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Il 29 Novembre 2019
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A demonstrator throws a petrol bomb at police near the Hong Kong Polytechnic University in Kowloon district on Nov. 18, 2019. (Kyodo via AP Images) ==Kyodo

DI GIANCARLO SCOTUZZI

giornaledibordo.org

Per gentile concessione dell’autore

Da sei mesi la stampa atlantista vi sta riempiendo la testa con la cosiddetta rivolta dell’ex colonia inglese – e ora provincia di Pechino – per la democrazia. È solo cispa che annebbia gli occhi. Provate a lavarveli con queste cinque gocce di collirio:
1.
Le manifestazioni furono pretestate con la richiesta di Pechino di estradare verso i tribunali di Stato (esterni all’ex colonia) i presunti colpevoli di reati gravi. Del genere che negli Stati Uniti si chiamano federali e che dunque tracimano la giurisdizione dei magistrati di Hong Kong, dediti esclusivamente alla criminalità d’ambito locale.
Se la California si rifiutasse di consegnare all’FBI un pluriomicida accusato di aver assassinato anche al di fuori della California, direste che questo Stato si batte per la democrazia?
In ogni caso le manifestazioni sono continuate anche dopo che Pechino ha rinunciato a sottoporre i residenti di Hong Kong ai tribunali “federali” che valgono per tutti gli altri cinesi.
2.
In sincronia con i torbidi di Hong Kong, Pechino ha annunciato il lancio della città di Shenzhen nel firmamento tecnologico internazionale allo scopo di sostituirla a Hong Kong come laboratorio del cosiddetto “capitalismo alla cinese”. Shenzhen è metropoli di 12 milioni di abitanti, che sovrasta l’ex colonia inglese da nord, a una trentina di chilometri. Vi hanno sede alcuni colossi di pondo multinazionale, come Huawei, DJI (leader mondiale dei droni civili) e Tencent, gigante della Rete noto per la messaggeria Wechat. Il disegno di Pechino è infatti quello di trasformare Shenzhen in una ZES, Zona Economica Speciale, dove le rigide norme dello Stato si plastificano per adattarsi ai cangianti bisogni del business. Esattamente come a Hong Kong, ma senza le zavorre incrostate da secoli di colonialismo e perpetuate dall’anacronistica mentalità dei postcolonialisti. Quando il disegno sarà completo, Hong Kong diverrà in gran parte superflua: sarà sempre una ZES, ma sigla di Zona Economica Sottosviluppata rispetto a Shenzhen.
In altri termini: Hong Kong resta una piazza finanziaria off-shore, in competizione con le molte altre piazze finanziarie, mentre Shenzhen s’erge a piazza tecnologica on-shore, una branca dove i competitori sono assai meno numerosi.
I disegnatori ci hanno dato dentro, come le successive gocce di collirio stanno per disvelarvi.
3.
Nell’ultimo biennio l’economia di Hong Kong è cresciuta a un ritmo oscillante dal 2 al 3%, a seconda che si prendano per buone le statistiche del governo centrale o di quello provinciale. Nello stesso periodo, Shenzhen è cresciuta del 7%.
4.
I prezzi degl’immobili a Hong Kong stagnavano sino alla primavera scorsa. Con i tumulti sono crollati. Per contro, i prezzi s’involano a Shenzhen: siamo sui 12 mila dollari a metroquadro, cifra stratosferica in Cina.
5.
La fonte primaria del commercio di Hong Kong viene dall’industria dell’ospite. Oltre il 70% dei turisti vengono dal resto della Cina. Un flusso che i torbidi hanno ridotto del 90%. Quasi uguale il calo dei turisti stranieri. Nessuno muore dalla voglia di andare a spasseggiarsi e divertirsi in una città dove i blocchi stradali, i moti di piazza con lanci di molotov e sassaiole sono all’ordine del giorno. Negozi, ristoranti e alberghi sono chiusi a centinaia. Gl’imprenditori che non hanno scorte per affrontare il blocco degli affari chiudono definitivamente bottega. Che riescono a vendere in fretta perché – guarda la combinazione! – lì fuori ci sono cinesi (non di Hong Kong) pronti a comprarla. E a riaprirla quando la cosiddetta “guerriglia per la democrazia” sarà conclusa.
Intendiamoci: io non ho elementi probanti per affermare un rapporto di causa-effetto tra le mire di Shenzhen e il degrado innescato a Hong Kong. Così non mi sento di ritenerlo conseguenza della diatriba tra il governo americano e quello cinese. Ma tra queste ipotesi e la favola di ex colonizzati che invocano democrazia sventolando le bandiere dell’ex colonialista inglese e quella del neocolonialista americano c’è di mezzo il Mar Giallo.

 

Giancarlo Scotuzzi

Fonte: http://www.giornaledibordo.org/

28.11.2019

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