoctona, riportare la donna alla schiavitù della manovalanza bruta, che fornirà manodopera a buon mercato per i nuovi impianti industriali. L’attacco alle donne è anche l’offerta di una compensazione al lavoratore sfruttato e oppresso, per legarselo rivalutando la sua maschilità e dandogli una vittima sulla quale riversare le sue frustrazioni, un capro espiatorio a titolo personale.5
Joyce Lussu non tratta in modo organico il tema dei beni comuni e l’espropriazione dell’uso delle terre, mediante recinzione, da parte dei possidenti6, ma dai suoi scritti si evince in modo chiaro il legame tra la funzione di guida delle donne sapienti e l’organizzazione comunitaria delle antiche società contadine. Infatti,
l’immagine delle Sibille [è] simbolo di società comunitarie (Lussu, 1990, p. 102)
Per la scrittrice, al centro del mondo c’è un racconto (Lussu, 1990, p. 61) e con i racconti lei amava trasmettere i contenuti dei suoi studi e le sue riflessioni. Il primo incontro che ebbi con lei fu a Siena, in occasione di un’assemblea antimilitarista, a cui partecipava come una dei relatori. Il suo intervento fu costituito dalla lettura del racconto intitolato Il grande canino (Lussu, 1990, pp. 49 e segg.) e, senza alcun commento, dall’invito finale: Adesso discutete.
Molte volte le sue considerazioni partono dall’incontro immaginario con la Sibilla, un personaggio letterario costruito sulla base delle leggende che si tramandano nelle località vicine ai Monti Sibillini, o degli incontri reali che ha avuto con donne sapienti in varie parti del mondo. Ne Il grande canino spiega:
[…] Io vivo in campagna, nelle Marche meridionali, nella valle di un fiume che si chiama Tenna […]; le sue sorgenti si trovano sul monte Sibilla, non lontano dalla grotta dove si dice abitasse, generazione dopo generazione, una donna molto saggia e molto colta, che conosceva il passato e il presente e faceva ipotesi attendibili sul futuro. In realtà la grotta, arieggiata da un torrente sotterraneo e coperta di neve per molti mesi, serviva solo come deposito per la conservazione delle scorte, e la Sibilla, come ovunque le sue consorelle, viveva in una casa normale in mezzo alle case normali della sua comunità, […] affini a quelle della civiltà danubiana e di altre civiltà comunitarie e pacifiche. (Lussu, 1990, pp. 50-53)
In un altro racconto, una vecchia strega, alla domanda:
“Ma tu sai ancora dove si trova il tesoro [della Sibilla…]?”
risponde:
“Il tesoro è nella grotta in cima alla montagna, custodito dalla signora Sibilla che tesse la trama a un telaio fatto di raggi di luce. Solo le streghe che vanno al sabba sanno come ci si arriva.” […] “Un tempo [– continua un vecchio contadino –] come ci raccontava nostro nonno, che l’aveva saputo dal nonno del nonno del nonno, forse mille, forse duemila anni fa, i contadini portavano gli orci pieni di grano quando la giornata era la più lunga, e gli orci pieni d’olio quando la giornata era la più corta, alla grotta della signora Sibilla in cima al monte, e chiudevano gli orci con l’argilla, e sopra l’argilla ci mettevano un rospo […] La signora custodiva gli orci e, quando era il momento, divideva il grano e l’olio tra tutte le famiglie, facendo le giuste parti per tutti. […]” (Lussu, 1990, pp. 75-76)
Altrove leggiamo:
Questa immagine di donna saggia e serena, che ama la vita e la gente, che raccoglie e custodisce la conoscenza affinché tutti possano maturarne i fiori e frutti, che non ha bisogno di fare della sua scienza un segreto e della sua autorità una fortezza da difendere con le armi, è il simbolo di una scelta diversa di civiltà e di convivenza, memoria tenace di una società senza guerra e senza servi dominati col terrore. (Lussu, 1990, p. 96)
La scrittrice documenta le tracce lasciate dalle popolazioni che hanno conservato quel modo di vivere:
Dopo il 1860, quando economisti piemontesi e lombardi scesero a fare indagini sugli ex-Stati pontifici recentemente annessi, si accorsero con stupore che nell’Appennino centrale prosperavano ancora residui di antichissime società comunitarie: “comunanze”, “partecipanze”, “università”, “consorzi delle famiglie originarie” ecc.
Solo attorno ai monti Sibillini, nella provincia di Ascoli, c’erano ancora 176 comunanze, con statuti consuetudinari che risalivano a tempi anteriori al diritto romano e alla proprietà privata. La terra era suddivisa in bosco, pascolo e campi coltivabili: nel bosco ogni famiglia faceva provvista di combustibile e di legname da costruzione; il bestiame il pascolo erano indivisi, e i prodotti del taglio dei boschi e della falciatura venivano spartiti tra tutti i “comunisti”; ogni famiglia aveva in uso esclusivo, ma temporaneo, qualche appezzamento coltivabile e non vi era diritto di eredità; il godimento della comune proprietà era subordinato al lavoro di ciascuno e proporzionato ai bisogni di ogni famiglia; l’assemblea di tutti gli adulti, uomini e donne, discuteva le questioni generali e eleggeva, per un tempo limitato, due “massari”.
In queste comunità, rifugiatesi da millenni in zone povere e impervie per sfuggire all’avidità dei proprietari, la posizione della donna era di grande prestigio: non solo partecipava alla produzione e alla distribuzione dei beni, ma gestiva l’assistenza medica e la mediazione con il sovrannaturale. (Lussu, 1976, pp. 54-55)
Joyce Lussu estende le sue riflessioni all’origine della scienza moderna esaminando la figura di Newton e analizzando il periodo storico in cui è vissuto, il Seicento:
È il secolo in cui Maurizio d’Orange e Gustavo Adolfo di Svezia creano l’esercito di stato e Louis De Geer l’industria bellica statuale come imprenditoria di massimo profitto; in cui la natura è definitivamente considerata dall’uomo-padrone una serva da sfruttare senza nessun riguardo e inizia l’uso delle energie non rinnovabili come il carbon fossile; in cui le donne vengono escluse dall’esercizio della scienza e della medicina e bruciate come streghe più che in qualsiasi altro secolo; in cui dilaga il mito dell’efficienza, centrato, come sua massima espressione, nell’istituzione militare, che diventa così il modello delle altre istituzioni: la fabbrica come la caserma, la scuola come caserma, l’ospedale come caserma […] È il trionfo del patriarcato maschilista, nella famiglia, nella gestione della produzione e del potere, nell’immagine del cosmo. (Lussu, 1990, pp. 33-34).
Di Newton scrive che, nelle dispute teologiche
prendeva posizione per la parte, diciamo, meno reazionaria, per un dio-natura-energia meno arcigno del dio-codificatore-giudice […] Ma se anche gli fosse venuto qualche dubbio riguardo ai suoi mattoncini eterni e indistruttibili, non avrebbe potuto esprimerlo, perché avrebbe significato mettere in questione la dicotomia materia-spirito, organico-inorganico, corpo-anima, uomo-natura sulla quale si basa la filosofia della civiltà patriarcale7. Queste fratture dell’unità della vita e dell’essere umano erano indispensabili per costruire i modelli patriarcali di potere economico-politico-militare, per assicurare la selezione delle minoranze dominanti, per rendere stabili le false sicurezze delle immagini paterne terrene e ultraterrene, che hanno come necessario complemento masse di minori e di minorati incapaci di decidere e di diventare adulti. (Lussu, 1990, pp. 35-36)
Questi scritti, dunque, testimoniano una visione organica che riconosce, nella caccia alle Streghe, la lotta del capitalismo nascente contro l’organizzazione comunitaria che a tratti persisteva nel mondo contadino e che era basata sul rispetto degli equilibri naturali e sul riconoscimento di una funzione positiva per la stabilità di quei gruppi sociali, delle donne e della loro sapienza.
Il pensiero di Joyce vede, dunque, nell’esclusione delle donne dalla conoscenza, le premesse per l’affermazione di una ideologia di dominio e di sfruttamento nei confronti della natura e dei corpi.
Questi aspetti, strettamente legati, sono stati successivamente trattati, e approfonditi, nella loro complessità, da altre studiose che ci hanno consegnato non solo una conoscenza più completa del passato, ma anche una chiave di lettura del presente.
Fine Prima Parte – Continua
A cura di Anna De Nardis, ComeDonChisciotte.org
Anna De Nardis, saggista, già insegnante di fisica, ha unito la ricerca di modalità di indagine della natura allo studio del simbolismo religioso. È una delle maggiori conoscitrici di Momolina Marconi e della sua vasta produzione.
NOTE
1 Le opere di Vandana Shiva trattano ampiamente l’impostazione riduzionista delle moderne tecnologie agro-alimentari e la ricaduta sulle donne della politica delle multinazionali che l’hanno elevata a sistema.
2 L’episodio è narrato da Luciana Castellina in Amori comunisti (Castellina, 2018, pp. 133-135).
3 Il tema è analizzato da C. Merchant e S. Federici.
4 Tema ripreso da Starhawk.
5 Il tema è ampliato e approfondito da S. Federici.
6 Un accenno agli enclosure acts si trova nel racconto: La Sibilla in Australia (Lussu, 1990, p. 18).
7 Il grassetto è mio.
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org