Taiwan si è salvato dal Covid-19 perché ha fatto esattamente il contrario delle linee guida emanate dall’OMS

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DI ROSANNA SPADINI

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Non è ancora del tutto chiaro come il mondo alla fine riuscirà a bypassare l’attuale pandemia di Covid-19, sta di fatto che l’OMS avverte che la malattia virale potrebbe diventare una minaccia permanente per la salute umana allo stesso modo in cui si presenta la malattia da HIV.

In ogni caso, i decessi globali causati da Covid-19 sono destinati ad aumentare oltre l’attuale livello di 316.925, provocando così ulteriore caos nelle economie e nelle società nazionali.

La devastazione economica della pandemia ha una portata globale, ma le economie occidentali sembrano particolarmente colpite, tanto che sono state descritte come le peggiori dalla Grande Depressione degli anni ’30.

Probabilmente la pandemia di Covid-19 non introdurrà un ordine mondiale  completamente nuovo, ma agirà come acceleratore delle attuali tendenze geopolitiche, in particolare la crescente rivalità tra Stati Uniti e Cina e il tentativo di  trasferimento del potere economico da ovest a est.  

La guerra al virus si è anche tradotta in una guerra di disinformazione. La Cina sta cercando di rinnegare la responsabilità del virus che si è originato a Wuhan  diffondendo teorie della cospirazione per creare confusione, e gli Stati Uniti stanno cercando a loro volta di attribuire la colpa alla Cina.

Certo che in tutta questa brutta storia l’OMS ha la grave responsabilità di aver ritardato le informazioni, trasformando così un contagio che poteva restare locale in una pandemia globale.

L’OMS è finanziata dai 194 Paesi membri con contributi fissi in base al Pil, sostanzialmente congelati dal 1987, e da contributi volontari (tutta la lista). Questi ultimi però rappresentano la parte più consistente e provengono anche da una moltitudine di soggetti privati: parliamo di 4,6 miliardi di dollari su un budget complessivo di 5,6. Il primo contribuente sono gli Stati Uniti che versano in totale 893 milioni di dollari. Al secondo posto troviamo Bill e Melinda Gates con oltre 600 milioni, al terzo il Regno Unito con quasi 400, al quarto Gavi Alliance (di Bill Gates) con 370, poi il Rotary Club, il National Philantropic Trust e la Cina è al 14esimo posto con 85,8 milioni.

Di fatto l’Oms gestisce il 20% del suo budget, perché il resto sono progetti specifici decisi dai privati, e non tutti conosciuti. Un’organizzazione quindi indebolita dalla mancanza di soldi, trasparenza e dalla corruzione interna.

Il direttore generale da statuto «non deve domandare né ricevere istruzioni da nessun governo o autorità straniera». Ma nel 2017, per la prima volta è stato nominato un africano con l’appoggio della Cina: Tedros Adhanom Ghebreyesus, ex ministro della sanità e degli esteri dell’Etiopia.

Il primo ricovero all’ospedale di Wuhan di un malato di Covid-19 è dell’8 dicembre 2019, ma i funzionari cinesi riferiscono agli uffici Oms di Pechino dell’esistenza di casi atipici di polmonite il 31 dicembre (già con Sars la Cina aveva occultato i dati).

L’Oms, da Ginevra, informa il mondo con un tweet il 4 gennaio, e solo il 30 gennaio, quando i contagi ufficiali sono già 7.836 e 18 i paesi coinvolti, il direttore generale dichiara “Pheic”, «un’emergenza sanitaria internazionale». Nella stessa conferenza stampa si sente in dovere di elogiare la Cina: «La velocità con cui ha rilevato l’epidemia, isolato il virus, sequenziato il genoma e condiviso con l’Oms e il mondo è molto impressionante. La Cina sta definendo un nuovo standard per la risposta alle epidemie. Non è un’esagerazione». In realtà il ritardo nella comunicazione della Cina stava andando di pari passo con la sottostima dei contagi e il ridimensionamento della portata dell’allarme.

Secondo Lancet, al 20 febbraio sarebbero stati 232 mila i contagiati in Cina, contro i 55.508 segnalati. E solo il primo aprile la Cina riconosce il ruolo degli asintomatici. Ancora il 26 febbraio l’Oms è prudente: «L’incremento dei casi fuori la Cina ha portato alcuni media e politici e spingere per la dichiarazione di uno stato di pandemia. Noi non dovremmo essere troppo impazienti, senza un’attenta analisi dei fatti». E sconsiglia restrizioni al traffico aereo verso la CinaSolo l’11 Marzo, quando il numero dei contagi si era allargato a 114 Paesi, l’Europa in ginocchio, e 4.291 persone che hanno perso la vita, arriva l’annuncio: «Abbiamo valutato che Covid-19 può essere definito come pandemia».

L’Oms conferma la trasmissione interumana il 21 gennaio, e solo il 27 febbraio si chiarisce che avviene mediante “droplets” (goccioline), mentre gli Ecdc europei lo avevano già dimostrato il 2 febbraio. Il ritardo si ripercuote sulle misure di protezione: sull’uso delle mascherine nella popolazione generale, Tedros ne sconsiglia l’utilizzo.

Ancora il 6 aprile, quando ormai le evidenze scientifiche mostrano l’efficacia dell’uso di mascherine chirurgiche, dichiara che dovrebbero essere riservate ai lavoratori della sanità, e consiglia ai decisori politici di applicare un approccio basato sul rischio di esposizione al Covid-19 in base alla densità della popolazione.

La prima indicazione chiara su cosa fare arriva il 16 marzo: «Testare ogni caso sospetto, se positivo isolarlo, tracciare i contatti nei due giorni precedenti ai sintomi e testare anche loro». Una strada già indicata dalla Corea del Sud: a metà febbraio aveva avviato una tempestiva campagna di test e tracciamenti di massa per bloccare i focolai, portando in un mese i contagi quasi a zero.

Ma quale interesse aveva Tedros a tentennare, in un momento in cui l’Oms aveva bisogno disperato di fondi? Beh… la Cina è il più grande partner commerciale dell’Etiopia: finanzia infrastrutture ferroviarie, di telecomunicazioni, autostrade, centrali idroelettriche. Nel 2016 inaugura il gigantesco parco industriale di Hawassa, dove disloca la sua manifattura (costa meno che in Bangladesh).

Sempre nel 2016 sono stati registrati dalla commissione etiope per gli investimenti più di 1.000 progetti cinesi: industria, costruzioni, immobiliare. Ad oggi gli investimenti ammontano a 24,5 miliardi dollari (fonte Aei). La Cina è anche il primo fornitore di armi all’esercito etiope. E l’Etiopia è il suo hub per la strategia di lungo periodo nell’approvvigionamento delle materie prime che stanno nel resto del continente africano, perché è nella capitale Addis Abeba che si incontrano i governi.

Proprio lì c’è la sede dell’Unione Africana: un palazzo di 20 piani donato dalla Cina nel 2012, la sede della Commissione Economica per l’Africa dell’Onu, e hanno base le più importanti organizzazioni non governative. In sostanza fa quello che l’Europa ha fatto per 200 anni, senza però rompere le scatole sui diritti umani. E l’Etiopia ricambia: è stato il primo paese africano ad opporsi alla proposta Onu di sanzioni alla Cina per la violazione dei diritti umani in Tibet.

Nonostante le gravi responsabilità tuttavia è molto probabile che la Cina emerga dalla crisi come attore globale ancora più grande. La Cina si sta impegnando a fondo per riparare il danno reputazionale, causato dai suoi tanti errori, in particolare condividendo le competenze mediche, inviando aiuti e colmando alcune carenze di forniture mediche in tutto il mondo (quasi mai gratuitamente). Il paese cercherà anche di capitalizzare il fallimento degli Stati Uniti nella gestione della crisi, e dovrà probabilmente ridefinire i rapporti con l’Occidente, tuttavia, sembra altamente improbabile tuttavia che la crisi possa rallentare lo sviluppo di sfere di influenza cinesi in alcune parti dell’Africa, dell’Europa orientale, dell’America Latina e del Sud-est asiatico.

Covid–19 è un test di sistema. Nonostante i gravi errori commessi dal regime cinese, alcuni paesi asiatici hanno saputo gestire l’epidemia molto meglio dell’Occidente:  Taiwan, Corea del sud e Singapore in particolare. L’Occidente si è mostrato disarmato, nonostante abbia avuto come modelli di riferimento il mondo asiatico. Il successo di Taiwan è imbarazzante, soprattutto per l’OMS: 24 milioni di abitanti, 440 contagi, 7 morti. La piccola isola, considerata dalla Cina una “provincia ribelle”, ha dato una lezione al pianeta intero, anche a quei governi che le preferiscono Pechino.

Taipei si è mossa subito con prontezza, attivando alla perfezione la sua macchina organizzativa, ricalcando per efficienza il modus operandi sudcoreano, senza ricorrere ad alcun lockdown.

Dulcis in fundo, Taiwan è la Cina democratica, la stessa la cui indipendenza non è riconosciuta dalla Repubblica Popolare cinese e da molte nazioni. La “provincia ribelle” inoltre non fa parte neppure dell’Oms, sempre per i veti di Pechino. Forse anche per questo ha ottenuto il successo.

Benché si possa dire che in Asia le epidemie non vengono combattute solo da virologi o epidemiologi, ma anche e soprattutto da informatici e specialisti di Big Data. Un cambio di paradigma cui l’Europa si sta attrezzando.

In Asia la coscienza critica nei confronti della sorveglianza digitale è pressoché inesistente, nessuno si oppone alla furiosa raccolta dati da parte delle autorità. La Cina ha anche introdotto un sistema di punteggio sociale impensabile per l’europeo medio, che consente un giudizio totalitario sui cittadini. Si controlla ogni clic, ogni acquisto, ogni contatto, ogni attività sui social… chi passa col rosso, chi frequenta persone “inaffidabili” per il regime o posta commenti critici perde punti, e allora iniziano i guai, fino a perdere il lavoro.

In pratica non vi è alcuna protezione dei dati personali, il concetto di privacy non rientra nel vocabolario dei cinesi. Nel Catai ci sono duecento milioni di videocamere di sorveglianza, a volte dotate di efficientissimi dispositivi di riconoscimento facciale, impossibile sfuggirvi.

Chi esce di nascosto viene intimato da un drone volante di tornare in casa, una sorveglianza giudicata ancora distopica per gli europei. La digitalizzazione è una sorta di ebbrezza collettiva, favorita dal collettivismo culturale, che difetta nell’individualismo occidentale.

Lo stato cinese conosce tutto dei propri cittadini, che sembrano più sudditi, che liberi individui dotati di libero arbitrio e libertà di coscienza. In futuro lo stato sarà in grado di conoscere anche il loro peso, i valori glicemici ecc… una sorta di biopolitica digitale che va di pari passo con una psicopolitica digitale, influenzando anche emozioni e pensieri.

A Wuhan sono state formate migliaia di squadre di investigazione digitale interessate alla ricerca di potenziali contagiati solo sulla base di dati tecnologici, ciò significa che anche in termini epidemiologici, il futuro è nelle mani della digitalizzazione, che di fatto ridefinisce il concetto di sovranità alla luce dell’epidemia.

L’Europa fa ancora affidamento su vecchi modelli di sovranità quando dichiara lo stato di emergenza o chiude le frontiere, mentre in Asia sovrano è solo chi detiene i dati.

Il panico nei confronti dell’epidemia di Covid–19 è apparso a molti smisurato, infatti nemmeno la spagnola, dalla letalità molto superiore, ebbe conseguenze così devastanti sull’economia. Qual è il motivo? Come mai il mondo ha reagito così ad un virus?

Ci stiamo muovendo verso un feudalesimo digitale in cui il modello cinese potrebbe imporsi“, stima Byung-Chul Han, filosofo di origini sudcoreane e professore di filosofia all’Università delle arti di Berlino, autore di saggi come “La società della fatica”, “La psicopolitica: il neoliberismo e le nuove tecniche di potere” o “La società della trasparenza”.

Lucido visionario del “mondo nuovo”,  ne “La società della stanchezzaByung-Chul Han dice che “viviamo in un’epoca in cui non vale più il paradigma immunologico che scaturisce dalla negatività del nemico“.

La società organizzata in chiave immunologica è contraddistinta da confini e steccati che impediscono la circolazione accelerata delle merci e del capitale, per altro l’esatto contrario della società globalizzata.

Ora, d’improvviso, il virus irrompe, c’è di nuovo un nemico esterno tra noi, che provoca una reazione immunitaria di rara intensità, una tempesta di citochine che può diventare mortale per il tessuto socio economico. La realtà torna a farsi sentire nella forma di un virus ostile, e questo shock di realtà appare insostenibile.

Eravamo abituati alla cultura del “like”, narcisismo parossistico quotidiano, dove la digitalizzazione eliminava la rogna dell’inconveniente.

Nella società della sopravvivenza la salute rappresenta il valore più alto, e se la sopravvivenza è minacciata, siamo pronti a sacrificare tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Di conseguenza il panico estremizzato si è accompagnato ad una sorta d’isteria collettiva per la sopravvivenza.

L’intera società si è trasformata in una quarantena collettiva, dove alieno è prima di tutto un potenziale portatore di virus, da cui bisogna prendere le distanze, perché vicinanza e contatto significano contagio.

Slavoj Žižek sostiene che solo un nuovo comunismo potrà salvarci, e che il virus produrrà la caduta del regime cinese, ma credo che accadrà probabilmente il contrario. Sarà la Cina a vendere all’occidente anche il proprio stato di polizia digitale, proposto come modello di successo nella lotta all’epidemia.

Il virus non cancellerà il capitalismo, gli permetterà semplicemente di assumere nuovi volti e subire nuove mutazioni, come un serpente boa che cambia la pelle.

Qualche tempo prima sembra indebolirsi, perde l’appetito, diventa irascibile … poi al momento giusto rompe la vecchia guaina e comincia ad espellerla, l’involucro si rovescia e lascia spazio alla nuova membrana squamosa. Solo così potrà  garantire le sopravvivenza sempre più potente della specie.

 

Rosanna Spadini

18.05.2020

 

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