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La Redazione

 

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Capire la Cina per comprendere l’Italia

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A cura di Redazione CDC
Il 18 Aprile 2023
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Capire la Cina per comprendere l'Italia

Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

Scrivo questo articolo non tanto per spiegare quali siano, a mio avviso, le motivazioni della classe dirigente cinese, ma perché ritengo che ci siano similitudini e differenze tra il sistema Italia e quello cinese. Se si percorre la storia passata (ma solo fino a qualche decina di anni fa), si trova una “quasi fotocopia” della evoluzione dell’Italia e della Cina. Poi, le due realtà si sono differenziate per arrivare all’attuale singolare, e non molto edificante per noi, assetto.

Circa 200 anni fa il nostro paese, dopo un fiorente periodo di arte e cultura, divenne poverissimo. L’unificazione dell’Italia evidenziò il divario economico tra le varie regioni. Nuove tasse imposte per pagare i costi delle guerre misero sul lastrico molti piccoli contadini. I loro miseri poderi vennero sequestrati per insolvenza dallo Stato e venduti all’asta. Centinaia di migliaia di contadini impoveriti, specie nelle province meridionali, furono allora costretti ad abbandonare la patria e a emigrare oltreoceano. Vennero accolti da pregiudizi e sfruttati per lavori a basso contenuto, e bassissima paga. Quelli che andarono in Sudamerica ebbero molto più fortuna di quelli che emigrarono negli stati Uniti d’America: viaggiavano in bastimenti in condizioni di assoluta precarietà e, approdati nell’isola di Ellis Island nella baia di New York, dovevano passare il filtro dell’ufficio immigrazione che sottoponeva gli arrivati a scrupolose visite sanitarie, dato che si volevano evitare malattie “portate dagli italiani” in America. C’erano visite psicoattitudinali che potevano durare anche giorni. Chi non superava l’esame veniva rimandato indietro. Gli emigranti erano poi usati in lavori massacranti, nelle costruzioni di grattaceli e nelle catene di montaggio delle fabbriche. Nel secondo dopoguerra l’immigrazione verso gli Stati Uniti si ridusse, dato che si erano aperte strade verso L’Europa del nord: Francia, Germania e Belgio erano le mete prevalenti. Anche in questi paesi la vita degli emigranti era resa grama da pregiudizi e da una reputazione di inferiorità culturale e sociale. Questo anche se, come spesso accade, il nostro paese fu la culla di civiltà e sublime cultura, molto più dei paesi dove andavano gli emigranti, ricchi ma buzzurri.

La descrizione dell’Italia come paese della mafia, spaghetti e mandolino ci ha accompagnato per moltissimi anni e solo recentemente siamo riusciti (molto parzialmente) a scrollarcela da dosso. Accettare emigranti voleva (e vuole) dire acquisire in modo sfacciato e impudente mano d’opera per fare i lavori che gli “accettanti” non vogliono fare, perché ritenuti “da inferiore”. Per questo, appunto, i lavoratori che fanno lavori miseri sono considerati inferiori. A loro si può tranquillamente mancare di rispetto, sono da vessare e da umiliare.

La Cina era un impero prosperoso e ricco di cultura e tradizione. Attorno al XIX secolo la situazione cominciò a indebolirsi con dissesti sociali, economia in declino e inadeguatezza politica. Le mire occidentali sulle risorse cinesi portarono nel 1838 alla prima guerra dell’oppio scatenata da Gran Bretagna per contrastare i divieti cinesi sulla lucrosa droga. La sconfitta della prima e della seconda guerra dell’oppio, dichiarata del 1856, portarono al dominio europeo in Cina. Ci furono rivolte e repressioni in un periodo che molti storici, in particolare quelli cinesi, chiamano il secolo dell’umiliazione.

Umiliazione, appunto. L’umiliazione è la principale punizione per le classi sottomesse, o meglio, schiavizzate. Le reazioni degli “schiavi” possono essere principalmente tre: la prima è di ribellione, a volte in forma malavitosa, spesso condita da un senso di vendetta o, almeno, di strisciante boicottaggio del potente. La seconda è approfittare dello stato di “schiavo”: si sale la scala sociale della servitù e si arriva al rango di “maggiordomo”. La terza è la voglia di non essere più essere umiliati, ribadire la propria dignità e operare, lentamente e costantemente, per il proprio riscatto e affermazione.

Se guardiamo al più recente passato vediamo un’Italia distrutta dalla seconda guerra mondiale. Vediamo gli italiani impegnati nella ricostruzione. Vediamo la rimozione di cumuli di macerie causate dai bombardamenti a tappeto dei nostri “amici” anglo-americani. Vediamo gente che lavora incessantemente, senza pensare ai diritti ma con in mente il dovere di costruire il futuro. Vediamo la fabbricazione di beni di basso contenuto tecnologico venduti a basso prezzo agli “amici” occidentali. Vediamo l’inizio di un’industria manufatturiera basata sulle capacità creative degli italiani che ha determinato un crescente valore aggiunto.

Se guardiamo al più recente passato vediamo la Cina fiaccata da conflitti interni e dall’aggressività giapponese. Vediamo la guerra civile che ebbe nella “lunga marcia” di 14 mila chilometri la sua epopea. Vediamo gente che lavora indefessamente, che produce beni di bassissimo valore aggiunto che invadono il mondo. Vediamo sempre più cose con il marchio “made in China”, considerate cianfrusaglia di scarsa qualità ma sempre più presente nei negozi e nei mercati. Vediamo l’inizio di industrie di crescente valore aggiunto, in particolare nel settore elettronico e meccanico.

Questa è la fine della similitudine. Due nazioni umiliate, fondamentalmente dall’occidente, che cercano di risollevarsi dallo stato di indigenza. Cosa è successo dopo? La Cina ha continuato la strada della determinazione, guidata dalla aspirazione di non essere “mai più umiliata“. I prodotti a basso costo e, a detta di molti, di bassa qualità, hanno generato ricchezza che non è stata dissipata, ma investita in conoscenza. I paesi occidentali, rammolliti dal benessere, hanno visto nella mano d’opera cinese, la possibilità di farsi fabbricare a basso costo quello che costava loro fatica. Sono state decentrate fabbriche con un contenuto tecnologico prima basso ma poi crescente, avendo cura, almeno nella loro speranza, di tenere sotto controllo il know-how e i suoi segreti, essendo protetti da brevetti. I lavoratori cinesi svolgevano, a quei tempi, lo stesso ruolo degli schiavi delle piantagioni di canna da zucchero, ma in remoto. Col tempo, l’investimento in cultura cominciò a dare i suoi frutti e, una nuova classe dirigente, selezionata e dotata di grande capacità strategica, favorì produzioni di alto valore aggiunto. Il surplus conseguente ha dato i suoi frutti. La banca mondiale ha stimato che negli ultimi 30 anni, circa 800 milioni di Cinesi sono usciti dallo stato di povertà. Il progetto Made in China sta trasformando il paese da produttore con mano d’opera a basso costo a produttore di beni di alta qualità. Il reddito pro-capite PPA (a Parità di Potere d’Acquisto) è salito nel 2012 a 17.602 US$, con un aumento di più di un fattore 100 in cinquanta anni (in Italia l’aumento è stato solo un fattore dieci). A questo punto i fannulloni dell’occidente iniziano a preoccuparsi e cominciarono a dire che la Cina è un pericolo. E il pericolo sarebbe anche che la Cina è una dittatura che non si preoccupa dei “sottomessi”. Beh, come dice Paul Craig Roberts [1], e questo vale in generale per l’occidente intero “… il governo “autoritario” cinese è in realtà più attento nei confronti del suo popolo del governo “democratico eletto” americano. Inoltre, per quanto sulla carta siano incomplete le libertà civili del popolo cinese, il governo cinese non ha dichiarato di poter violare impunemente qualsiasi diritto dei cittadini cinesi. E non è la Cina che gestisce prigioni di tortura in tutto il mondo”.

L’Italia è una realtà alquanto diversificata: ha diverse “anime”. Quella del nord è in parte mercantile e in parte operosa. Quella del sud è in parte fantasiosa e in parte lamentosa. L’umiliazione per la stragrande maggioranza degli abitanti è l’ultima delle preoccupazioni, specie se c’è sufficienza cibaria per un accettabile benessere. O Franza o Spagna, purché se magna”, diceva il fiorentino Francesco Guicciardini quasi cinquecento anni fa. In base a tale “filosofia” la strada intrapresa è la seconda: diventare “maggiordomo”. Il ruolo del maggiordomo è di una certa rilevanza. Il cibo e la livrea non sono niente male! Ma si deve solo essere assolutamente fedele al padrone e mai contestare le sue eventuali malefatte. Il padrone può bombardare e uccidere persone innocenti. Può usare droni assassini. Può raccontare fandonie, tipo le armi di distruzione di massa, per giustificare le sue azioni illegali. Può continuare ad umiliare il maggiordomo violando, nel caso specifico, la sua integrità territoriale con proprie installazioni militari. Il padrone impone prodotti di propaganda che fanno sempre vincere i cowboy che sterminano gli schifosissimi indiani, che esaltano il coraggio e la forza dei loro “ragazzi”, anche se, quando vai da loro, vedi obesi, senzatetto e drogati in ogni angolo. E i maggiordomi Mediaset e Rai obbediscono. Il padrone dice che bisogna difendere la democrazia in Ucraina. Ma come, pensa il maggiordomo, non era quello il paese più corrotto dell’Europa, quello che con la sua Burisma regalava valangate di denaro al figlio del padrone? Non è quello il paese che ha cancellato i partiti e che ha messo in galera i preti ortodossi? Non è quello il paese che lega a dei pali uomini, donne, ragazzi con il Domopak perché avevano rubato qualcosa per mangiare? Il maggiordomo lo pensa, forse, ma dopo medita anche sui benefici della livrea, e se ne sta zitto.

Poi, il cugino del padrone dice che manda proiettili all’uranio impoverito. Il maggiordomo ricorda vagamente che ne furono sparati più di 31 mila colpi in Kosovo e che, in aggiunta ai Kosovari che contano poco, 7600 militari italiani si sono ammalati di cancro a causa dei proiettili all’uranio impoverito utilizzati dalla NATO durante i bombardamenti del 1999 e, di questi, 400 sono deceduti [2]. Boh, pensa il maggiordomo, non sono fatti miei. Poi, ora devo preparare il te allo zenzero.

L’umiliazione del padrone passi anche, ma l’umiliazione delle servette che piacciono al padrone è difficile da digerire. Dovete sapere che il “maggiordomo” è membro di un club chiamato UE che a un certo punto ha fatto iscrivere, come si dice in posti poco educati, “cani e porci”. Uno di questi, nato in Lettonia, è diventato vicecapo e, anche se la sua “famiglia” vive di sussidi profumatamente pagati dal “maggiordomo”, si permette di comandare e bacchettare il “maggiordomo”. E il lettone non è l’unico. Il club che doveva essere una cosa esclusiva con persone ben vestire e consapevoli del ruolo da svolgere, modello Rotary Club, è diventato una bettola con gli arrivati con pezze sul culo che si sono ripuliti e rifocillati alle spese del “maggiordomo” e di altri commercianti che, almeno, hanno potuto ampliare la rete di vendita delle loro Mercedes.

Ma i vantaggi ci sono, perbacco. Si possono condividere con il padrone e i suoi amici i benefici di una vita agiata sostenuta da debiti. Non per tutti, ovvio, ma con poca fatica e sudore. Chi sgobba è molto lontano ed è così sciocco da accettare per il duro lavoro l’equivalente delle perline di vetro usate dagli olandesi per comprare Manhattan [3]. Non sono perline ma pezzi di carta verde o rossastra con stampate promesse che mai verranno onorate. Ora c’è la novità di banchieri e di economisti, che geni! Hanno inventato il denaro (anche lui fiat) fatto di nulla, di bit elettronici. Così non si consuma nemmeno la carta.

Una cosa disturba il maggiordomo. Il padrone e i suoi accoliti impongono le loro abitudini culinarie. Mangiano schifose patatine fritte e granturco scoppiato, divorano polpette messe tra due pezzi di pane e dicono che l’olio di semi vari è più salutare dell’olio d’oliva. Dicono che la dieta mediterranea fa male, e lo scrivono anche sulla confezione dei prodotti. E il formaggio? Sì, ma solo quello di colore aragosta. Ora si sono infatuati dei grilli e hanno grossi allevamenti per farne farina. Il maggiordomo borbotta, ma state sicuri, tra un po’ si adegua.

Di Franco Maloberti per ComeDonChisciotte.org

18.04.2023

Franco Maloberti. Professore Emerito presso il Dipartimento di Ingegneria Elettrica, Informatica e Biomedica dell’Università di Pavia; è Professore Onorario all’Università di Macao, Cina.

NOTE

[1] https://www.paulcraigroberts.org/2012/04/19/unplugging-americans-from-the-matrix/

[2] https://www.lindipendente.online/2021/03/29/kosovo-20-anni-dopo-7-600-militari-italiani-malati-a-causa-delluranio-impoverito/

[3] https://www.focus.it/cultura/curiosita/a-quanto-fu-venduta-manhattan

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