Di Guido Cappelli per ComeDonChisciotte.org
Notizia di ieri: un passante chiama “pagliaccio” Giuseppe Conte, il leader (si fa per dire) del M5S.
Fin qui, niente di strano: il tipico sberleffo/protesta del cittadino comune quando ha l’occasione di rivolgersi a un potente.
Quello che invece sconvolge, o dovrebbe sconvolgere (ma ci siamo assuefatti), è il séguito, è la reazione del potente: invece di incassare, più o meno elegantemente, e tirare dritto, l’avvocato pugliese ex presidente affronta il cittadino e gli restituisce l’insulto. In una parola: si mette al suo stesso livello.
Vi è qualcosa di apparentemente democratico in questa spontaneità, in questo equipararsi al “cittadino comune”. Niente di più erroneo, niente di più pericoloso.
Questa perdita delle forme e dei modi, questa volgarità, comunissima nella nuova generazione di politici, significa che il potere non tollera più alcuna critica, non accetta la censura pubblica, non riconosce al cittadino il diritto al dissenso, anche duro, anche gridato. È tramontata definitivamente l’idea – essenziale in una democrazia – di un potere rispettoso, paziente almeno nelle forme, perché il fatto stesso di avere potere implicava il dovere di ascoltare il dissenso.
La sproporzione fra Conte e un cittadino comune è enorme: il faccia a faccia tra i due è un evidente atto d’intimidazione del primo sul secondo.
Non ricordo di aver mai sentito un Andreotti, o chiunque della sua generazione di politici, rispondere per le rime a critiche o insulti anche duri. Il rapporto corretto dovrebbe essere l’inverso: il cittadino protesta, dissente o anche inveisce; il potere incassa – proprio perché è potere – e non può, non deve permettersi di rispondere, perché una riposta sarebbe necessariamente sproporzionata e intimidatoria. Con tutti i loro pesantissimi limiti, i politici della “prima Repubblica” questo lo sapevano.
Quelli di oggi sono invece diventati, in nome di un malinteso e farlocco senso di “uguaglianza”, dei piccoli bulli, aggressivi e maleducati come può esserlo chiunque nella sua vita privata. Ma la loro vita non è privata, loro non sono “cittadini comuni”. Hanno una forza che il cittadino non ha. E in verità, da cittadino cosciente a suddito vessato, il passo è stato breve, troppo breve.
Un passo simmetrico alla normalizzazione politica dell’arroganza, della minaccia, dello scherno: come quando quell’altra brava donna, Elsa Fornero, si faceva beffe del dramma dei nostri giovani chiamandoli “schizzinosi”, ma in inglese, con una punta di snobismo sprezzante: choosy.
Un degrado nelle forme e nei comportamenti consumatosi nel giro di una generazione, forse due, e che indica qualcosa di profondo e inquietante: l’inversione del rapporto governante-governato, la svolta paternalistica e autoritaria, che ormai non hanno più remore a sbatterci in faccia.
Questa evoluzione nel carattere e nell’atteggiamento – che si nota anche nelle uscite sempre più sconcertanti di violenza verbale da parte di politici anche di primissima fila (ricordiamo l’intemerata di Di Maio contro Putin, ma anche la risposta violentissima di un politico di spicco come Medvedev) – indica che il degrado è più di un fato contingente, una moda, ma ha ormai intaccato il livello antropologico e spiega anche, su un altro e molto più drammatico piano, come stiamo arrivando all’impensabile, alla catastrofe bellica, forse nucleare: detto con atroce semplicità: per mancanza di limiti, per mancanza di pudore, per mancanza di educazione. Ecco: la nostra civiltà sta affogando nella maleducazione.
Sarà una fine grottesca, tragicomica, che è la peggiore di tutte, perché le manca persino la dignità della tragedia.
Di Guido Cappelli, docente di Letteratura italiana, Università degli Studi di Napoli L’Orientale
11.06.2022
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org