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La Redazione

 

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STUDENTI FUORI CORSO, SFIGATI. VERO

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A cura di Davide
Il 25 Gennaio 2012
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DI VALERIO LO MONACO
ilribelle.com

Di Michel Martone (nella foto) è inutile dire. E non diremo. Nominato da un premier votato da nessuno e “figlio di” eccellente. Insomma l’ultima persona che può permettersi di discettare su meriti e demeriti.

Ma la sua dichiarazione suggerisce qualche riflessione. Partiamo dalla fine: è vero, sacrosanto, che un ragazzo arrivato a ventotto anni senza laurea, dopo quasi un decennio passato all’università, sia uno “sfigato”. Eccome.

Naturalmente tutta la querelle mediatica si è spostata sull’analogia della dichiarazione fatta a suo tempo in merito ai “bamboccioni” di Padoa Schioppa, e poi alle altre dichiarazioni infelici di Brunetta. E insomma la si è buttata in rissa, tra i risentimenti dei benpensanti – o delle “suorine”, come le chiama Massimo Fini – e l’indignazione degli studenti che magari, in questo momento, stanno ancora dormendo nei propri letti. Ma non è questo il punto.È che in termini generali è evidente il fatto che se a ventotto anni non si è stati ancora in grado di raggiungere una laurea – beninteso, se si sono iniziati gli studi appena dopo il liceo – ci si debba fare un serio esame di coscienza. Cosa difficile, perché proprio questo, fare un esame di coscienza, meglio, farsi un esame di coscienza, può apparire impresa titanica.

Sia chiaro, non intendiamo fare la solita tirata sui demeriti dei “giovani d’oggi” che svernano a casa di mamma e papà e navigano in fuori corso perenni tra le aule universitarie, quando va bene, o le giornate passate sui libri a tentare di studiare qualcosa che non si riesce a far entrare in zucca. Il punto non è neanche questo, ma la riflessione generale rimane: è chiaro che se dopo aver impiegato oltre il doppio del tempo necessario a perseguire la laurea sei ancora in giro tra esoneri, esami, assegnazione della tesi, e magari, ovviamente, sei senza lavoro e non hai uno straccio di indipendenza, insomma un po’ sfigato lo sei. Altroché.

È sui motivi di questa situazione che bisogna riflettere, visto che si tratta non già di qualche caso ma della stragrande maggioranza, almeno nel nostro Paese. E la colpa, o la responsabilità – attenzione – molto spesso non è affatto dello studente (sfigato) di turno. Ma risiede altrove.

La responsabilità di un sistema accademico marcio come il nostro c’è, ad esempio, nel fatto che le Università, diventate di fatto delle aziende, hanno tutto l’interesse a che uno studente rimanga nella propria pancia, e nella propria lista di “clienti”, il più a lungo possibile. Ogni anno in più, una retta incassata in più. Dunque perché facilitarlo nel raggiungere la fine nei tempi stabiliti?

La responsabilità è poi in un carrozzone che, tra baronati di vario tipo, è comunque uno degli ennesimi casi in cui all’interno del nostro Paese si crea un sistema in grado di far vivacchiare e stipendiare (male quanto volete, ma poi non tanto, oggi come oggi) un numero sconfinato di persone, tra personale docente e non docente. Se tutti si laureassero rapidamente forse i conti non tornerebbero, no?

La responsabilità, inoltre, risiede anche in chi, in questo mondo in cui tutto è permesso e in cui sull’altare delle pari opportunità per tutti si sono sacrificati i più elementari criteri di merito, ha fatto credere che tutti fossero in grado, o prima o poi, di laurearsi.

L’università dovrebbe permettere di raggiungere l’eccellenza dal punto di vista scientifico, accademico, o comunque dovrebbe essere uno stadio avanzato nella storia dei propri studi. Magari perché dopo si accede a specializzazioni ancora superiori, ma in ogni caso laurearsi è – o dovrebbe essere – dal punto di vista generale, un traguardo in grado di far risaltare una certa elite nel campo della cultura e della scienza. Questo è il punto. Non si tratta tanto di dividere con l’accetta quello che è lo studio dell’obbligo e quello che non lo è, quanto di capire che se di eccellenza si tratta, ebbene è di tutta evidenza che essa non possa essere raggiunta da tutti.

Fuori di ipocrisia – il che, in questo ambito, deve essere un imperativo – il fatto di permettere pari opportunità di accesso a dei corsi superiori di studi, ovvero pari opportunità di poter tentare la strada di questi studi, non deve essere confuso e scambiato con la pari certezza che tutti, o prima o poi, possano raggiungere tale traguardo.

Se l’eccellenza si chiama così qualche motivo deve pur esserci. Non tutti sono in grado di poterla raggiungere a livello universitario. Magari possono farlo in qualche altro ambito, ma che si debba garantire a tutti di arrivare al traguardo è cosa ridicola, non fosse che, come detto, vi sono altri motivi per tentare di imporre la cosa.

A tutti deve essere garantita la possibilità di partire, certo, ovvero di presentarsi ai nastri di partenza. Ma da lì in avanti a un certo punto si dovrebbe capire da sé se si è in grado di arrivare o meno. Insomma se dopo quattro giri di pista ti accorgi che c’è gente che ti ha doppiato quattro volte forse è il caso che ti chiedi il perché. E che magari tenti di darti una risposta.

Di più: in molti casi, la responsabilità di tanti studenti che tentano la strada dell’università senza averne le capacità minime richieste per poter sperare di arrivare, è da imputare a chi, anni prima, non è stato in grado di chiarirgli in modo più o meno efficace che la strada dello studio non era proprio quella più adatta da intraprendere. Oggi se un liceale viene bocciato i genitori molto spesso come prima cosa se la prendono con i professori. Insomma che vi siano persone più portate e motivate per lo studio rispetto ad altre che non lo sono, e che magari sono più portate e motivate per altre cose, è un dato di fatto. E ciò non significa che le seconde valgano meno delle prime. Semplicemente che forse sarebbe il caso di non andare del tutto contro la propria natura.

Invece oggi le pressioni affinché in ogni caso si tenti la strada dell’università sono infinite. Premono mamma e papà, premono le aziende (salvo poi, in ogni caso, dare posti di lavoro da call center anche a pluri laureati) e preme l’università stessa, come abbiamo detto, a fare in modo che non crollino le iscrizioni ai corsi. Corsi che si decuplicano e che si inventano dal nulla pur di incassare una retta.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: corsi che alla fine (alla fine…) non portano a nulla se non a un pezzo di carta dal valore irrisorio. Livello generale delle università, e dei laureati, in caduta libera: è evidente, per far arrivare più persone al traguardo si abbassa il valore tecnico del percorso, no? E cosa ancora più grave, anni e anni in cui il ragazzo di turno va alla deriva in un sistema che non funziona senza, di fatto, costruire nulla. Perdendo il presente e evitando di cominciare a pensare al futuro.

Se a ventotto anni non ti sei ancora laureato, se non ci sei riuscito nel doppio del tempo necessario a conseguire il titolo (a meno di problematiche eccezionali che ovviamente non rientrano in questo discorso perché, appunto, riguardano l’eccezione), se hai speso, o fatto spendere, il doppio del denaro necessario ai tuoi genitori, oppure se hai dovuto lavorare di notte per pagarti la retta per il doppio degli anni necessari, e malgrado questo ancora non ti sei laureato, ebbene un po’ sfigato lo sei. Per responsabilità tua o meno, perché non ti va di studiare o perché non sei in grado e non te ne rendi conto e nessuno te lo hai mai fatto notare, perché l’università nella quale sei è un carrozzone fatiscente, o perché magari, visto che comunque fuori lavoro non ce n’è, è meglio continuare a vivacchiare lì dentro piuttosto che fare proprio il nulla, ma insomma, non è che sia una situazione fortunata, o no?

Valerio Lo Monaco

www.ilribelle.com
24.01.2012

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