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La Redazione

 

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Quinta Burbank

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A cura di Truman
Il 10 Febbraio 2019
432 Views

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

DI LORENZO MERLO

Victoryproject

In una recente intervista Alain de Benoist risponde così all’ultima domanda, dedicata a come si potrà superare il liberalismo.

Breizh-info.com – Quali antidoti, quali alternative esistono, o restano da inventare, perché le nostre società trionfino su questo liberalismo?

Alain de Benoist – “Ovviamente non esiste una ricetta miracolosa. D’altra parte, c’è una situazione generale che evolve sempre più rapidamente e che ora mostra i limiti del sistema attuale, che si tratti del sistema politico della democrazia liberale o del sistema economico di una forma-capitale confrontata con l’immensa minaccia di una generale svalutazione del valore. Il futuro è locale, dei circuiti brevi, della rinascita delle comunità umane, della democrazia diretta, dell’abbandono dei valori esclusivamente mercantili. L’antidoto sarà stato scoperto quando i cittadini avranno scoperto che non sono solo dei consumatori, e che la vita può essere più bella quando si ripudia un mondo in cui nulla ha più valore, ma dove tutto ha un prezzo”.

[http://www.barbadillo.it/80596-lintervista-alain-de-benoist-ogni-forma-di-liberalismo-e-nemica-del-sovranismo/]

L’ultimo pensiero è sostanziale e fa al caso nostro. «L’antidoto sarà stato scoperto quando i cittadini avranno scoperto che non sono solo dei consumatori, e che la vita può essere più bella quando si ripudia un mondo in cui nulla ha più valore, ma dove tutto ha un prezzo»

Se politicamente, sociologicamente e psicologicamente sottoscrivo la condivisione a quel pensiero, ontologicamente la mia sicurezza vacilla pericolosamente.

Il perché dell’incertezza è di tipo semplice, anzi banale.

In quella frase è presente un’unità di misura che potremmo chiamare generazionale.

Affinché un cittadino scopra di essere solo consumatore, che il denaro brucia i valori, quindi le identità, le tradizioni, le comunità, la serenità, la salute, eccetera è necessaria una serie di prese di coscienza che non tutti compiono nel proprio arco di vita.

Oggi – ma il paragone con altre epoche sarebbe cosa elementare per storici e sociologi – godiamo pure della fortuna di essere in mezzo al guado, un notevole stimolo a porsi domande di implicazione evolutiva. Eppure, nonostante lo stimolo indotto dalle difficoltà e dall’incertezza, nonché da una speranza ridotta alla resilienza, non è difficile condividere che quella catena di prese di coscienza utili a riconoscere di essere merce da mercato, tarda a compiersi.

La mia affermazione, direbbe De Benoist, e non è difficile crederlo, si riferisce ed implica un processo che coinvolge più generazioni.

Anche su questo condivido. Ma, e questo è il punto, ogni generazione compare nella realtà come le oche di Konrad Lorenz. Ciò che i neonati vedono, tra starnazzi e vagiti, corrisponde al vero. Nel caso delle oche, alla madre, anche se era Lorenz stesso che avevano di fronte.

L’esperimento dell’etologo austriaco è utile per comprendere che l’affermazione di de Benoist, affinché prenda il suo pieno significato e diffonda la sua deflagrazione, necessita di un raggio d’azione plurigenerazionale. Un servizio che tende ad essere impossibile a causa del fatto che le generazioni ripartono da zero ogni volta. Anzi, anche da sottozero. La saggezza non si tramanda in un ambito senza confini certi, dai valori liquidi e l’esperienza non è mai trasmissibile.

Quindi, il diritto di bere qualunque realtà trovi il neonato è sacrosanto, ineludibile, incomprimibile, da rispettare.

Pensare a una evoluzione dell’umanità che non sia solo crassa, tecnologica e materiale, è cosa inopportuna. La storia si ripete e si ripeterà finché ci identificheremo con i nostri sentimenti, finché le emozioni ci trascineranno lontani da noi stessi nel profondo dell’orgoglio. La logica dello scontro e la scelta della sopraffazione si nutrono di quelle modalità.

L’affermazione di de Benoist diventa utopica se inserita in un contesto quale il nostro, diciamo, di  perdizione, egoico, narcisistico, individualistico.

Certamente de Benoist è consapevole che la meta che indica necessita di una corsa di lunga durata, di un passaggio del testimone, di una squadra di generazioni unita, costituzionalmente invulnerabile.

Diversamente, come si potrebbe contrastare chi detiene la comunicazione e guida la realtà a proprio uso e consumo? Cioè i poteri finanziari, occulti e criminali, che per qualcuno corrispondono soltanto a espressioni di persone che meglio di altre hanno saputo cavalcare la realtà.

La partita è platealmente impari, tanto che citare Davide e Golia non può che evocare solo molto lontanamente le forze in campo, meglio visibili come la formica e l’elefante.

Ma anche il piccolo imenottero e il grande mammifero non risolvono del tutto la prospettiva della questione.

Combattere, reagire, ribellarsi hanno sempre le loro imenottere ragioni.

Per trovarle è necessario ritornare all’ambito utile affinché un progetto plurigenerazionale possa avviarsi e ultimarsi. Nessun elefante la farebbe più franca.

I terrazzamenti, opere dei montanari, delle Alpi e degli Appennini ben rappresentano la battaglia imenottera. Piena di fatica, ma ancor più piena della visione che ogni mano callosa che ci ha lavorato aveva davanti a sé.

Come ritornare a quel contesto di valori certi di consapevoli confini di sé, di identificazione con la comunità, di solidarietà immancabile, cioè a quanto de Benoist allude e dice per formulare un’idea sulla fine dell’alienazione  liberalista partendo dal nostro contesto intriso di diritti individuali, ovvero di identificazione con l’avere, dell’incapacità di una conoscenza che non sia analitica, tecnica, misurabile e misurante, di possibilità aperte solo, sempre e necessariamente a chiunque ne abbia pagato il ticket.

Le oche che nascono oggi, hanno davanti a sé un mondo in cui Sanremo, il festival, occupa uno spazio sufficiente per fare da madre. Quanto impiegheranno a sospettare che dietro la quinta Burbank ci sia un’altra realtà, non artefatta, più a misura d’uomo e al suo equilibrio? Necessariamente molto verrebbe da dire. Ma non è vero o meglio, non è il modo opportuno per dare risposta alla domanda.

Sappiamo che per certi aspetti impieghiamo una vita a metterci in pari, e a volte non basta, a comprendere quali erano le forze che ci hanno battuto e quali ci servano per mantenersi sereni. L’impossibilità di una evoluzione sociale parrebbe già così argomentata. Ma non basta, c’è un’ulteriore complicazione affinché l’utopia si realizzi. Sempre che, distratti da qualche vizio o individualismo prezzolato, la sua immagine non ci esca dal campo visivo.

Si tratta dei Grandi Numeri.

Un ambito la cui principale caratteristica è data dal numero elevato dei suoi componenti. I grandi numeri degli imenotteri non sono soggetti a quanto invece è caratteristico in ambito umano. Lo scopo e il ruolo di ogni individuo formica non è un’opzione come nel nostro caso. Resta fisso per la durata della vita. Sanno che i loro progetti, come nel caso dei terrazzamenti non si esauriscono con la loro morte.

Nei grandi numeri di tipo umano, tende a esistere uno spazio per idee, scelte e comportamenti differenti e contraddittori tra loro. Anzi, pare ne siano l’identità costitutiva stessa.

Se si aggiunge il capillare accesso alla comunicazione, la sua conseguenza di relativizzazione di principi e valori, si giunge a dover ammettere che l’evoluzione necessaria al progetto enunciato da De Benoist – il liberismo cesserà quando potremo realizzare piccole comunità e rifiutare l’opulenza  – subirà un ulteriore rallentamento.

Una visione forse pessimistica ma di fatto dettata da una certa osservazione delle forze e delle dinamiche sociali.

C’è però una speranza che nasce da un’altra osservazione. Come il neocapitalismo e neoliberismo hanno finora ritenuto d’aver dimostrato, il mondo è infinitamente sfruttabile e il progresso è lineare e crescente in funzione dei consumi, del pil, ecc.

Nei confronti di questa prospettiva, effettivamente sempre più persone stanno aprendo gli occhi e, meravigliate, si chiedono come abbiamo potuto arrivare dove siamo?

Dunque l’ottimismo sta in questa domanda, anzi nella sua risposta. Un passo alla volta.

Ovvero, indipendentemente dal grande mammifero che ci vuole annientare, abbiamo la certezza che un passo alla volta, secondo quanto dice de Benoist e quanto ci dicono i terrazzamenti, ogni visione contiene la garanzia della sua realizzazione.

Lorenzo Merlo

Fonte: comedonchisciotte.org

10.02.2019

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