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La Redazione

 

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Alex Anfruns: Stiamo assistendo al crollo dell’architettura neocoloniale in Francia

Intervista con il giornalista Alex Anfruns Millán sulla "rivoluzione panafricana" in Mali, Burkina Faso e Niger.
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A cura di Redazione CDC
Il 30 Luglio 2024
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Di Pascual Serrano, peoplesdispatch.org

Negli ultimi anni, tre Paesi dell’Africa occidentale, Mali, Burkina Faso e Niger, hanno sperimentato colpi di Stato con un denominatore comune: una rivolta nazionale e sovrana contro la Francia, la loro ex metropoli, ancora dominante nell’economia, nella difesa e nelle relazioni internazionali. I leader militari hanno rovesciato i governanti fantoccio della Francia e istituito governi provvisori, provocando allo stesso tempo indignazione, sanzioni e minacce di intervento militare da parte delle potenze occidentali.

Non è facile ottenere in Occidente un’informazione rigorosa e libera dagli interessi delle potenze europee su questi eventi. Da ciò, riveste un particolare valore il libro di Alex Anfruns Millán “Niger: un altro colpo di Stato… o la rivoluzione panafricana?“.

Pur essendo nato in Catalogna, Anfruns ha vissuto tra la Francia e l’Africa francofona. Per quattro anni ha pubblicato il mensile Journal de l’Afrique e ha tradotto e scritto sulle guerre e sui tentativi di colpo di Stato in Mali, Siria, Venezuela e Nicaragua, specializzandosi in Africa e America Latina. Attualmente è professore a Casablanca e si occupa di ricerche sul diritto allo sviluppo da una prospettiva storica panafricana.

Di seguito, un estratto dell’intervista condotta dall’autore Pascual Serrano con Alex Anfruns sul suo libro e sugli eventi nella regione durante il suo soggiorno a Barcellona:

Pascual Serrano: Lo scorso luglio, un gruppo di soldati ha rovesciato il Governo del Niger e ha istituito un Governo di transizione. Cosa pensa che questo colpo significhi per il Paese e la regione?

Alex Anfruns: Il 26 luglio 2023, un gruppo di noti militari che fanno parte della Guardia Presidenziale del Niger ha preso il potere. Quella data è il culmine di un processo di sovranità regionale già iniziato nel 2020 con un colpo di Stato in Mali, cui ne è seguito un altro nel 2021, e nel 2022 anche in Burkina Faso.

Cioè, nell’arco di circa 3 anni, abbiamo una serie di colpi di Stato militari che contraddicono la visione dominante secondo cui il posto dell’Esercito dovrebbe essere nelle caserme e non deve essere coinvolto nella vita politica. Nel caso di questi Paesi africani del Sahel, in Africa occidentale, ciò che accade è che reagiscono a una progressiva presa di coscienza da parte della popolazione. Molte persone africane, milioni di persone, si sono mobilitate per una serie di motivi.

Negli ultimi anni, c’è stata una rinascita di un sentimento di dignità e di lotta per la sovranità tra la popolazione, in particolare in Mali. Quando è iniziato il rifiuto della presenza delle truppe francesi nel territorio, sono riusciti ad espellerle e poi progressivamente anche in Burkina Faso e in Niger. Si tratta di un intero processo regionale in cui i militari intervengono in Niger per diversi motivi.

Il Mali ha il cosiddetto triplo confine, la regione di Liptako-Gourma, dove tutti i gruppi terroristici circolano da un territorio all’altro. Si dà il caso che in quei Paesi ci sia stato un dominio militare straniero per più di dieci anni, soprattutto da parte della Francia. Uno dei pretesti per questa presenza era la lotta al terrorismo. La gente ha iniziato a chiedersi come sia possibile che una presenza di oltre un decennio sul terreno di migliaia di truppe straniere, con la tecnologia più avanzata degli eserciti occidentali e con un budget di difesa impressionante, non riesca a contrastare o neutralizzare quei gruppi terroristici che si moltiplicano nel corso degli anni.

Così due Paesi, che rifiutano la presenza militare straniera e che dispongono di forze militari proprie, si ribellano e in seguito vengono raggiunti dal Niger.

Ritengo che il colpo di Stato in Niger sia il culmine di questo processo. Osservano che c’è stata una connivenza, o almeno un’accettazione, da parte della Francia di questi gruppi terroristici islamici, perché non potevano sradicarli. Le persone pensano che il terrorismo sia stato un alibi o una scusa semplicemente per giustificare la presenza militare straniera, ma poi non hanno sradicato questi gruppi terroristici. Questo fa parte del discorso dei popoli africani. Se ascoltiamo i leader del Mali, del Burkina Faso e ora del Niger, il discorso è che la fonte del terrorismo è occidentale.

Ad esempio, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito francese, che era a capo delle truppe francesi in Mali, ha detto che la sua presenza nel Paese dovrebbe essere di almeno 30 anni. Nessuno può credere che l’esercito francese abbia bisogno di tre decenni per eliminare i gruppi terroristici africani.

D’altra parte, i responsabili dell’esercito francese hanno dato legittimità ai gruppi Tuareg come attori politici che chiedono un’indipendenza che implica una divisione territoriale del Mali e persino i media francesi raccolgono le dichiarazioni dei loro portavoce. Ma tutti nel Sahel conoscono la stretta relazione tra questi Tuareg e i gruppi terroristici.

PS: Numerose analisi della regione affrontano il ruolo dell’ECOWAS, la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale. Può spiegarlo?

AA: L ‘ECOWAS è un gruppo regionale di quindici Paesi dell’Africa occidentale, fondato nel 1975, la cui missione era quella di promuovere l’integrazione economica della regione. Era un progetto di sviluppo economico, ma il problema è che, negli ultimi anni, è diventato uno strumento di ingerenza nelle mani dei francesi. La Francia utilizza gli alleati che ha nella regione, come Ouattara [Alassane Ouattara, presidente della Costa d’Avorio], o il presidente Macky Sall, che recentemente è uscito dalla porta di servizio del Senegal. A questi attori si aggiunge Bola Tinubu, che si trova in Nigeria. Sono attori che si sono messi al servizio degli interessi francesi, e l’ECOWAS si è rivelata nei casi del Mali, così come del Burkina Faso e del Niger, uno strumento per esercitare una politica di sanzioni. Queste sanzioni hanno causato sofferenze in popolazioni con un’incredibile povertà estrema, ed è allora che si vede chiaramente che all’ECOWAS non interessa la sofferenza della popolazione.

Sono sottoposti a blocchi di ogni tipo, per cui la popolazione non ha accesso all’elettricità, alle medicine e al cibo. Si vede che questa associazione non svolge più la funzione per cui era stata creata e questi tre Paesi prendono la storica decisione, alla fine di gennaio, di un’uscita definitiva e irreversibile dall’ECOWAS. Quindi l’architettura neocoloniale della Francia viene un po’ smantellata.

Nel caso dell’ECOWAS, è stato un attore il cui peso è ora in declino.

PS: Vorrei che spiegasse un po’ meglio come l’intervento della NATO in Libia ha influenzato la regione.

AA : La guerra in Mali ha già avuto origine dalla destabilizzazione in Libia. In effetti, è stata una lezione che i popoli e i leader africani hanno imparato, perché hanno capito il loro errore storico nel non opporsi in modo chiaro e frontale e nel non proteggere Gheddafi, che aveva anche una visione panafricana. Che piaccia o meno ai politici europei e all’opinione pubblica occidentale nei media egemonici, la Libia di Gheddafi è percepita, compresa la sua eredità, come un contributo storico al panafricanismo.

La sua eredità è stata così influente che, nonostante la Libia si trovi in Nord Africa, in due momenti della storia recente del Niger ci sono stati due colpi di Stato legati alla Libia. Uno è avvenuto poco dopo che il Presidente del Niger aveva stabilito relazioni con la Libia di Gheddafi, nel caso di Hamani Diori, che ha subito un colpo di Stato nel 1974. Pochi mesi prima aveva stipulato un accordo di difesa con la Libia. E nel caso di Mamadou Tandja [presidente del Niger rovesciato nel 2010 da un colpo di Stato], uno dei motivi per cui fu deposto è perché si oppose chiaramente agli interessi della Francia e stabilì relazioni con la Cina, con l’Iran, con il Venezuela e accolse anche Gheddafi.

Quella stessa Francia che ha anche occupato gran parte del territorio del Mali e che non ha permesso all’Esercito maliano di risolvere i suoi problemi di terrorismo, perché ha impedito all’esercito nazionale di accedere al proprio territorio, in quanto sotto il controllo militare francese.

Nel caso del Niger, la strategia imperialista francese è stata interrotta e questo ha un significato storico. A mio avviso, questo ha un carico simbolico molto forte, come la battaglia di Dien Bien Phu nella guerra tra Indocina e Francia. Vale a dire, c’è la consapevolezza che si sta ripetendo il momento in cui il Vietnam sconfisse l’esercito francese nel 1954.

Poi, nel popolo africano si è creata la consapevolezza che la sconfitta dell’uomo europeo, dell’uomo bianco, era possibile e da lì è iniziato un movimento anticoloniale che si è notevolmente rafforzato. Cioè, a livello simbolico, il Niger è importante per la speranza che dà al popolo africano facendo vedere che è possibile sconfiggere queste minacce di guerra e queste politiche di sanzioni.

PS: Non c’è la possibilità che questi nuovi governi e movimenti, allontanandosi dalla Francia, possano avvicinarsi agli Stati Uniti e finire per cadere sotto un altro imperialismo?

AA: Questa è una delle ipotesi. In realtà, gli Stati Uniti, quando si è verificato il colpo di Stato in Niger, hanno avuto una posizione pragmatica e lo hanno accettato. Non è un imperialismo maldestro come quello della Francia e cerca un po’, diciamo, di non opporsi troppo. Difendono chiaramente il regime rovesciato, ma lo fanno con un profilo basso.

Nel mio libro sul Niger sottolineo la possibilità che gli Stati Uniti cerchino di recuperare questa dinamica, ma gli eventi stanno dimostrando che in Niger c’è una chiara visione della difesa della sovranità. E la chiave è il sostegno e la mobilitazione popolare.

Quindi penso che i fatti stiano dimostrando che in Niger c’è una visione molto chiara che considera le truppe militari straniere come un’occupazione, come un neocolonialismo. E la richiesta che le basi militari statunitensi che esistono nella capitale, e anche nel nord, con un investimento multimilionario, con una base di droni, se ne vadano e abbandonino il territorio nigerino il più rapidamente possibile. Sta dimostrando che il popolo non si fermerà a una singola misura, ma che esiste un vero e proprio piano completo di sovranità, di sovranità popolare. Non solo a livello di difesa di ogni nazione, ma c’è quella che considero un po’ l’ipotesi del libro, cioè che ci stiamo muovendo verso una rivoluzione panafricana dal momento in cui non si tratta più di difendere semplicemente la propria nazione, ma di creare cooperazione e mettere le risorse a favore dei diritti dei popoli della regione.

PS: Qual è il ruolo della Russia, della Cina o dei BRICS nella regione del Sahel?

AA: Credo che siamo a un bivio e che, volenti o nolenti, ci troviamo in una situazione di nuova guerra fredda.

Ecco perché è importante concentrarsi sui fatti. Per esempio, osservando che la Francia ha prima una politica coloniale e poi neocoloniale nella regione, con una serie di meccanismi come il Franco CFA, la moneta a corso legale dei Paesi dell’Africa occidentale e centrale. Significa Franco della Comunità Finanziaria Africana, anche se al momento della sua creazione era l’acronimo di “Colonie Francesi d’Africa” e questo è senza dubbio una limitazione della sovranità economica di questi Paesi, perché la valuta è stata prima legata al franco francese e ora all’euro.

Sappiamo tutti che gli Stati hanno interessi, non si tratta di amicizia, ma ci sono relazioni tra Stati che sono rispettose e che guardano al mutuo beneficio. In questo senso, le relazioni con la Russia sono molto buone, ma non solo con la Russia, bensì anche con la Cina, l’Iran e la Turchia.

Si tratta di relazioni in cui a questi Paesi sono consentite prospettive diverse dalla sottomissione economica e, soprattutto, non viene impedito lo sviluppo. Quando parliamo di sviluppo, dobbiamo sapere quali sono le condizioni di vita del popolo nigeriano. Il Niger è tra i principali produttori di uranio al mondo e, d’altra parte, ha i dati più bassi di sviluppo umano. Al momento del colpo di Stato, la povertà estrema era del 42%, con un’enorme mancanza di accesso all’elettricità e con un’ampia parte della popolazione che viveva di agricoltura di sussistenza, in funzione delle piogge.

In Niger i militari stanno valutando e di fatto stanno portando avanti una serie di progetti che consentiranno maggiori entrate per lo Stato, e credo che otterranno un maggiore sviluppo e beneficio sociale.

PS: Quali sarebbero le misure di sviluppo e di sovranità del Niger e in generale dei Paesi del Sahel che si stanno sviluppando in risposta alle sanzioni occidentali?

AA: Innanzitutto, quando si verificano le sanzioni, abbiamo l’invio di convogli umanitari dal Burkina Faso al Niger, con i quali vediamo che, sebbene tutte le frontiere dei Paesi ECOWAS siano bloccate, il fatto che questi tre Paesi siano uniti, permette loro, anche se non hanno accesso al mare, una certa solidarietà e cooperazione interafricana.

Nel caso del Niger, dopo questi mesi di resistenza, i risultati ottenuti sono buoni. Hanno completato la costruzione di un impianto fotovoltaico e stanno lavorando alla produzione di petrolio, che aumenterà notevolmente. Questo ha reso possibile la vendita di carburante ai Paesi vicini. Con la capacità di sviluppo dell’industria petrolifera, saranno in grado di ridurre la loro dipendenza dall’energia.

Anche per quanto riguarda l’industria dell’estrazione dell’oro, è prevista la creazione di raffinerie d’oro. Non solo, ma ci sono anche una serie di iniziative di industrializzazione e viene proposta la sovranità alimentare, che è qualcosa di realizzabile, non è un’utopia.

Il Mali, il Burkina Faso e il Niger sono Paesi in cui c’è ancora insicurezza alimentare. Ci sono enormi risorse e ora, con l’espulsione degli attori neocoloniali, si aprono prospettive di cambiamento molto positive.

PS: Confrontando questi tre Paesi che stanno vivendo questi cambiamenti, i loro tre governi non hanno necessariamente un’ideologia simile, al di là di una posizione comune di recupero della sovranità e del nazionalismo di fronte al colonialismo francese. Vede delle differenze ideologiche tra loro, o pensa che questo sia irrilevante?

AA: Si tratta di una questione che viene ora discussa, dal momento che questi governi sono considerati governi militari di transizione e, prima o poi, dovrebbero lasciare il posto a governi civili.

Tuttavia, la situazione attuale è che in Mali l’attività dei partiti politici è vietata, perché si propone che sia prima necessario recuperare veramente e totalmente la sovranità nazionale.

In questo senso, credo che la priorità sia affrontare il problema del terrorismo in questi tre Paesi, ma, allo stesso tempo, porre le basi per difendere le loro risorse strategiche, decidere su di esse e non dipendere così tanto dalle importazioni.

Ibrahim Traoré, nel mese di ottobre, ha avuto un incontro con i datori di lavoro del Burkina Faso, con i capitalisti del Paese. Ha detto loro che finora i prodotti, gli alimenti che il popolo burkinabé consuma, sono in gran parte importati, la produzione nazionale non viene sostenuta. E ha aggiunto: d’ora in poi, dedicherete il 10% del vostro capitale alla produzione nazionale. Quello che sta facendo Traoré è, in un certo senso, ereditare le idee di Thomas Sankara.

Sarei curiosi di sapere quanti sono i presidenti che si siedono con i capitalisti e danno loro ordini, perché normalmente è il contrario, sono i poteri economici che comandano il potere politico.

Qui abbiamo una manifestazione concreta del fatto che sono questi leader a dare ordini, a imporre una trasformazione della struttura economica. Ma ci vorrà del tempo e credo che i prossimi anni ci permetteranno di vedere se si trasformerà. Ad esempio, lasciamo che entrino in scena le masse popolari, che sono persone che vivono principalmente di agricoltura e che storicamente sono state escluse dalla società, dal destino della nazione.

Quindi tutto questo è ancora in fase di sviluppo, ma credo che per ora la rivoluzione panafricana sia una buona notizia.

Di Pascual Serrano, peoplesdispatch.org

Pascual Serrano è un giornalista e scrittore.

12/07/2024

Fonte: https://peoplesdispatch.org/2024/07/12/alex-anfruns-we-are-witnessing-the-collapse-of-neocolonial-architecture-in-france/

Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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