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RAGE AGAINST THE MACHINE ? (SECONDA PARTE)

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A cura di Davide
Il 29 Marzo 2011
91 Views

DI PAOLO BARNARD
paolobarnard.info

Aggiornamento Il Più Grande Crimine 12 Seconda Parte

Bella la storia della rivolta
egiziana, eh
? La democrazia
che nasce in un Paese. Un popolo che riprende in mano il suo destino. Ci può
essere qualcosa di negativo in questo? Possiamo non sorridere compiaciuti per
una volta?… Sì che possiamo, e anzi, dovremmo preoccuparci, pulitevi quel
sorriso dalla faccia. Perché il mondo non è quello che vediamo, il mondo è
quello che il Vero Potere non ci fa mai vedere. Infatti mentre il Cairo
sperava, e proprio a causa di quella speranza, milioni di altri poveracci
prendevano una sberla colossale, in termini di sussistenza, lavoro, reddito. Un
egiziano lotta per vivere meglio, e un pakistano ‘a causa sua’ perde il lavoro
e va alla disperazione. Questo è il mondo vero, care ‘belle anime’, il mondo
dove in una decina di stanze occidentali un centinaio di uomini guarda alla Tv
la rivolta a Tahrir Square e le esitazioni di Hosni Mubarak, come voi, solo che
questi uomini poi alzano la cornetta del telefono a danno ordini secchi, e così
decime di miliardi di dollari spariscono in poche ore dai mercati cosiddetti
emergenti, quelli che hanno bisogno di quel denaro come i tuoi polmoni del
prossimo respiro.In un Paese come il Bangladesh si tratta di decine di
finanziarie che volano via, assieme al lavoro di qualche decina di migliaia di
persone, che hanno famiglia come te, che ieri hanno messo a letto la bimba come
hai fatto tu, ma che domani che faranno? Ciò accade perché, come ho mille volte
scritto, il mondo vero è governato dal Tribunale Internazionale degli
Investitori e Speculatori, e la loro sentenza passata in giudicato il 4
febbraio è stata questa: “C’è un
paradosso nei mercati… il successo delle proteste al Cairo potrebbe rendere il
resto della regione caotico, se ispira i popoli di altri regimi… ci sono segni
di stress nel sistema, perché la protesta egiziana sta incoraggiando i
manifestanti in Yemen, Algeria, Bahrain e Iran”…
l’atmosfera sarà anche elettrizzata in Egitto, ma l’umore è decisamente
più grigio nella stanze di business in Europa e America
” (Financial Times).

Che
significa? Significa che gli investitori, coloro cioè che decidono se il tuo
Paese avrà i fondi per vivere o no, hanno pensato che era meglio levare di
corsa il loro denaro dalle nazioni emergenti, soprattutto quelle con regimi
autoritari, perché a rischio di contagio della rivolta araba, e quindi a
rischio di instabilità per chi fa business. Hanno preso il colossale malloppo e
lo hanno piazzato nei porti sicuri come i titoli di Stato USA, lo Yen
giapponese o le materie prime. Questa è miseria che piomba di colpo nella casa
di milioni di Bashir o Nawaz, di Ngoro o di Muanna, coi loro figli, i loro
debiti, le loro malattie, le loro speranze. Vuoi ancora sorridere? E c’è di
peggio. Perché gli stessi investitori, come detto sopra, getteranno i denari
sottratti al Bangladesh o all’Indonesia in porti sicuri come le materie prime,
cioè grano o mais, e i prezzi di quelle preziose materie schizzerà alle stelle
per la solita questione della domanda e offerta. E poco importa se qui da noi
la Barilla si gratterà il capo per non aumentare i bucatini di 5 centesimi, il
dramma è che in ¾ del mondo quelle variazioni significano letteralmente la fame
per orde di esseri umani che contano sulla farina o sul mais per arrivare al
giorno dopo. Ecco cosa possono fare i commodities
traders
, sapevi che esistevano? I nomi? Che so… Bunge, Archer Daniels
Midland, ADM, Gavilon, li conoscevi? Spegni la Tv o Facebook, con le belle news
dal Cairo. Al massimo un sorrisetto per i fratelli egiziani, poi mettiti a
pensare col magone, perché il mondo vero è un’altra cosa.

Ok,
adesso gliela facciamo vedere a quella
gente lì
”, vero?

 

In tema di occupazione Michele
Santoro cosa fa?
Sempre la
stessa cosa, prende i soliti lavoratori alla disperazione e li mette davanti a
una telecamera dove all’altro capo c’è un politico italiano, spesso oggi
Tremonti, che deve spiegare le cause delle loro miserie. Cioè, la grande
informazione, anche quella fintamente di sinistra, non fa altro che dirci che i
problemi di chi soffre nello stipendio stanno a Roma, magari proprio nel
politico ‘odioso designato’ del momento. Mai e poi mai diranno la verità, spesso
per malafede, ma di fatto non gliela dicono a quei lavoratori.

Gli
hanno per caso mai detto che in molti casi è lo Sweating the Assets da parte
degli Equity Funds che ha fottuto il posto di lavoro degli operai di
quell’azienda di Sassari, o di Como, o Bologna? Gli dicono mai che sono le
politiche macroeconomiche del Fondo Monetario Internazionale ad aver
prosciugato la Aggregate Demand nel mondo, che ha ridotto drasticamente anche
la richiesta di merci italiane da parte di decine di Paesi emergenti del mondo?

Sweating
the Assets: gli speculatori degli Equity Funds individuano un’azienda italiana
appetibile, cioè che genera buoni profitti a fronte di un indebitamento
limitato. La comprano con un take over azionario, e poi emettono titoli nel
nome di quell’azienda che promettono interessi alti a chi li compra. Con i
soldi dei compratori pagano i loro debiti per l’acquisto dell’azienda, poi la
spremono come un limone vendendo tutto ciò che possiede e che abbia un valore
(s’intascano i profitti), tagliano i salari, licenziano una quota di lavoratori
con la scusa della crisi economica, e alla fine lasciano uno scheletro di
azienda in rovina che fa bancarotta o viene venduta dai filibustieri
dell’Equity Fund per pochi soldi (che di nuovo incassano). Gli acquirenti dei
titoli rimangono fregati, e i dipendenti versano lacrime e sangue. Altro che
Tremonti. L’economista Jan Toporowsky sostiene che questa sia una delle
principali cause di fallimento aziendale del mondo. Di nuovo: tu e il tuo
destino di padre o madre di famiglia, anche qui, da noi.

Cos’è
la crisi dell’Aggregate Demand? Dovete capire che noi Paesi ricchi non siamo
sempre autosufficienti, cioè non bastiamo a noi stessi per produrre e venderci
tutto ciò che ci serve, cioè per mantenere al lavoro il maggior numero di
persone possibile. Da almeno 20 anni una fetta sempre maggiore del nostro
reddito dipende da quanto comprano da noi diversi Paesi cosiddetti emergenti.
Essi ‘emersero’ negli anni ’80 e promettevano bene, anche nella prospettiva dei
loro cittadini, non solo per i soliti ricconi. Ma ovviamente il Vero Potere gli
è piombato addosso, per mano del Fondo Monetario Internazionale e delle sue
regole di gestione economica tutte volte a spremere la gente e a tutelare gli
investitori. Una lunga e incredibile storia che non posso trattare qui. Di
fatto, testimoniano fior di economisti fra cui il Nobel Joseph Stiglitz o
Jeffrey Sachs con a sostegno l’evidenza dei fatti, le regole del FMI hanno
devastato quelle economie emergenti portandole in diversi casi al fallimento
(le nazioni cosiddette Tigri asiatiche, Messico, e altri). Il fallimento e
quelle stesse regole hanno gettato quei Paesi in debiti a spirale che potevano
ripagare solo in dollari, che non possedevano a sufficienza. Per un decennio
hanno sudato lacrime e sangue per trovare il bigliettoni verdi necessari, a
costi umani inenarrabili. Ma hanno imparato la lezione. Infatti oggi quegli
stessi Paesi sono diventati avidi accumulatori di dollari nei loro fondi
sovrani, che NON vogliono spendere proprio per non ritrovarsi mai più in quelle
condizioni terribili. Ma se non li spendono significa che non comprano da noi,
quindi cala la domanda di merci e servizi (la Aggregate Demand) italiani,
francesi, olandesi ecc. Significa letteralmente, per fare il solito chiaro
esempio, che la ditta di maglieria di Carpi che aveva una fetta grossa di
fatturato acquistata da Korea del Sud, India, o Taiwan e Singapore, ora non
vende più come prima, e licenzia o precarizza a man bassa. In Italia questo
fenomeno ha afflitto una quota di commercio estero enorme, e come sempre sei tu
o tua moglie a soffrire. Altro che Tremonti, caro Santoro, poveracci quelli che
in buona fede si accalcano davanti alle tue telecamere.

Sweating
the Assets, Equity Funds, crisi di Aggregate Demand… milioni di posti di lavoro
nel mondo succhiati da quelle idrovore.

Ok,
adesso gliela facciamo vedere a quella
cosa lì
”, vero?

 

Banane equosolidali, Gruppi di
Acquisto Solidali, l’orto biologico, i pacchi di pasta per Mani Tese… certo,
come no.
Fra il miliardo di
persone che fanno la fame ogni giorno e tutti quelli che invece mangiano come
maiali sempre, o mangerebbero come maiali sempre, la differenza non è che non
ci sia cibo per sfamare tutti, lo si sa; la differenza si chiama appetito, solo
questo, e non sto scherzando. Il fatto è che in realtà di cibo per l’appetito
dei secondi non ce n’è veramente a sufficienza. Oggi una lunga lista di Paesi,
che vanno da quelli del Golfo a India e Cina fino ai ricchi del G8, fatica a
trovare sui mercati tutto ciò che consuma a tavola. Forse non lo avete
presente, ma dietro ogni nostro boccone a pranzo o cena c’è una guerra immane e
dalle conseguenze oscene per accaparrarsi il cibo, resa ancor più ignobile
dalla presenza di lei, The Machine.
E’ in corso una gara immensa e a colpi di miliardi di euro per conquistare
terreni coltivabili a suon di milioni di ettari dove coltivare o allevare ciò
che noi consumiamo. A competere sono soprattutto i Paesi in via di sviluppo ma
anche i ricchi dell’Occidente; se per i primi si tratta appunto di trovare
sempre più riso o carne, per noi si tratta anche di speculare in finanza su
queste nuove produzioni, che promettono talmente bene da garantire già oggi
interessi dal 20 al 40% sul capitale investito (metro di misura: un titolo di
Stato rende in media, se va bene, un 5%).

Qui
l’intersezione fra consumismo e finanza speculativa è anche più oscena e
micidiale di ciò che ho descritto ne Il Più Grande Crimine e Aggiornamenti,
poiché il Vero Potere infligge a noi disoccupazione, dipendenza e perdita
totale di democrazia, ma nel caso della corsa al cibo esso infligge morte
fisica e miserie inenarrabili a centinaia di milioni di persone. Perché?
Semplice: la combinazione fra l’effettiva grande richiesta di alimenti, la
conseguente aspettativa da parte dei mercati che essi si venderanno sempre più,
e la montagna di miliardi che per quella precisa ragione vi si investono, ha
fatto schizzare il prezzo delle materie prime alimentari alle stelle –  la FAO nel 2008 ha stimato un aumento
del 52% in pochi mesi – e ciò per chi conta sul mais o sul riso per
letteralmente arrivare al giorno dopo, è una condanna a morte. A peggiorare la
situazione, sempre nel costo al rialzo di quelle materie, ci sono altre cause,
come il fatto che sempre più cereali sono richiesti per sfamare gli animali che
noi divoriamo; oppure la produzione del nostro etanolo, che ci dovrebbe
alleggerire la dipendenza dal petrolio, ma che risucchia dalle bocche degli
affamati altrettanto mais con cui lo si produce; e infine la considerazione che
per produrre il cibo occorre come sempre una mare di petrolio, che oggi costa
tantissimo e così aumentano i prezzi degli alimenti. Mi soffermo brevemente su
questi due ultimi punti: la situazione dell’uso di mais per l’etanolo è
divenuta così grave per i poveri del mondo che addirittura ha mosso le proteste
del numero uno del colosso alimentare Nestlè, Peter Brabeck-Letmathe, in
occasione di un discorso fatto al Council on Foreign Relations a metà marzo.
Brabeck-Letmathe, che non è certo un benefattore, ha però ricordato una cosa
estremamente importante e destabilizzante per le ‘belle anime’ di sinistra: è
la nostra esigenza di ridurre l’inquinamento ambientale che ci ha portato verso
l’etanolo, e chi paga il prezzo delle nostre politiche verdi sono però i soliti
disgraziati ‘negri’ del Sud, che appunto fanno la fame. E sul secondo
argomento, l’uso del petrolio per il nostro cibo, cito alcuni dati essenziali:
per produrre ogni singola caloria di cibo (soprattutto grano) occorrono in
media da una a dieci calorie di combustibili fossili. I cereali per arrivare
sulla nostra tavola richiedono 4 calorie fossili per ogni caloria che ci danno.
La carne di manzo ne richiede 35 di calorie fossili per darne una a noi, quella
di maiale vuole 68 calorie fossili per ogni caloria alimentare che offre. Ogni
innocente verdura che vediamo in vendita è all’apice di uno spreco incredibile
di idrocarburi. Ad esempio per lavorare e fertilizzare i campi dello Stato
americano dello Iowa occorre ogni anno l’energia equivalente a quella di 4.000
bombe termonucleari, energia fornita interamente dal petrolio. Come già detto,
il globo consuma ogni anno 15.000 miliardi di watt, quasi tutti prodotti da
combustibili fossili, e il 73% di questa energia va in agricoltura, luce
domestica e trasporti. Le guerre, le ribellioni in Medioriente, la speculazione
degli investitori, sparano alle stelle il prezzo del greggio e così anche
quello del cibo: fame e disperazione dei ‘negri’.

Ma
noi vogliamo mangiare sempre e che sia tanto. Ok. Eccovi dunque la corsa per il
cibo dove stiamo letteralmente comprando intere fette di Paesi poveri da
coltivare con tecnologie spaziali, manodopera ovviamente da fame, e profitti da
capogiro per gli investitori. Una corsa spietata, immensa, infermabile visto
che miliardi di persone poi pretendono quella roba ogni giorno:

Il
Bahrain si è gettato a divorar
terreno in India, Pakistan, Filippine, Sudan, Egitto, Iraq, con gruppi come il
TRAFCO e il MAP, oltre allo stesso governo. La Cina, è ad arraffare terre in Brasile, Cuba, Birmania, Cameroon,
Messico, Kazakhstan, Laos, Mozambico, Filippine, Uganda, Tanzania, Zimbabwe,
col governo, con il gigante della telefonia ZTE, e Balckstone che è una degli
Equity Funds più grandi al mondo. Gli Stati
del Golfo
sono arrivati in tutta l’Africa (in Somalia soprattutto), in
Brasile e in Asia con Agricapital, che è un fondo di investimento islamico da
un miliardo di dollari in cash. L’India
si è gettata su Argentina, Brasile, Birmania, Paraguay, Uruguay, Indonesia, con
la aziende Ruchi Soya, KS Oil e Godrej. Il Giappone
compra in Cina, Brasile, Egitto, Sud America, e Sud Est asiatico, attraverso
Mitsui, Itochu, Sumitomo, Asahi, quest’ultima già produce in Cina latte che
costa il 50% in più del prodotto locale e viene spinto con un marketing
aggressivo che sospinge a sua volta gli altri prezzi in alto. Il Kuwait è sbarcato a fare acquisti di
campagne in Birmania, Cambogia, Egitto, Marocco, Yemen, Laos, Uganda, Sudan,
con la famiglia Al-Sabah al comando che stringe affari con i ceffi del governo
di Khartoum. Il Qatar si è fiondato
su Pakistan, Tajikistan, Sudan, Turchia, Vietnam, dove possiede un Investment
Fund da 900 milioni di dollari, e infine compra risaie a man bassa in Cambogia,
dove il governo spera di esportare a fiume il prezioso chicco a 10 milioni di
tonnellate all’anno nonostante nelle sue campagne si faccia ancora la fame,
vera. L’Arabia Saudita è in Brasile,
Etiopia, Filippine, Senegal, Uganda, Ukraina, Indonesia, Kazakhstan, Pakistan,
Sudan, Tailandia, con la famiglia reale, con il Al Rabie Group e… coi Bin
Laden, certo, che hanno piazzato una scommessa da 4,3 miliardi di dollari su
immensi campi di riso in Indonesia. La Korea
del Sud
cerca terre in Russia, Argentina, Sudan, Cambogia, Laos, Mongolia,
Indonesia, e ha persino invitato il criminale presidente Al-Bashir a una piena
cooperazione che prevede centinaia di migliaia di ettari dove coltivare grano,
da esportare tutto, fino all’ultimo chicco, in Korea, mentre in Sudan lo
sappiamo, crepano di denutrizione. Poi ci sono gli Emirati Arabi Uniti, che valgono una menzione perché oltre a essere
anch’essi ovunque a comprare, hanno chiesto al Pakistan l’esenzione dalle leggi
nazionali che limitano l’esportazione di alimenti, visto che i pakistani sono
alla bancarotta proprio a causa delle speculazioni alimentari.  E poi ci siamo noi…

Ma
noi occidentali, oltre ad acquistare intere regioni come i sopraccitati, siamo
specializzati in speculazione sulle produzioni già in corso e su quelle future.
La Svezia con Alpcot Agro e Black
Earth farming; la Gran Bretagna con
Barklays Capital, con Cru Investment Management che promette interessi del
30-40%!, con Dexion Capital, con Knight Frank e il suo Hedge Fund fatto per
l’occasione, con Lonrho, con Landkom, con Bidwells, con Schroders che promette
il 15% lungo solo 5-10 anni di investimenti, con T4M. La Danimarca con Trigon Agri. L’Olanda
con Louis Dreyfus. Gli Stati Uniti,
che piazzano nella corsa il colosso delle speculazioni Goldman Sachs, l’altro
gigante Morgan Stanley, BalckRock che ha lanciato un Hedge Fund per questo da
200 milioni di dollari, e RAV Agro Pro in partnership con Israele e la Gran Bretagna. Infine la Germania, la cui Deutsche Bank investe 60 milioni di dollari in
Cina, ma che fa la parte del leone con una partnership americana da 450 milioni
per acquisire terre in Europa. A fare da ombrello a questa corsa dei pirana
agricoli c’è l’International Finance Corporation della Banca Mondiale, che “sta
lavorando sodo in Ukraina e in altre nazioni per assicurarsi che le terre
coltivabili siano vendute agli investitori stranieri attraverso le riforme di
mercato, e ha investito nel solo 2008 1,4 miliardi di dollari per
l’agribusiness
” (GRAIN, 24/10/08). Segue il codazzo degli Hedge Funds e
banche come Agri-Vie Fund, Africa Invest, Emergent, Dutch Rabobank, BNP
Paribas, o Credit Agricole.

Dovete
immaginare che con promesse fatte agli investitori di profitti nell’ordine del
15 o 40% sul capitale investito, si esclude categoricamente qualsiasi
significativa condivisione dei guadagni con le popolazioni locali. Nessuno fa
miracoli. Inoltre non va dimenticato che essendo lo scopo di tutto ciò
l’accaparramento di forniture a catena per i megamarket a prezzi sempre più
bassi, e contando che già i prezzi sono alti per le ragioni dette più sopra, le
‘belle anime’ si possono scordare qualsiasi accenno al biologico e
all’equosolidale. Si tenga conto poi dell’impatto ambientale di questi milioni
di ettari trasformati in serre high tech, e la devastazione delle catene di
piccola produzione di cibo a livello locale, quella che sfama milioni di
villaggi. Ma The Machine non ne ha
ancora a sufficienza.

Essa
specula anche sulle forniture fondamentali per l’agricoltura, come le sementi,
i fertilizzanti, il grano, e i macchinari. Da una parte i suoi servi nelle organizzazioni
sovranazionali, come l’Organizzazione Mondiale del Commercio che regola quasi
tutto con leggi più potenti di quelle nazionali, stanno lavorando duramente per
ottenere che le sementi divengano proprietà brevettate, e non più un bene di
tutti da piantare gratis (con il bene placido del buon Bill Gates che da una
parte fa la sua carità all’Africa e dall’altra lavora all’OMC per difendere i
brevetti di cui sopra). Dall’altra si è organizzata in monopoli giganteschi che
posseggono in pratica l’esclusiva di quelle forniture essenziali. Cargill, ADM,
e Bunge hanno in mano le sementi e hanno incassato l’anno scorso quasi otto
miliardi di dollari fra di loro, tutti profitti. Potash Corp. , Mosaic e Yara
controllano i fertilizzanti, con 11 miliardi di profitti. Monsanto, Syngenta,
Bayer, Dow, e BASF, trattano sementi e pesticidi e hanno intascato 7,5
miliardi. AGCO, John Deere, New Holland fanno i macchinari sono a 4,9 miliardi.
Con un potere del genere e quasi monopolio su ciò che vendono, questi colossi
possono strizzare i contadini come stracci, e sappiate che lo fanno anche ai
ricchi, infatti negli USA le spese di produzione in agricoltura si mangiano il
77% degli incassi lordi. Immaginate in Sudan. Il risultato è, di nuovo,
l’aumento dei prezzi dei prodotti, quindi crisi alimentare, rivolte,
instabilità politica, e fame fino alla morte.

Tutto
questo, ma veramente, sta dietro alla tua spesa alla COOP, o qualsiasi altro
punto vendita di cibarie.  Inutile
fare gli ipocriti o ventilare soluzioni da favola della Befana – i Gruppi di
Acquisto Solidali!… forza biologico!… il fotovoltaico!… – i numeri sono
quelli elencati, i miliardi di bocche sono quelle che pretendono volumi immensi
di cibo, sempre, e a prezzi da tenere bassi, il che nell’attuale sistema dei
mercati è proprio una guerra globale. Una macchina mostruosa che macina
capitali mostruosi e che ha alle spalle tutti i Paesi ricchi e quasi tutti
quelli emergenti, me le ‘belle anime’… “adesso
gliela facciamo vedere a quella cosa lì
”, con le loro zampette e le loro
antennine.

 

E
poi c’è il resto…

Ne
ho già parlato in altri articoli. C’è lo strapotere sovranazionale del Trattato di Lisbona in tutta Europa,
cioè la morte delle sovranità dei nostri parlamenti; c’è il Neomercantilismo dei mega conglomerati
industriali all’arrembaggio che divora redditi e diritti al lavoro; c’è la
morsa Neoliberista (giusta
disoccupazione, bassi salari, governi minimi) su tutta l’ideologia economica
che conta al mondo; c’è la sopraccitata Organizzazione
Mondiale del Commercio
che detta legge sovranazionale su tutti i commerci,
salute pubblica, diritti del lavoro, per miliardi di esseri umani; ci sono i
club delle Globocrazia (The Economist) come il World Economic Forum di
Davos, la Commissione Trilaterale, il 
Boao Meeting in Cina o il Council on Foreign Relations, poi il
Bilderberg sopra a tutti; c’è l’apparato
industriale militare
con i suoi mille e cinquecento miliardi di dollari di
fatturato, ma che è anche la fonte di gran parte della tecnologia medica
moderna, senza la quale anche le ‘belle anime’ vanno al Creatore in caso
d’infarto o incidente o gravidanza a rischio ecc. E mi fermo qui, a continuare
si rischia l’impietosità.

 


Non vi posso mentire sulle vostre chance
”, ma sul futuro abbiamo un dovere.

Noi
persone di questa epoca storica sappiamo in quale sistema moriremo, si chiama The Machine, il Vero Potere, pace a noi.
Ma sul futuro di chi verrà dopo i figli dei nostri figli, abbiamo un dovere,
sempre che esista una categoria morale di questo tipo. Dobbiamo iniziare il
lavoro di divulgazione ai cittadini di chi sia il Vero Potere e di come lavora
proprio sulle nostre vite di ogni giorno. Trasmettere la non speranza di oggi
ma aiutare chi ci ascolta a superare il primo sconforto, che è la morte
dell’azione futura a causa proprio di questa infantile ostinazione degli
attivisti a voler vedere subito il cambiamento. Poi però usare il pensiero per
capire come si pongono i primi mattoni di una rivoluzione del futuro,
esattamente come fecero gli Illuministi e i pensatori democratici di oltre 2
secoli fa, i quali certo sapevano che sarebbero morti senza che nulla dei loro
ideali fosse neppure vicino alla realizzazione. Dobbiamo essere come loro. Sì,
dobbiamo pensare, pensare e pensare,
e non farci prendere dall’altrettanto infantile desiderio di emozioni e
sprecarci in feste di piazza, gruppetti col personaggio Guru, attivismo di
tastiera, e isterismi anti Berlusconi. Stare a casa a pensare, esattamente ciò
che hanno fatto i cervelli del Vero Potere quando in 70 anni hanno decretato la
fine della Storia di due secoli e mezzo, e ci sono riusciti. E smettete di
chiedere a quelli come me le soluzioni. Pensatele voi, ciascuno l’ideologo di
se stesso, ma pensate con calma, perché The
Machine
non è Berlusconi o la Camorra, o la Casta, magari lo fosse. The Machine è immensa e immensamente
abile. Richiede strategie alla sua altezza, e soprattutto deve essere prima di
tutto capita. Avete capito ora? Divulgate, mettetevi a pensare, con lo sguardo
generoso di chi regala se stesso per il futuro di chi ancora non è nato.

fine

Paolo Barnard
Fonte: www.paolobarnard.info
Link: http://www.paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=214
29.03.2011

LEGGI ANCHE: RAGE AGAINST THE MACHINE ? (PRIMA PARTE)

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