Di Andrea Zhok
Commentare l’ascesa della nuova stella nel firmamento della “sinistra”, Elly Schlein, è in gran parte una perdita di tempo, ma siccome la tipologia di commenti critici che prevalgono sui social si sofferma, inappropriatamente, su tratti di natura biografica e personale, due parole sono opportune.
Che la biografia personale e politica della nuova segretaria del PD sia emblematica è vero, ma il punto da rimarcare è storico e politico, non personale. La vittoria alle primarie aperte – per quanto sia un sistema di elezione del segretario ridicolmente manipolabile – ha dato un responso che è perfettamente in linea con la storia del Partito Democratico.
Il PD è una degenerazione storica progressiva il cui ruolo odierno nella politica italiana è di permettere a una significativa parte dell’elettorato di continuare a mentirsi. C’è infatti una parte di popolazione che è cresciuta all’interno dello schematismo oppositivo destra-sinistra, che si vagheggia alla lontana “erede del grande PCI e della Resistenza”, che vuole continuare a tutti i costi ad immaginarsi “di sinistra”, e che tuttavia ha interessi di classe e orientamento ideologico coincidente al millimetro con le istanze liberali che sono state il primo obiettivo polemico del socialismo e del comunismo storici. A queste persone il PD fornisce da anni un preziosissimo alibi. Grazie al PD essi possono muoversi a braccetto con gli eredi di quel movimento storico che ha massacrato Allende, violentato il Vietnam, promosso il maccartismo, demolito senza pietà diritti sociali e servizi pubblici, sfruttato colonialmente e neocolonialmente mezzo mondo, svenduto i servizi sanitari alle multinazionali, costruito un’oligarchia finanziaria tecnocratica con capitale Davos, ecc. e possono farlo sentendosi “de sinistra” perché tengono appesi nelle stanche sedi qualche ingiallito poster di Gramsci o Che Guevara.
La ragione per cui l’unica buona notizia che può provenire dalle fila del PD sarebbe la notizia del suo scioglimento non ha a che fare con un qualche rancore particolare, ma con la constatazione oggettiva che il PD ha solo questa funzione storica: quella di permettere il sussistere di una vernice di falsa coscienza buonista a copertura di una sostanza di completa aderenza all’agenda del potere liberalcapitalista.
Ma qual è questa agenda? Il nucleo centrale di questa agenda è molto semplice: si tratta di smantellare ogni forma di identità (individuale, storica, politica, naturale) che faccia resistenza alla tendenza generale del capitale. E qual è questa tendenza generale? È la tendenza a favorire l’assoluta liquidità delle relazioni (flessibilità, mobilità territoriale, precarietà, adattamento illimitato alle esigenze della produzione), in modo da permettere all’unica finalità dell’autoriproduzione del capitale di imporsi senza resistenze.
Ciò che crea problemi a questa tendenza sono tutte le strutture di radicamento e appartenenza: famiglie, comunità, stati-nazione, religioni, ideologie classiche, visioni del mondo strutturate in generale. Chiunque ponga al vertice dei propri valori una qualunque di queste istanze tende a creare una matrice di resistenza nei confronti del meccanismo guida del capitale, che esige l’assoluta disponibilità a trasformarsi internamente e spostarsi esternamente in ogni modo che possa risultare funzionale al macchinario mondiale della produzione-consumo.
Il gioco cui si è prestato il PD in modo esemplare (ma non solo il PD, ovviamente) è esattamente questo. Se infatti uno volesse andare alla ricerca di cosa hanno in comune politiche così diverse come il sostegno alla globalizzazione, le politiche di apertura dei confini, l’introduzione di agende mercatiste nell’istruzione e nella sanità, il supporto a ogni iniziativa biopolitica che mini le forme famigliari a base naturale, la rivendicazione di ogni minoranza salvo quelle di rilevanza politica, la distruzione delle tutele del lavoro dipendente e delle garanzie per il lavoro indipendente, ecc., tutto ciò e molto altro non ha niente di comune salvo alimentare il processo di liquefazione delle relazioni. L’orizzonte cui il meccanismo complessivo tende è la riduzione di ogni gruppo sociale a somma di individui, e di ogni individuo a somma di obiettivi variabili, dettati dalla propaganda o dalla pubblicità del momento: la liquefazione e liquidazione del mondo.
Ecco, se si comprende questa dinamica fondamentale, si comprende bene perché la nuova segretaria del PD è semplicemente lo sbocco coerente (e direi terminale) del processo degenerativo nato nel novembre 1989 alla Bolognina. Non è colpa sua. Fa semplicemente inconsapevolmente parte di quei Young Global Leaders (come li chiama Schwab: da Trudeau a Sanna Marin) che, essendo nati e vissuti integralmente nell’atmosfera culturale del neoliberalismo, ed essendo stati nutriti culturalmente di giornalettismo progressista, non hanno semplicemente accesso a nulla di ciò che il mondo e l’umanità sono stati (e fuori dall’Occidente ancora sono). Perciò la loro aderenza alle agende del potere costituito, finanziario e tecnocratico, è sincera e senza remore. Donde il fascino della loro serena semplicità, che li rende telegenici e appetibili alle nuove generazioni (*).
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Ieri menzionavo a proposito di Elly Schlein la categoria schwabiana dei Young Global Leaders. Purtroppo siccome molti ancora si informano sul Corriere o da Mentana anche di fronte alla semplice menzione di questa nozione c’è chi ha evocato il complottismo.
“Figurati se esiste qualcosa che accomuna tutti questi brillanti “giovani leader globali” in giro per il mondo (Justin Trudeau, Jacinda Ardern, Emmanuel Macron, Maia Sandu, Sanna Marin, Kaya Kallas, ecc. ecc.)?”
“Figurati se hanno un’agenda comune.”
“Figurati se godono di supporti internazionali comuni.”
Ora, che abbiano un’agenda comune è semplicemente un dato di fatto, se ci si prende la briga di andare a vedere le rispettive agende, sempre perfettamente allineate con la catena di comando americana, dalle strategie pandemiche alla guerra russo-ucraina.
Che siano soggetti che abbiano goduto e godano del sostegno esplicito, morale e materiale del World Economic Forum è noto e accertabile. (Per chi è forte di stomaco inserisco sotto il link autopromozionale del Forum of Young Global Leaders promosso dal World Economic Forum).
Ma una delle cose che colpisce maggiormente in questa accolita è la capacità di promuovere simultaneamente agende di apparente supporto ai diritti di alcuni gruppi (accuratamente selezionati), e agende di bullismo aggressivo nei confronti di altri gruppi, di volta in volta identificati come politicamente non conformi (che siano i renitenti alle inoculazioni o ai proclami bellicosi della Nato).
Quest’accoppiata di “dirittumanismo” e bullismo politico colpisce perché in molti siamo abituati a concepire l’idea della difesa dei diritti come un tratto politico associato all’universalismo egalitario.
E qui sta il fraintendimento.
L’approccio neoliberale, da sempre, usa i diritti come un’arma selettiva, che può essere usata in modo elastico per promuovere gli amici e bastonare i nemici. Basta vedere come al grido della “difesa dei diritti umani” siano state promosse la peggiori carneficine degli ultimi decenni (Irak, Afghanistan, Serbia, ecc.), o come nel nome della “tutela del diritto alla salute” siano state fatte le porcate della certificazione verde.
In verità la nozione di diritto è scivolata inavvertitamente verso quella di privilegio, e dispensare diritti (e obblighi) ad hoc per questo o quel gruppo è diventato semplicemente un modo per gestire il potere in modo perfettamente arbitrario e strumentale.
(Ogni qual volta l’idea di diritto viene declinata nella forma di “diritto speciale”, “tutela particolare” di questo o quel gruppo, ecc. si può essere sicuri di essere di fronte ad una trasformazione del diritto in arbitrio.)
A titolo di esempio di questa apparentemente paradossale unione di istanze può essere utile citare un’altra eminente Young Global Leader come la ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock.
La Baerbock si è già distinta per una serie di apparenti gaffes, che in verità tali non sono, come quando, smentendo le posizioni della diplomazia tedesca ed europea, ha affermato pubblicamente che la Germania “è in guerra con la Russia”, o quando di fronte ad un pubblico tedesco esterrefatto ha affermato “Metterò l’Ucraina al primo posto. Non importa quello che pensano i miei elettori in Germania o i sacrifici che dovranno fare questo inverno”.
Ma a fianco di questa agenda da pasdaran della guerra troviamo altre proposte emblematiche da parte della Baerbock. Scopriamo ad esempio che la ministra tedesca ha appena lanciato una revisione femminista delle tattiche diplomatiche del paese, inclusa la creazione di un nuovo ruolo per un “ambasciatore per la politica estera femminista”.
Come riporta POLITICO, il rapporto di 80 pagine sulle nuove linee guida – intitolato “Shaping Feminist Foreign Policy” è una pietra angolare dell’agenda di Baerbock ed è stato incluso nell’accordo di coalizione.
Di Andrea Zhok
01/03 Marzo 2023
Andrea Zhok è un filosofo e accademico italiano, professore di Antropologia filosofica e Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano.
NOTE
https://www.younggloballeaders.org/
Fonti: