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DI GIANLUCA FREDA
blogghete.blog.dada.net

“con rispetto parlando, Gianluca… ma vaffanculo va! 😀 non è il 1° aprile eh, siamo a luglio…”
cloro

Il lato positivo della questione è che quando la mia ora fatale giungerà sul serio, nessuno ci crederà più. Tutti penseranno che sono nascosto in un bunker sotterraneo segreto a giocare a poker con Elvis. Nasceranno accese discussioni tra complottisti e ufficialisti che terranno banco per anni sul web. Spunteranno foto sfocate raffiguranti tizi che mi somigliano mentre giocano a bowling o fanno la spesa, citate a riprova della mia permanenza in questa dimensione terrena. “E’ bello doppo il morire vivere anchora”, diceva Bernardino. Non sarà proprio come l’immortalità letteraria o come quella quantica, ma sempre meglio che niente. Sono uno che si accontenta.

Battute a parte, chiedo umilmente perdono a tutti per il mio scherzaccio di ieri.

Nella foto: Gianluca Freda
La stragrande maggioranza dei lettori, fortunatamente, non ci è cascata, ma quelli che hanno preso sul serio il mio improbabile necrologio – in cui parenti “addolorati” me ne dicevano di tutti i colori – si sono presi un bello spavento. Chiedo perdono soprattutto a quelli che mi hanno scritto e perfino telefonato a casa per le condoglianze (ha risposto mia figlia, che non sapeva del mio articolo ed è caduta dalla nuvole). Sono davvero commosso per l’affetto che alcuni lettori mi hanno dimostrato e mi dispiace sul serio di averli fatti preoccupare. Gli chiedo scusa. Inviate pure tutte gli insulti e le maledizioni che volete, per una volta non censurerò niente. Merito di essere punito.

In un penoso tentativo di ottenere delle attenuanti, dirò che quando ho scritto l’articolo non credevo che qualcuno l’avrebbe preso sul serio, dato che se questo blog ha mai avuto una costante essa consiste nell’invitare i lettori a diffidare sempre di ciò che ascoltano o leggono. O perlomeno a verificarlo con attenzione. Avevo inserito di proposito l’articolo nella categoria “bufale”; al link “bibliografia” avevo inserito un commento che svelava la panzana e chiariva, in parte, lo scopo dell’articolo; avevo perfino scelto tra le mie fotografie un’immagine in cui il mio lungo naso pinocchiesco spiccava di profilo in tutta la sua magnificenza, per offrire un suggerimento ulteriore. Macché, niente da fare. Contro la retorica, l’analisi non ha mai avuto la minima chance.

Vorrei sottolineare quanto segue: quando aprii questo blog all’inizio del 2006, ero un povero ingenuo pieno di condizionamenti mentali. Lo scopo del blog era in origine (pensate un po’) quello di sbeffeggiare Berlusconi – che ritenevo all’epoca responsabile di tutti i mali d’Italia, più o meno – in vista della sua probabile sconfitta alle elezioni del 2006. Ma dovendo scrivere degli articoli, fui costretto anche a leggerne molti e leggendo si imparano un sacco di cose. Quello che imparai è che tutte le categorie mentali su cui avevo costruito la mia percezione del mondo erano nella migliore delle ipotesi discutibili, quando non completamente campate in aria. E non lo erano per caso: tutta la mia (la nostra) percezione del mondo era stata edificata dall’apparato dell’informazione su una quantità di assunti falsi o indimostrabili allo scopo di controllare i nostri comportamenti e le nostre reazioni di fronte ad ogni aspetto della vita. E quando dico “tutta la mia percezione”, intendo proprio TUTTA, non semplicemente quella attinente alle trascurabili performance della politica italiana, incarnata dall’uno o dall’altro dei suoi figuranti. Mi accorsi che la cosiddetta “informazione” (giornali e TV) non aveva affatto lo scopo di “informare” l’uomo della strada: al più serviva a condizionarlo e manipolare le sue percezioni, ma la sua funzione principale era quella di operare come strumento di pressione tra gruppi di potere o come canale attraverso il quale i dominanti si scambiano tra loro subdoli messaggi in codice che solo i diretti interessati possono decodificare. E’ questo uno dei motivi per cui quando sento oggi parlare del “bavaglio all’informazione” rappresentato dalla cosiddetta legge sulle intercettazioni, provo soltanto un misto di sollievo e stupefatta ilarità.

E non era solo l’informazione quotidiana: capii con orrore che TUTTA la Storia che ci era stata raccontata sui banchi di scuola era un cumulo di menzogne. Mi accorsi che esistevano “due storie”: quella agiografica e distorta che viene regolarmente propinata agli studenti di ogni età negli appositi falansteri della cultura; e quella “seria”, nota solo ai professionisti, in cui la prospettiva comune sulla stragrande maggioranza degli eventi del passato veniva completamente ribaltata da dati e nozioni che sono di pubblico dominio, ma che vengono tenuti nascosti al grande pubblico o ridotti al silenzio (nei rari casi in cui riescono ad affiorare) dallo strepito dei dobermann dell’ufficialità mediatica. Mi accorsi che buona parte di ciò che crediamo di sapere sulla medicina, sull’astronomia, sulla fisica, sulla biologia era in realtà un cumulo di nozioni astratte, destituite di ogni fondamento scientifico. Capii che i meccanismi che muovono la politica degli stati non hanno nulla a che fare con le favole “fasciste” e “comuniste” che ci hanno abituato ad immaginare. Capii che l’osannata “democrazia” era nella migliore delle ipotesi una narrazione fiabesca scritta con lo scopo di scongiurare ribellioni schiavili. Capii che l’AIDS è una malattia inventata, che i “terrorismi” e i “banditismi” di ogni epoca non sono che la narrazione, ad uso dei lattanti, di complesse strategie geopolitiche che l’umanità non deve conoscere. Capii che perfino la rivoluzione della Terra intorno al Sole non è un dato scientifico oggettivo ma soltanto un’interpretazione, non esente da implicazioni politiche che riflettono un conflitto retrostante tra i grandi gruppi di potere per il controllo dell’immaginario umano. Capii un sacco di altre cose, di cui negli anni ho cercato, con alterne fortune e alterni risultati, di parlare su questo blog.

Comunque, il punto è che a partire dallo sviluppo di internet, un sacco di altra gente ha capito queste cose. L’informazione e la scienza ufficiali hanno perso e stanno perdendo ogni giorno la loro aureola di autorevole punto di riferimento per l’interpretazione della realtà. E qui nasce il problema che volevo evidenziare con la discutibile boutade di ieri: tutti noi abbiamo bisogno di una qualche “fonte autorevole” che ci fornisca schemi d’interpretazione della realtà. Quando una “fonte autorevole” perde di credibilità, si tende a cercarne un’altra. E’ quello che sta succedendo con i blog e i siti web, che stanno via via sostituendo stampa e TV come strumenti interpretativi. Questo è terribile. Il web non è una “auctoritas” più attendibile dell’informazione ufficiale. I blogger possono sbagliare (io stesso ricordo di aver preso diverse cantonate nel corso degli anni), oppure, peggio ancora, possono imparare a sfruttare le metodologie di manipolazione dell’opinione pubblica che hanno appreso attraverso la ricerca per il proprio tornaconto personale. Visto come è facile ingannare la gente? Se ieri sera non fossi intervenuto tempestivamente a bloccare l’imbroglio, oggi il web strariperebbe di mie commosse commemorazioni. Chiunque, digitando il mio nome su Google, apprenderebbe che sono morto per una strana forma di avvelenamento, provocata da chissà quale complotto ordito per mettere a tacere le scomode verità che andavo rivelando. E dopo la presente smentita, potrebbe andare anche peggio: un sacco di gente sarà portata a pensare che l’utilizzo dell’avvelenamento o di finti suicidi e incidenti per tacitare le voci fastidiose sia sempre e comunque una bufala, quando – purtroppo – NON E’ AFFATTO COSI’. Succo del discorso: non esistono “fonti attendibili” e tantomeno “autorevoli” per interpretare la realtà. O meglio, sì: ciascuno di noi diventa una “fonte autorevole”, ogni volta che controlla, verifica, analizza, confronta, passa al setaccio ciò che sta leggendo. Ognuno di noi diventa una “auctoritas” quando riesce a crearsi una propria visione soggettiva del mondo fondata sulla ricerca e sul confronto delle informazioni, rinunciando all’idea che la Verità Oggettiva possa essere attinta, senza troppi sforzi, da un’unica fonte. Le fonti servono per bere. Non bevete. Imparate a sintetizzare l’acqua o sarete schiavi per sempre delle multinazionali idriche.

Faccio un esempio, citando una notizia in cui mi sono imbattuto di recente: la presunta condanna alla lapidazione per presunto adulterio della 42enne iraniana Sakineh Mohammadi Ashtiani, ripresa anche dai giornali italiani. Se digitate il nome di Sakineh su Google, troverete centinaia di petizioni per fermare la sua condanna, centinaia di siti di femministe isteriche che strepitano contro il maschilismo in Iran, centinaia di discussioni in cui si stigmatizza la malvagità e la brutalità del regime di Ahmadinejad e dell’Islam in generale, che opprime le donne e le sottomette all’esecrabile sciovinismo maschile. Il lettore disattento, ricaverà dalla lettura di un “>articolo come questo le seguenti informazioni: l’Iran è un paese di inaudita barbarie, dove un regime brutale e illegittimo, in nome di una religione arcaica, opprime le donne, le considera alla stregua delle bestie e le ammazza a colpi di pietre se solo osano discostarsi dalla morale di stato. Corollario: prima gli israeliani e gli americani cancellano dalla carta geografica, a suon di missili nucleari, questa cicatrice sul volto della civiltà umana e della convivenza pacifica tra i sessi, meglio sarà per tutti.

Bisogna prendersi la briga di visitare l’Iran o di parlare di persona con una donna iraniana per capire che le cose non stanno affatto così. A parte il fatto che l’eventuale decisione sull’applicazione di questo tipo di condanne a morte, non dipende “dall’Iran”, cioè dall’insieme delle autorità governative e religiose, bensì, com’è ovvio, dalla decisione dei singoli tribunali (quello di Tabriz, nel caso di Sakineh), va detto che la lapidazione delle adultere è una pratica assolutamente marginale in Iran, la cui incidenza percentuale sul totale delle pene comminate è praticamente nulla. Essa persiste solo in alcune collettività rurali periferiche, che la praticano – peraltro assai raramente – contro il volere del governo centrale, che vorrebbe eliminarla per ovvie questioni di ordine pubblico, oltre che di immagine. Inoltre, con riferimento al caso specifico di Sakineh, se ci si prende la briga di fare su Google una ricerca un po’ più approfondita, si potrebbe scoprire che le cose non stanno affatto come i cialtroni di Repubblica ci hanno raccontato. Ad esempio, questo articolo del Los Angeles Times, pur non sottraendosi alla consueta denigrazione generica dell’Iran e della sua cultura, fornisce sulla vicenda qualche elemento aggiuntivo. Si scopre che il marito della signora Ashtiani non è “morto” di morte naturale, come lasciano intendere gli scribacchini nostrani, ma è stato brutalmente assassinato dagli amanti della donna. E’ con l’accusa di concorso in omicidio, e non con quella di adulterio, che Sakineh era stata arrestata in origine, venendo poi rilasciata solo perché i figli avevano rinunciato a formalizzare l’accusa di omicidio contro la madre. Malek Ejdar Sharifi, uno dei giudici che si sono occupati del caso, dichiara: “Non possiamo rendere noti i dettagli dei suoi crimini [di Sakineh, NdT] per considerazioni di ordine morale ed umano. Se il modo in cui suo marito è stato assassinato fosse reso pubblico, la brutalità e la follia di questa donna verrebbero messe a nudo di fronte all’opinione pubblica. Il suo contributo all’omicidio è stato così crudele e agghiacciante che molti criminologi ritengono che sarebbe stato molto meglio se lei si fosse limitata a decapitare il marito”. Solo dopo essersi vista preclusa la possibilità di perseguire la donna per omicidio, a causa del “perdono” dei figli, i giudici hanno deciso di giocare la discutibile carta dell’accusa di adulterio. Scelta indubbiamente deprecabile sul piano procedurale – e infatti il processo è in fase di revisione –  ma dal punto di vista culturale ed etico le cose stanno molto diversamente da quello che centinaia di siti internet, per non parlare della stampa, danno ad intendere al lettore credulone.

Il fine ultimo di questo tipo di operazioni mediatiche è, inutile dirlo, quello di creare un’immagine negativa dell’Iran, che sia funzionale ad un eventuale attacco militare. Ma c’è un elemento che non viene spesso considerato. Perché questa strategia disinformativa sia efficace, occorre che il pubblico sia stato preparato a recepirla attraverso un condizionamento etico-culturale che, in occidente, viene attuato fin dalla nascita dell’individuo. Non basta diffondere informazioni false o parziali: bisogna che tali menzogne possano far leva su un immaginario già presente, in modo che sia sufficiente agli scribacchini premere pochi pulsanti essenziali per ottenere nella maggioranza delle persone la reazione di sdegno-commozione-condanna desiderata. Il condizionamento permanente si attua tramite associazioni concettuali preferenziali attraverso le quali i media si incaricano di incanalare il pensiero e i sentimenti nella direzione voluta. Così, non si parla mai di Islam, senza fare almeno un accenno fugace all’argomento terrorismo; i discorsi sulle donne si riallacciano di continuo a quelli sulla sua “condizione”, che è naturalmente quella di un’oppressione e sottomissione al maschio dalla quale deve sforzarsi di “liberarsi”; se si parla di uomini, si evita accuratamente di suggerire che anche in Iran, come ovunque, esistono donne che ammazzano i mariti per fuggire con l’amante. L’uomo dell’Islam – ma direi l’uomo in generale –  deve avere nell’immaginario collettivo il ruolo preferenziale di oppressore, la donna quello di vittima. E così via. Questo è soltanto un esempio, ma questa pianificazione permanente del nostro schema percettivo è qualcosa che riguarda ogni aspetto della nostra coscienza. Avete mai notato, guardando un film, che la commozione scatta sempre di fronte a sequenze di un certo tipo (ad esempio trionfo della tenacia o ribellione al destino)? Il pubblico occidentale, proprio come i cani di Pavlov, è stato condizionato fin dalla nascita per rispondere con un certo tipo di reazione emotiva ad un certo tipo di stimoli. Per controllare le masse è essenziale controllare le loro reazioni e relazioni; l’apparato di condizionamento psicologico dell’occidente si occupa appunto di sostituire la complessità dei sentimenti e dei pensieri umani con uno schema psichico semplificato, che sia pertanto manipolabile attraverso un numero ristretto di stimoli definiti. Nel finale di “1984”, Winston Smith, dopo aver attraversato quasi impassibile l’inferno della tortura nel “Ministero dell’Amore”, ascolta in un locale le note di una canzone che gli fanno riempire il viso di lacrime. Lui non riesce a spiegarsi il motivo di questa reazione involontaria, ma il motivo è palese: il condizionamento psichico subìto durante la prigionia ha prodotto i suoi effetti ed ora Winston non è che una delle tante marionette le cui stringhe emotive possono essere tirate a piacimento dalle autorità di Oceania.         

Questo discorso vale anche a proposito della nostra percezione della morte. Lasciamo perdere il discorso filosofico, e cioè il fatto che non ci interroghiamo più sulla natura della morte, né cerchiamo di inquadrarla in una prospettiva esistenziale complessa, né ci sforziamo di superare il dualismo asfittico annullamento-permanenza – opportunamente supportato dagli apparati religiosi – che pone sempre il nostro io e la sua relazione con le cose al centro del problema. Questo discorso ci porterebbe troppo lontano. Il punto è che siamo stati condizionati, anche in questo caso, alla pura reazione, rispondendo in modo stereotipato ad input stereotipati, definiti dai progettisti culturali in appositi formulari. Ieri ho scritto un auto-necrologio stereotipo, pieno delle più viete banalità  retoriche, sfruttando un modello canonico che è possibile reperire in milioni di simili formulazioni dalle fonti più svariate. Ho ottenuto (da quei pochi che malauguratamente ci sono cascati) le reazioni istintive che questo sperimentato modello espressivo necessariamente produce e che potrebbero essere enumerate in apposita casistica. Un campionario di manifestazioni di dolcezza, di incredulità o di rammarico, il galateo del funerale che noi tutti (me compreso) ci sentiamo obbligati a porre in atto in queste occasioni. Dobbiamo farci forza per dare voce, di fronte ad uno stimolo tipico elaborato dalla convenzione culturale, ad una reazione atipica. Ad esempio a chiederci: sarà vero? E se fosse tutta una bufala? E se il sito fosse stato hackerato? E se il caro estinto fosse in realtà fuggito all’estero dopo aver compiuto chissà quali scelleratezze? E se non fosse mai esistito (dopo tutto lo conosciamo solo attraverso un sito internet)? Questa è la reazione “imprevedibile” che il condizionamento mira a scongiurare. Di fronte ad uno stimolo appropriato, la massa non deve mai riflettere, bisogna assicurarsi che si limiti a reagire. E se qualcuno prova a deviare dagli standard di comportamento, dovrà essere sommerso dalla rabbia e dall’esecrazione della maggioranza degli osservanti. Come si permette di insultare la povera Sakineh, che sta per essere lapidata? Come osa insinuare che la povera Neda stia recitando un copione? Come si permette di sostenere che gli eroici passeggeri degli aerei di linea schiantatisi contro le torri siano delle pure invenzioni? Come ardisce infangare l’olocausto, negando le camere a gas e mercanteggiando sul numero dei morti e sulle circostanze del loro decesso? La retorica della morte e della memoria è – insieme alla produzione massiccia del senso di colpa – una delle armi di manipolazione delle coscienze che il potere considera più sicure ed efficaci. La reazione atipica di fronte ad esse – lo scetticismo o l’irrisione fondata sull’analisi razionale anziché sullo spontaneismo emotivo – è fonte per i dominanti di preoccupazione, sconcerto e, non di rado, di repressione violenta. Ecco dunque qualcosa di cui il potere ha paura e che sarebbe conveniente abituarsi a praticare più spesso. Anche a costo, qualche volta, di sbagliarsi e fare torto ad un cadavere autentico. E’ difficile, del resto, che i morti si risentano nel vedere negata la loro condizione. A risentirsi sono quasi sempre i loro carnefici o i loro sceneggiatori, che si infuriano tremendamente quando si cerca di privarli dei vantaggi e dei profitti generati dalla strumentalizzazione della memoria.

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net
Link: http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2010-07-13
13.07.2010

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